Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14297 del 08/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 08/06/2017, (ud. 21/12/2016, dep.08/06/2017),  n. 14297

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1676-2014 proposto da:

F.F. C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO RICCARDI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE

LUCA TAMAJO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4980/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 02/07/2013 R.G.N. 32/10;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO del PROCESSO

Con sentenza del 26 giugno – due luglio 2013 la Corte di Appello di Napoli rigettava il gravame proposto da F.F. contro RETE FERROVIARIA ITALIANA S.p.a., avverso la pronuncia in data 5 gennaio 2009, mediante la quale l’adito giudice del lavoro aveva accolto in minima parte la domanda del ricorrente, volta ad ottenere il pagamento di retribuzioni nella misura di Euro 6636,64 oltre accessori, a fronte della maggior somma richiesta in ragione di complessivi Euro 78.189,62 per il periodo 10 luglio 1995 – 31 dicembre 2004 (somma poi ridotta dalla stessa parte attrice a 36.373,27 Euro nel corso del giudizio di primo grado).

Il primo giudicante, infatti, accertato che nella specie il lavoro prestato era stato svolto part-time e non full time, all’esito di c.t.u. contabile aveva riconosciuto l’anzidetta minor somma, compensando quindi per intero le spese di lite.

La Corte di Appello, dunque, condivideva il ragionamento seguito dal giudice di primo grado, visto che il presupposto da cui traeva origine l’azionata pretesa creditoria, ossia la sentenza n. 3961/04, passata in giudicato – con l’accertamento di illegittima interposizione di manodopera e di conseguente rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di Rete Ferroviaria Italiana, altresì con la condanna della convenuta a corrispondere le differenze retributive derivanti dall’applicazione del c.c.n.l. ferrovieri, da quantificarsi in separato giudizio – nulla aveva statuito in ordine alla durata dell’orario di lavoro, risultato però a tempo parziale in base alle buste paga prodotte dal ricorrente, secondo quanto in proposito rilevato dal c.t.u. in sede di operazioni peritali, per cui era emerso il part-time tra il lavoratore e la SOGAF S.r.l., società appaltatrice alle cui dipendenze formalmente costui aveva prestato la sua attività. Era, dunque, del tutto corretta l’appellata pronuncia, che aveva applicato i principi di diritto in tema d’interposizione fittizia di manodopera, secondo cui il contratto di lavoro stipulato con il datore di lavoro interposto conserva la sua validità e spiega in suoi effetti pure nei confronti dell’imprenditore, al cui servizio operano i dipendenti assunti dall’intermediario, secondo lo schema della surrogazione soggettiva legale dell’interponente al datore interposto, che si risolve nella mera sostituzione di un soggetto ad un altro nel rapporto contrattuale, e non già nella nullità dello stesso rapporto. Di conseguenza, non meritavano pregio le censure del F., sollevate per la prima volta in appello, circa l’asserita nullità del contratto a tempo parziale per carenza di forma scritta, laddove poi la questione della pretesa invalidità del contratto intercorso con la SOGAF S.r.l. non aveva formato oggetto del giudizio, nè risultava sollevata in altri procedimenti, sicchè non poteva venire in considerazione in occasione del successivo interposto gravame, per queste ed altre ragioni che qui non interessano respinto, con la conferma dell’impugnata pronuncia, pure in ordine al regolamento delle spese, invece poste a carico dell’appellante per il secondo grado. Avverso la sentenza di appello, n. 4980/13, ha proposto ricorso per cassazione F.F. con due motivi, cui ha resistito RETE FERROVIARIA ITALIANA S.p.a. mediante controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI della DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza impugnata, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione e/o falsa applicazione dei principio di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c. – violazione di ultrapetizione, avendo la Corte territoriale affermato un principio contrario a quello oggetto di sentenza passata in giudicato, che aveva accertato la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato nei confronti RFI S.p.a., visto che alcun accordo scritto risultava in atti circa il preteso part-time.

Con il secondo motivo, in via subordinata, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il F. ha lamentato la nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione del principio di cui al D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 2 e comma 10 convertito in L. n. 863 del 1984, laddove detto art. 5 prevedeva la forma scritta ad substantiam per la riduzione consensuale di un rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. La Corte di Appello non aveva considerato che sarebbe stato onere di parte datoriale dedurre e dimostrare la mancanza di volontà di costituire il rapporto full-time. La stessa Corte aveva comunque mal interpretato i documenti probatori su un punto decisivo della controversia, e cioè il contenuto e la validità della sentenza del Tribunale n. 3961/2004, di accertamento del rapporto con RFI, passata in giudicato.

