Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14298 del 08/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 08/06/2017, (ud. 21/12/2016, dep.08/06/2017),  n. 14298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7020-2014 proposto da:

S.A.N. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEL CASALE STROZZI 33, presso lo studio dell’avvocato

POTITO FLAGELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato PIERLUIGI

COSTA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.T.A.F. – AZIENDA TRASPORTI AUTOMOBILISTICI FOGGIA S.P.A. P.I.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20,

presso lo studio dell’avvocato MARCO D’AREZZO, rappresentata e

difesa dagli avvocati MICHELE FATIGATO, PASQUALE FATIGATO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 261/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 18/03/2013 R.G.N. 324/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO del PROCESSO

La Corte di Appello di Bari in data 17 gennaio/15 (18) marzo 2013 rigettava il gravame interposto da S.A.N. avverso la pronuncia del giudice del lavoro di Foggia, che aveva respinto la domanda del ricorrente volta ad ottenere, dalla convenuta ATAF S.p.a., il pagamento di complessivi 349.308,09 Euro per indennità relativa a ferie non godute, indennità di mancato preavviso, indennità supplementare e differenze retributive, nonchè conseguente adeguamento del t.f.r..

L’impugnazione dello S., ex dirigente della convenuta società, riguardava l’indennità sostitutiva di ferie non godute, l’indennità sostitutiva di preavviso e quella supplementare ai fini del TFR.

La Corte di Appello rilevava che per le ferie residue l’attore non poteva rivendicare nulla, visto che trattandosi di dirigente avrebbe dovuto provare egli stesso l’impossibilità di godere le ferie per indifferibili esigenze aziendali di servizio, ciò che non era stato dimostrato, non risultando utili al riguardo i documenti prodotti.

Quanto poi all’indennità sostitutiva di preavviso, secondo la Corte di Appello, in base alla normativa citata e alla menzionata giurisprudenza, avendo l’attore maturato un’anzianità massima anche a seguito delle proroghe concesse, nonchè la massima contribuzione previdenziale, non aveva diritto ad alcun preavviso, non sussistendo in effetti un licenziamento. Pertanto, nulla spettava per indennità supplementare, nè per adeguamento del t.f.r..

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione S.A.N. con due motivi, cui ha resistito la S.p.a. ATAF mediante controricorso.

Il solo ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI della DECISIONE

Con il primo motivo, riguardo alla questione ferie, il ricorrente,,ex art. 360 c.p.c., n. 3, ha denunciato violazione dell’art. 1362, comma 2 nonchè degli artt. 2697 e 1988 c.c. e art. 2109 c.c., comma 2; in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame ed omessa valutazione di circostanze decisive ai fini del giudizio, ma contestando in effetti gli apprezzamenti di fatto compiuti dal giudice di merito circa la ritenuta mancata prova delle particolari esigenze di servizio aziendali ostative al godimento delle ferie.

Con il secondo motivo, lo S., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha lamentato violazione dell’art. 2118 c.c., L. n. 407 del 1990, art. 6 comma sex nonchè dell’art. 35 C.C.N.L. 15 novembre 2000; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame ed omessa motivazione su circostanza decisiva ai fini del giudizio. La Corte di merito aveva omesso esame e valutazione della questione sottostante alla tesi dell’ATAF, che dopo aver affermato la riconducibilità del recesso al raggiungimento dei limiti di età, contraddittoriamente aveva sostenuto che nella lettera del 13 gennaio 2004 – con la quale intimava il licenziamento – la società richiamasse espressamente le proroghe semestrali del rapporto, concesse successivamente al raggiungimento del limite anagrafico sancito dalle norme. Inoltre, non era stato considerato che l’ultima proroga fu disposta con lettera del 4 ottobre 2002 fino al successivo giorno 31, sicchè dal primo novembre 2002 fino al recesso del 13 gennaio 2004 e, quindi, per ben 15 mesi, il contratto aveva mutato natura e causale: da proroga di contratto risolto a ordinario contratto dí lavoro a tempo indeterminato, per effetto di intervenuta novazione, con ogni conseguente diritto acquisito, tra cui quello al preavviso in base all’apposita disciplina dettata dall’art. 35 del c.c.n.l..

Entrambe le doglianze vanno disattese in base alle seguenti considerazioni.

Ed invero, riguardo al primo motivo, i giudici di merito hanno incensurabilmente accertato come il ricorrente, nella sua qualità di dirigente, avesse il potere di organizzare le ferie cui aveva diritto, sicchè aveva l’onere di allegare e di dimostrare indifferibili ed oggettive esigenze ostative in proposito. Inoltre, la motivazione dell’impugnata sentenza sul punto dimostra che la Corte territoriale ha tenuto conto del documento per il quale l’appellante assumeva il riconoscimento, da parte della convenuta, del vantato diritto all’indennità sostitutiva, però valutando insignificante tale documentazione, trattandosi di mero computo matematico delle ferie non godute e senza alcun riferimento alla causa di tale mancato godimento, peraltro pacifico tra le parti, ed alla debenza dell’indennità sostitutiva. Inoltre, a giudizio della Corte di merito, nessuno rilievo assumeva la perizia predisposta per la stima del patrimonio sociale dell’ATAF, siccome di esclusivo rilievo contabile.

