Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14295 del 28/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/06/2011, (ud. 12/05/2011, dep. 28/06/2011), n.14295

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9108-2007 proposto da:

Z.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANAPO 29,

presso lo studio dell’avvocato DI GRAVIO DARIO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato TAMBERI MARIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORRERA

FABRIZIO, CALIULO LUIGI, SGROI ANTONINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1492/06 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 14/11/2006 r.g.n. 1897/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2011 dal Consigliere Dott. MAURA LA TERZA;

udito l’Avvocato DOMENICO TALARICO per delega DARIO DI GRAVIO;

udito l’Avvocato CALIULO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

GAETA Pietro che ha concluso per l’improcedibilità in subordine il

rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza in epigrafe indicata, che è stata depositata nella copia autentica notificata da controparte, la Corte d’appello di Firenze, modificando la statuizione di primo grado, rigettava la domanda proposta da Z.M. nei confronti dell’Inps con cui si chiedeva che venisse dichiarato illegittimo ed annullato il provvedimento dell’Istituto del 12 maggio 2007 di annullamento della sua posizione assicurativa, che constava di 895 settimane di contribuzione. La Corte territoriale disattendeva la tesi del primo Giudice per cui l’Inps, costituitosi tardivamente, non aveva fornito la prova della inesistenza del rapporto di lavoro essendosi limitato a produrre una sentenza di patteggiamento; affermavano invece i Giudici d’appello che la prova del diritto alla posizione assicurativa competeva all’interessato, il quale doveva dimostrare l’esistenza del rapporto di lavoro, senza alcuna inversione dell’onere probatorio e, nella specie, nel ricorso introduttivo non era stato richiesto alcun mezzo di prova sulla esistenza del rapporto. I Avverso detta sentenza la Z. ricorre con due motivi, illustrati da memoria. L’Inps resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, denunciando violazione dell’art. 2697 cod. civ. ed error in procedendo per falsa applicazione della L. n. 88 del 1989, art. 46 e dell’art. 443 cod. proc. civ. si sostiene che la revoca sarebbe atto demolitivo di un rapporto fino ad allora esistente, di talchè l’onere della prova sulla sussistenza dei presupposti che lo legittimavano incomberebbe sull’Inps, anche perchè, contrariamente a quanto affermato dalla giurisprudenza citata dai Giudici di merito, non vi era mai stato un provvedimento di rigetto in sede amministrativa di una domanda di prestazione. Con il secondo motivo, denunziando violazione degli artt. 416, 437, 115 e 116 cod. proc. civ. si sostiene che la tardività della costituzione in giudizio aveva impedito all’Istituto di contestare i fatti allegati, e cioè la prestazione lavorativa in favore del Comitato Provinciale della D.C. di Grosseto per i periodi in cui la contribuzione risultava annullata.

Il ricorso non merita accoglimento.

Quanto al primo motivo, non spettava all’Istituto dimostrare i presupposti per l’annullamento della posizione assicurativa, giacchè l’avere aperto detta posizione non rendeva intangibili e irretrattabili definitivamente i presupposti legittimanti, dal momento che anche questo annullamento è soggetto agli stessi principi che regolano i provvedimenti di revoca. Ed infatti come la L. n. 88 del 1989, art. 52 impone la rettifica in ogni momento delle prestazioni pensionistiche erogate nel caso di errori di qualsiasi natura, consentendone così la revoca, allo stesso modo si impone l’annullamento della posizione assicurativa aperta ove si scopra che non ne esistevano i presupposti. La giurisprudenza di legittimità ha infatti più volte affermato (tra le tante Cass. n. 15267 del 06/08/2004) che “L’atto di concessione della pensione è un atto amministrativo di mera certazione della sussistenza dei presupposti di legge per il riconoscimento della prestazione previdenziale, e non anche atto negoziale di riconoscimento del relativo debito e non determina, pertanto, ex art. 1988 cod. civ., l’inversione dell’onere della prova. Ne consegue che, se successivamente l’ente previdenziale accerti l’insussistenza dei predetti requisiti e revochi la pensione, incombe sull’assicurata, che affermi il diritto alla prestazione, l’onere di provarne i fatti costitutivi”.

Parimenti infondato è il secondo motivo, in primo luogo perchè il convenuto costituito tardivamente decade, ex art. 416 cod. proc. civ. dalle eccezioni in senso proprio e cioè da quelle non rilevabili d’ufficio, mentre l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato fungeva da fatto costitutivo presupposto per il diritto alla posizione assicurativa chiesto dalla originaria ricorrente. Inoltre è principio consolidato (tra le tante Cass. Sez. U, n. 11353 del 17/06/2004) che “Nel processo del lavoro, le parti concorrono a delineare la materia controversa, di talchè la mancata contestazione del fatto costitutivo del diritto rende inutile provare il fatto stesso perchè lo rende incontroverso, mentre la mancata contestazione dei fatti dedotti in esclusiva funzione probatoria opera unicamente sulla formulazione del convincimento del giudice.

Tuttavia, intanto la mancata contestazione da parte del convenuto può avere le conseguenze ora specificate, in quanto i dati fattuali, interessanti sotto diversi profili la domanda attrice, siano tutti esplicitati in modo esaustivo in ricorso (o perchè fondativi del diritto fatto valere in giudizio o perchè rivolti a introdurre nel giudizio stesso circostanze di mera rilevanza istruttoria), non potendo, il convenuto, contestare ciò che non è stato detto, anche perchè il rito del lavoro si caratterizza per una circolante tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova, donde l’impossibilità di contestare o richiedere prova – oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito – su fatti non allegati nonchè su circostanze che, pur configurandosi come presupposti o elementi condizionanti il diritto azionato, non siano state esplicitate in modo espresso e specifico nel ricorso introduttivo”.

Nella specie, come si riporta nel presente ricorso, nell’atto introduttivo la ricorrente si era limitata ad allegare di “avere prestato la propria attività lavorativa in favore Comitato Provinciale della D.C. di Grosseto per i periodi in cui la contribuzione risultava annullata”. Non vi era quindi menzione di nessun elemento comprovante le caratteristiche della attività svolta – modi, tempi, continuità per tutto il periodo – che potesse dimostrarne la natura subordinata, e quindi non vi era allegazione di “fatti” specifici idonei a sorreggere la domanda. La genericità della allegazione non rendeva quindi necessaria la tempestiva contestazione, perchè quei fatti, anche se ritenuti pacifici, non potevano in alcun caso determinare una decisione di accoglimento, neppure nel caso in cui l’Istituto fosse rimasto contumace.

Infine nel presente ricorso si riporta il brano della sentenza impugnata (così consentendo la piena conoscenza di tutte le argomentazioni svolte, ancorchè la sentenza prodotta risulti incompleta, senza che peraltro di ciò si possa far carico alla ricorrente, cfr. sul punto Cass. n. 5725/1999, perchè nello stesso testo incompleto era stata notificata dall’Istituto) in cui si rileva che le contestazioni dell’Inps erano invece specifiche e complete.

Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese ex art. 152 disp. att. cod. proc. civ. nel testo anteriore alle modifiche del 2003 non applicabili ratione temporis essendo la causa iniziata in precedenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, 12 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2011

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