Entrambe le censure vanno disattese in forza delle seguenti considerazioni.

Invero, quanto alla prima doglianza, premesso che la violazione dei principi di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c. integra error in procedendo, come tale rilevante ex art. 360, n. 4 dello stesso codice di rito, va comunque esclusa l’ipotizzata ultrapetizione, atteso che la Corte di merito si è pronunciata sul petitum della domanda, peraltro nei limiti consentiti dall’effetto devolutivo dell’appello, impugnazione, che come è noto ha natura di revisio prioris instantiae, e non già di novum judicium (cfr. tra le altre Cass. sez. un. civ. n. 3033 08/02/2013 e n. 28498 del 23/12/2005; da ultimo v. ancora Cass. 3 civ. n. 11797 del 9/06/2016: nel vigente ordinamento processuale, il giudizio d’appello non può più dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata, ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata, assumendo l’appellante sempre la veste di attore rispetto al giudizio d’appello e con essa l’onere di dimostrare la fondatezza dei propri motivi di gravame, quale che sia stata la posizione processuale di attore o convenuto assunta nel giudizio di primo grado).

In effetti, la Corte partenopea ha tenuto conto del precedente giudicato, esterno, formatosi tra le stesse parti, ma nell’ambito delle sue precipue attribuzioni in relazione al giudizio di quantificazione, all’uopo instaurato ex novo dal diretto interessato, ha del tutto legittimamente e con adeguata motivazione fornito l’interpretazione del precedente comando giudiziale, giungendo alla conclusione che nella specie il giudicato non aveva accertato in punto di fatto la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno, di guisa che spettava all’attore dimostrare il contrario e che la rivendicata retribuzione corrispondesse effettivamente alla conseguente prestazione. Per di più, anche in diritto, la Corte correttamente osservava che, trattandosi di interposizione fittizia di manodopera, come sul punto accertato dalla sentenza passata in giudicato, non ne scaturiva la nullità dell’intero precedente contratto, ma la sola parziale inefficacia soggettiva, fermo restando il resto. Ed è noto, del resto, che la violazione del divieto di intermediazione nell’assunzione di lavoratori subordinati, posto dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1 nella specie ratione temporis applicabile, comportava la conversione legale del rapporto in capo all’effettivo titolare, ovvero la novazione legale del rapporto mediante la sostituzione soggettiva dell’interponente all’interposto, e quella oggettiva del contenuto economico e normativo tipico dei contratti di lavoro dell’imprenditore reale, per cui il rapporto si considerava costituito fin dall’inizio con l’imprenditore appaltante e non con l’appaltatore.

Orbene, la violazione della cosa giudicata, in quanto importa disapplicazione dell’art. 2909 c.c., è denunziabile in cassazione, ma la Corte deve limitare il suo controllo all’accertamento degli estremi legali per la efficienza del giudicato esterno nel processo in corso, senza potere sindacare la interpretazione che del giudicato stesso abbia dato il giudice di merito, perchè essa rientra nella sfera del libero apprezzamento di quest’ultimo e, quindi, è incensurabile in sede di legittimità, quando l’interpretazione stessa sia immune da errori giuridici o da vizi di logica (Cass. 2 civ. n. 2742 del 21/07/1969. In senso analogo, v. anche Cass. 2 civ. n. 222 del 24/01/1969, secondo cui l’interpretazione del giudicato esterno compete istituzionalmente al giudice di merito ed, ove non sia affetta da errori di logica e di diritto, è incensurabile in sede di legittimità. Idem n. 902 del 21/03/1969. In senso analogo v. anche Cass. n. 2788 del 23/07/1969).

Cfr. ancora Cass. 3 civ. n. 17482 del 9/8/2007, secondo cui l’interpretazione del titolo esecutivo, consistente in una sentenza passata in giudicato si risolve nell’apprezzamento di un fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità se esente da vizi logici o giuridici, senza che possa diversamente opinarsi alla luce dei poteri di rilievo officioso e di diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimità, atteso che, in sede di esecuzione, la sentenza passata in giudicato, pur ponendosi come “giudicato esterno”, non opera come decisione della lite pendente davanti a quel giudice e che lo stesso avrebbe il dovere di decidere, se non fosse stata già decisa, bensì come titolo esecutivo e, pertanto, non va intesa come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, bensì come presupposto dell’esecuzione, senza che vi sia possibilità di contrasto tra giudicati, nè violazione del principio del “ne bis in idem”.