Orbene, a parte la carenza di idonee e sufficienti allegazioni riguardo all’anzidetta documentazione ed al suo contenuto, ex art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, va comunque osservato come non emerga in alcun modo dagli atti la valenza ricognitiva di cui all’art. 1988 c.c., apoditticamente e genericamente soltanto presupposta, tale da comportare l’inversione dell’onere probatorio a carico della convenuta parte datoriale (cfr. in part. la consolidata giurisprudenza, secondo cui la ricognizione di debito ha natura di negozio unilaterale recettizio, sicchè il suo effetto si verifica solo se la dichiarazione sia indirizzata alla persona del creditore, di modo che non hanno tale valenza gli atti interni di organi non investiti della rappresentanza legale dell’ente: Cass. 1 civ. n. 24710 del 04/12/2015, id. n. 16576 del 18/06/2008.

V. altresì Cass. 3 civ. n. 1101 del 20/01/2006: dalla lettura dell’art. 1988 c.c. si evince che il riconoscimento e la ricognizione di debito non rappresentano una fonte autonoma di obbligazione, ma hanno soltanto un effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale. Conseguentemente, affinchè la dichiarazione unilaterale, con la quale ci si riconosca debitori, possa spiegare i suoi effetti, è necessario che sia rimessa direttamente dall’obbligato al creditore, senza intermediazioni, con lo specifico intento del primo di costituirsi debitore del secondo e la conseguente produzione della sua efficacia nel momento in cui venga a conoscenza del promissario la volontà del mittente di obbligarsi nei suoi confronti. Da ciò deriva che nessuna presunzione può sussistere a beneficio del preteso promissario nel caso in cui la ricognizione ed il riconoscimento del debito siano avvenuti per interposta persona, restando irrilevante che il documento che li contenga venga ugualmente a conoscenza, seppure indirettamente, del presunto creditore. In senso analogo, Cass. n. 23803 – 8/11/2006).

Dunque, non sussiste alcuno dei vizi denunciati, promiscuamente, con il primo motivo, non essendo consentita comunque in sede di legittimità, per giunta con insufficienti allegazioni, valutazione di fatti e di documenti diversamente accertati ed apprezzati dal competente giudice di merito, la cui motivazione di per sè nemmeno assume rilevanza nella previsione di cui al vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo il testo nella specie ratione temporis applicabile con riferimento all’impugnata sentenza risalente al gennaio – marzo 2013. Nè d’altro canto è ipotizzabile la violazione, in particolare, della disciplina derivante dal citato art. 1988, non risultando soprattutto che i documenti menzionati dal ricorrente provenissero dal legale rappresentante, e con poteri dispositivi, verso terzi della società ATAF, nè che gli stessi fossero direttamente indirizzati allo S., preteso creditore.

Parimenti, inconferenti appaiono le censure di cui al secondo motivo di ricorso, laddove la risoluzione del rapporto risulta in effetti avvenuta, a seguito di proroghe concesse da parte datoriale in relazione alle opzioni all’uopo manifestate dal lavoratore interessato, dopo il compimento del 68 anno, quindi ben oltre l’età pensionabile, di guisa che correttamente risulta applicato la L. n. 29 dicembre 1990, n. 407, art. 6, comma 7, donde l’assenza del diritto, infondatamente vantato dall’attore, all’indennità sostitutiva di preavviso (v. l’art. 6 in tema di età pensionabile e prosecuzione del rapporto di lavoro: 1. Gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti ed alle gestioni sostitutive, esonerative o esclusive della medesima possono continuare a prestare la loro opera fino al compimento del sessantaduesimo anno di età, anche nel caso in cui abbiano raggiunto l’anzianità contributiva massima utile prevista dai singoli ordinamenti, semprechè non abbiano ottenuto o non richiedano la liquidazione di una pensione a carico dell’istituto nazionale della previdenza sociale o dei trattamenti sostitutivi, esonerativi o esclusivi dell’assicurazione generale obbligatoria, purchè di vecchiaia.

… OMISSIS …

4. Neí confronti dei lavoratori che esercitano la facoltà di cui ai commi 1 e 3 e con i limiti in essi fissati si applicano le disposizioni della L. 11 maggio 1990, n. 108 – Disciplina dei licenziamenti individuali.

