Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14296 del 28/06/2011
Cassazione civile sez. lav., 28/06/2011, (ud. 12/05/2011, dep. 28/06/2011), n.14296
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –
Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –
Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –
Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 9440-2007 proposto da:
P.V.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
G.B. BENEDETTI 4, presso lo studio dell’avvocato POLESE FABRIZI,
rappresentata e difesa dall’avvocato CRIMI GIOVANNI, giusta delega in
atti;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORRERA
FABRIZIO, CALIULO LUIGI, CORETTI ANTONIETTA, giusta delega in atti;
ASSESSORATO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE, DELLA FORMAZIONE
PROFESSIONALE E DELL’EMIGRAZIONE DELLA REGIONE SICILIA, in persona
del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la
rappresenta e difende ope legis;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 216/2006 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,
depositata il 16/03/2006 r.g.n. 1972/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
12/05/2011 dal Consigliere Dott. MAURA LA TERZA;
udito l’Avvocato CALIULO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
GAETA Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Palermo confermava la statuizione di primo grado con cui era stata rigettata la domanda proposta da P.V.G. nei confronti dell’Inps e dell’Assessorato del Lavoro della Regione Sicilia per la reiscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli per il periodo 1985/1996 ed ottenere le indennità di maternità e di disoccupazione. La Corte territoriale confermava in primo luogo il difetto di legittimazione passiva dell’Assessorato perchè tutte le competenze in materia di iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli erano passate dallo Scau all’Inps. Nel merito la Corte adita escludeva che fosse stata fornita la prova del rapporto di piccola colonia che avrebbe dato diritto alla iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli. La piccola colonia, affermava infatti la Corte adita, comporta un attività imprenditoriale diretta alla coltivazione del fondo in cooperazione economica con il concedente , a cui il colono si associa assumendo, alla pari di questi, il rischio di impresa. Ove l’Inps contesti la sussistenza del rapporto, spetta all’interessato fornirne la prova, che nella specie non era stata offerta, non essendo sufficiente la produzione del contratto stipulato dalla P. con la madre N.P. (peraltro la P. aveva negato davanti agli ispettori il rapporto di parentela con la N.), anche perchè le prove esperite in appello erano lacunose, avendo i testi affermato di aver visto la P. lavorare nel fondo, ma senza prova degli altri elementi e quindi neppure della soglia minima di 51 giornate all’anno.
Avverso detta sentenza la soccombente ricorre con quattro motivi, illustrati da memoria. Resiste l’Inps con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si censura la sentenza per violazione del D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 9 per avere escluso la legittimazione Assessorato al lavoro della Regione siciliana.
Il motivo non è fondato giacchè la legittimazione passiva in relazione alle iscrizione dei lavoratori agricoli, dipendenti ed autonomi, era riservata all’ente preposto alla tenuta dei relativi elenchi, ossia allo Scau, come previsto anche dalla legge invocata dalla ricorrente, fino all’entrata in vigore della L. n. 724 del 1994, art. 19 che ne ha stabilito la soppressione, con passaggio delle relative competenze all’Inps. Quindi l’Assessorato al lavoro, qualunque sia l’epoca del passaggio di funzioni dall’uno all’altro ente, è sempre rimasto estraneo alla materia della iscrizione nei predetti elenchi.
Con il secondo mezzo si censura la sentenza per violazione del D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 9 e degli artt. 2084, 2164, 2165, 2166, 2167, 2169 e 2697 cod. civ..
Premessa la distinzione tra il rapporto di lavoro subordinato e di quello di piccola colonia, si ascrive alla sentenza di non avere considerato che vi era la prova del rapporto concessorio con la N., che erano stati pagati i contributi e che gli ispettori non avevano effettuato alcun accesso sul fondo per accertare lo stato delle colture e le persone che eseguivano i lavori, ma si erano limitati a redigere il rapporto ispettivo.
Con il terzo mezzo ci si duole del fatto che i Giudici di merito non abbiano chiesto chiarimenti sul rapporto associativo ai testimoni, pur avendo ritenuto lacunose le loro deposizioni. Per i piccoli coloni non sarebbero necessarie le 51 giornate all’anno di lavoro.
Con il quarto mezzo denunciando difetto di motivazione, si lamenta del fatto che sia stata disposta la cancellazione dagli elenchi dal 1996 e quindi in via retroattiva rispetto alla data del verbale ispettivo del 1998.
Detti motivi, da esaminare congiuntamente, non sono fondati.
In primo luogo l’onere della prova sulla esistenza del rapporto di colonia e quindi sul diritto alla iscrizione negli elenchi gravava sulla medesima ricorrente.
E’ stato infatti affermato (tra le tante Cass. n. 7845 del 19/05/2003) che “L’iscrizione di un lavoratore nell’elenco dei lavoratori agricoli svolge una funzione di agevolazione probatoria che viene meno qualora l’INPS, a seguito di un controllo, disconosca l’esistenza del rapporto di lavoro, esercitando una propria facoltà (che trova conferma nel D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 9) con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore ha l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto all’iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale fatto valere in giudizio”.
Lo stesso onere della prova si configura per le richieste prestazioni di maternità e di disoccupazione, essendosi affermato (Cass. n. 3192 del 05/03/2001) che “La concessione alle coltivatrici dirette dell’indennità giornaliera di maternità, prevista dalla L. 29 dicembre 1987, n. 546, art. 1 presuppone che al momento in cui si verifica l’evento indennizzabile la lavoratrice risulti iscritta negli elenchi dei coltivatori diretti, posto che la costituzione del rapporto previdenziale avviene solo con l’iscrizione negli appositi elenchi di categoria, ai sensi della L. n. 9 del 1963, art. 11 come modificato dalla L. n. 153 del 1969, art. 63”.
Nè si può sostenere che l’accertamento ispettivo non poteva operare per un periodo anteriore, perchè spettava pur sempre alla ricorrente dimostrare che per tutto il periodo in contestazione 1985/1996, aveva diritto alla suddetta iscrizione.
Non si ravvisa poi alcuna incongruità nel ragionamento dei Giudici di merito, per cui le deposizioni testimoniali erano lacunose perchè i testi si erano limitati a riferire della presenza della ricorrente sul fondo, mentre non erano emerse le altre circostanze necessarie richieste dalla legge, come il numero delle giornate.
Ed infatti, per il diritto alle indennità di maternità e di disoccupazione la L. 12 marzo 1968, n. 334, contenente norme per l’accertamento dei lavoratori agricoli aventi diritto alla prestazioni previdenziali e per l’accertamento dei contributi unificati in agricoltura, dispone all’art. 8 che “i compartecipati familiari e i piccoli coloni sono equiparati, ai fini dei contributi e delle prestazioni previdenziali, ai giornalieri di campagna, ossia ai lavoratori dipendenti, per i quali è prescritto, per il diritto alle indennità richieste (della L. n. 638 del 1983, art. 5, comma 6) lo svolgimento di almeno 51 giornate all’anno.
Nè la ricorrente evidenzia l’esistenza di “piste probatorie” che i Giudici di merito avrebbero trascurato di perseguire, di talchè le censure sul difetto di motivazione si concretano in sostanza nella richiesta di un diverso apprezzamento dei fatti, inammissibile in questa sede.
Il ricorso va quindi rigettato.
Nulla per le spese ex art. 152 disp. att. cod. proc. civ. nel testo anteriore alle modifiche del 2003 non applicabili ratione temporis essendo la causa iniziata in precedenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 12 maggio 2011.
Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2011