Tanto basta, dunque, per rigettare il primo motivo di ricorso. Peraltro, neanche appare conferente la censura circa il vizio di omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, laddove anche sul punto a pag. 4 della sentenza è dato leggere come fossero state giudicate palesemente prive di pregio le doglianze dell’appellante, formulate per la prima volta in sede di gravame, con riferimento alla pretesa nullità del contratto a tempo parziale per l’asserita carenza di forma scritta. A tal proposito, infatti, la Corte di merito osservava che la questione della validità del contratto intercorso con la SOGAF S.r.l. non aveva formato oggetto della controversia, nè risultava sollevata in altri procedimenti, sicchè non poteva in alcun modo rinvenire in considerazione nel corso del giudizio di gravame.

Dunque, l’articolato primo mezzo d’impugnazione va disatteso, dovendosi peraltro appena rilevare, per completezza, che ivi non risulta formulata alcuna doglianza circa l’anzidetta ratio decidendi, costituita in effetti dalla ritenuta inammissibilità in appello di nuove questioni (evidentemente per il divieto di cui all’art. 437 c.p.c.), ancorchè attinenti all’anzidetta nullità, per difetto di forma, nei sensi ritenuti però irritualmente dedotti dalla sentenza de qua. Ed invero, sul punto nessuna rituale censura per error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 risulta proposta con il ricorso notificato dal F. il due gennaio 2014 (non potendo al riguardo, ovviamente, valere le memorie ex art. 378 c.p.c., eventualmente rilevanti in proposito, avendo le stesse mera portata illustrativa di quanto dedotto con ricorso -o con ricorso incidentale- attraverso cui si consuma il potere l’impugnazione).

Le considerazioni che precedono valgono, evidentemente, anche in relazione al secondo motivo di ricorso, che in buona parte ripete quanto anticipato sul punto dal primo, dovendosi aggiungere soltanto che le contrarie opinioni al riguardo espresse da parte ricorrente -circa la portata della documentazione ivi menzionata (ma non meglio invero specificamente allegata, nei sensi invece richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), il cui contenuto e la cui valenza probatoria non sarebbero stati colti dalla Corte di Appello – si sostanziano in meri dissensi su quanto invece diversamente accertato e valutato nonchè apprezzato in punto di fatto dai giudici di merito, peraltro con motivazione complessivamente esauriente, mediante riferimento a quanto verificato dal c.t.u. contabile nell’esame delle buste paga, motivazione peraltro indubbiamente sufficiente ex art. 360 c.p.c., n. 5 nuovo testo (in relazione alla sentenza de qua, risalente al giugno/luglio 2013) e dunque ampiamente rientrante nella soglia del c.d. minimo costituzionale, secondo l’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte (v. le sentenze gemelle nn. 8053 e 8054 del sette aprile 2014, secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; ne deriva che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione).

Infine, circostanza ad ogni modo dirimente, in relazione ai crediti vantati dall’attore, è costituita dal fatto che comunque la pretesa creditoria azionata dal F. risulta riconosciuta in ragione di quanto effettivamente in fatto allegato e nei limiti in cui, inoltre, le vantate differenze retributive potevano trovare riscontro in corrispondenti prestazioni, sicchè, tenuto conto della natura sinallagmatica del rapporto di lavoro subordinato, legittimamente è stato accertato il diritto al corrispettivo con riferimento soltanto all’orario lavoro risultante di fatto osservato (cfr., in part., il passo della sentenza, in cui si legge:…la quantificazione delle differenze retributive che competono al F. va modulata alla stregua della documentazione ritualmente entrata nella dinamica processuale, che attesta l’intercorrenza di un rapporto di lavoro a tempo parziale in cuí l’obbligazione retributiva a carico della parte datoriale deve essere conforme e proporzionata alla quantità di lavoro svolto da lavoratore, il quale conseguentemente non può pretendere di ricevere un compenso per ore non lavorate…).

Dunque, il ricorso va respinto, con conseguente condanna alle spese della parte rimasta soccombente, tenuta altresì al versamento dell’ulteriore contributo unificato, sussistendone i presupposti di legge.

PQM

 

la Corte RIGETTA il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese, che liquida, a favore della società controricorrente, in Euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi professionali ed in Euro 100,00 (cento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2017

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