5. Qualora il lavoratore abbia esercitato la facoltà di cui al comma 1, la pensione di vecchiaia decorre dal primo giorno del mese successivo a quello nel quale è stata presentata la domanda di trattamento pensionistico.

6. Gli iscritti che abbiano esercitato la facoltà di cui al comma 1 hanno diritto, a domanda, ad una maggiorazione del trattamento pensionistico di importo pari alla misura del supplemento di pensione… OMISSIS…

7. Nel caso che venga esercitata l’opzione di cui al comma 1, la cessazione del rapporto di lavoro per avvenuto compimento del sessantaduesimo anno di età avviene, in ogni caso, senza obblighi di preavviso per alcuna delle parti.

In seguito, il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 disponeva – con l’art. 1, comma 2 – che il limite di età fosse elevato fino al compimento del 65 anno).

La fattispecie de qua, inoltre, è diversa dal caso esaminato da questa Corte con la sentenza n. 7899 del 17/04/2015, segnalata dal ricorrente con la sua memoria illustrativa (secondo cui nel lavoro subordinato privato, il recesso del datore di lavoro richiede, pur se si tratta del licenziamento di un dirigente, la sussistenza di un giustificato motivo, in forza del principio generale di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 1 dovendosi in ogni caso escludere, a fronte della tipicità e tassatività delle cause di estinzione del rapporto, la legittimità di clausole di risoluzione automatica al compimento di determinate età ovvero al raggiungimento dei requisiti pensionistici, ancorchè esse siano contemplate dalla contrattazione collettiva. In senso conforme Cass. lav. n. 4355 del 02/03/2005, laddove si affermava che in tema di collocamento a riposo d’ufficio, al compimento delle età massime previste dai diversi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche, è inapplicabile la regola generale del lavoro subordinato privato, in base alla quale la tipicità e tassatività delle cause d’estinzione del rapporto escludono risoluzioni automatiche al compimento di determinate età, ovvero con il raggiungimento di requisiti pensionistici, ancorchè contemplate dalla contrattazione collettiva). Infatti, come si rileva pure dalla motivazione di Cass. n. 7899/8 gennaio – 17 aprile 2015, nella specie ivi esaminata non veniva in alcun modo in rilievo l’opzione di cui alla L. n. 407 del 1990, art. 6, comma 1, con conseguente inapplicabilità di alcun preavviso a norma del successivo settimo comma, perciò a differenza di quanto invece pacificamente verificatosi nel caso dello S..

Validamente, pertanto, la pronuncia de qua richiamava il principio affermato da questa Corte con la sentenza n. 5787 del 10/06/1998, secondo cui il licenziamento attuato in violazione del regime di prosecuzione del rapporto, per opzione del lavoratore, oltre la data del conseguimento dei requisiti del pensionamento di vecchiaia, a norma del D.L. n. 791 del 1981, art. 6 (convertito con modificazioni dalla L. n. 54 del 1982), oppure fino al compimento dell’età di 62, a norma della L. n. 407 del 1990, art. 6 e dell’età di 65 anni a norma del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 1 (che ha così innalzato il limite di età posto dalla precedente legge), è affetto da nullità per violazione di norme imperative; tuttavia, mentre in riferimento alla tutela di cui al D.L. n. 791 del 1981 il licenziamento effettuato in considerazione dell’età del lavoratore è invalido, anche se intimato con effetto differito alla data di scadenza della tutela opzionale, la prosecuzione del rapporto a norma della L. n. 407 del 1990, comporta, in base all’art. 6, u.c., la cessazione del rapporto al compimento del previsto limite di età, “senza obblighi di preavviso per alcuna delle parti”, e cioè la risoluzione automatica “de iure” del rapporto di lavoro (similmente, v. in motivazione Cass. lav. n. 8161 del 28/04/2004, che ricordava la facoltà di opzione prevista dalla L. 29 dicembre 1990, n. 407, art. 6 che consente ai lavoratori -iscritti all’assicurazione generale obbligatoria e a gestioni assimilate- di proseguire il rapporto fino al compimento del sessantaduesimo anno, limite poi elevato al compimento del sessantacinquesimo anno, anche nel caso abbiano raggiunto l’anzianità contributiva massima, sempre che non abbiano ottenuto o non richiedano la liquidazione di una pensione a carico dell’INPS – o di trattamenti sostitutivi o assimilabili -, purchè di vecchiaia; in tale evenienza – secondo l’espresso disposto dell’art. 6, comma 4, da ultimo cit. – si applicano le disposizioni della L. n. 108 del 1990; ossia si protrae parimenti nel tempo il regime di stabilità -reale o obbligatoria- del rapporto fino al 62° e poi fino al 65 anno di età, con il cui compimento il rapporto diventa liberamente recedibile senza onere di preavviso e senza quindi diritto all’indennità sostitutiva -come del resto già previsto dal D.L. 22 dicembre 1981, n. 791, art. 6 conv. in L. 26 febbraio 1982, n. 54, per la prosecuzione dell’attività lavorativa fino al conseguimento della anzianità contributiva massima).

Quanto, poi, alle ulteriori osservazioni di parte ricorrente in relazione al 2^ motivo di censura, mancano in atti sufficienti ed idonei elementi di cognizione da cui poter desumere l’ipotizzata novazione, per cui invece a norma dell’art. 1230 c.c. l’obbligazione si estingue quando le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso, mediante adeguata manifestazione di volontà, che deve risultare in modo non equivoco (v. altresì il successivo art. 1231, relativo alle modalità che non importano novazione: rilascio di un documento o la sua rinnovazione, l’apposizione o l’eliminazione di un termine e ogni altra modificazione accessoria dell’obbligazione.

V. tra l’altro Cass. lav. n. 16038 del 17/08/2004: poichè la novazione oggettiva si configura come un contratto estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente con nuove ed autonome situazioni giuridiche, di tale contratto sono elementi essenziali, oltre ai soggetti e alla causa, l’animus novandi, consistente nella inequivoca, comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l’aliquid novi, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto, dovendosi escludere che la semplice regolazione pattizia delle modalità di svolgimento della preesistente prestazione produca novazione. L’esistenza di tali specifici elementi deve essere in concreto verificata dal giudice del merito, con un accertamento di fatto che si sottrae al sindacato di legittimità solamente se è conforme alle disposizioni contenute nell’art. 1230 c.p., commi 1 e 2, e art. 1231 c.c.. Analogamente, n. 4670 del 26/02/2009.

Cass. 5 civ. n. 10318 del 17/05/2005: il mutamento di un solo elemento del contratto, nella specie il termine di scadenza, non costituisce condizione sufficiente perchè si abbia la novazione del rapporto obbligatorio, occorrendo, invece, a tal fine che il rapporto obbligatorio esistente sia estinto con la nascita di una nuova obbligazione, connotata non solo dall'”aliquid novi” ma anche da altri elementi, quali la “causa novandi”, intesa come interesse delle parti all’effetto novativo, e “l’animus novandi”, inteso come manifestazione inequivoca da parte di tutti i contraenti del rapporto originario dell’intento novativo.

Cfr. ancora Cass. lav. n. 4289 del 21/07/1984, secondo cui sia nel caso di licenziamento che in quello di dimissioni, seguiti da riassunzione del lavoratore in una diversa qualifica, il frazionamento effettivo del rapporto si verifica solo se, esclusa la sussistenza di un intento fraudolento, sia configurabile la novazione oggettiva del primo rapporto ai sensi dell’art. 1230 c.c., richiedente la sostituzione dell’obbligazione originaria con una nuova obbligazione avente oggetto o titolo diverso e l’inequivoca volontà di estinguere la prima obbligazione.

V. pure Cass. 3 civ. n. 2069 del 11/06/1969, secondo cui l’accordo di prorogare il termine di scadenza di un contratto di mutuo non è, di per se solo, sufficiente alla configurazione di un contratto nuovo idoneo a sostituirsi al primo in posizione e funzione autonoma. La proroga di un contratto, infatti, non importa un mutamento sostanziale dell’obbligazione relativamente alla sua natura giuridica e all’oggetto della prestazione, ma regola modalità accessorie che, a norma dell’art. 1231 c.c., non producendo novazione, confermano la volontà delle parti di mantenere in vita il precedente contratto.

Cfr. altresì Cass. lav. n. 21366 del 24/10/2016, secondo cui la sopravvenuta trasformazione di un rapporto di lavoro subordinato in un diverso rapporto di lavoro, con il conseguente svolgimento della prestazione sulla base di un titolo negoziale diverso, deve essere dimostrata dalla parte che deduce la trasformazione a seguito di uno specifico negozio novativo, il quale presuppone, innanzi tutto, che risulti la chiara ed univoca volontà delle parti di mutare il regime giuridico del rapporto. In senso conforme Cass. lav. n. 8527/08-04-2009). Nulla di tutto ciò risulta, per contro, essere stato ritualmente e tempestivamente allegato da parte ricorrente, nè sufficientemente enunciato in questa sede di legittimità, sicchè tutta la questione relativa all’asserita novazione si appalesa inconferente ed inammissibile.

Dunque, il ricorso va respinto, con conseguente condanna alle spese della parte rimasta soccombente, tenuta altresì al versamento dell’ulteriore contributo unificato, sussistendone i presupposti di legge.

PQM

 

la Corte RIGETTA il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese, che liquida, a favore della società controricorrente, in Euro 5000,00 (cinquemila/00) per compensi professionali ed in Euro 100,00 (cento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a..

e c.p.a. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2017

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