Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14294 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/05/2021, (ud. 11/03/2021, dep. 25/05/2021), n.14294

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28224-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

LC TECNOIMPIPIANTI SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 102/1/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA BASILICATA, depositata il 25/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

Ritenuto che:

La CTR della Basilicata, con sentenza n. 102/2019, rigettava l’appello proposto dall’Ufficio avverso la pronuncia della CTP di Potenza con cui era stato accolto il ricorso della società LC Tecnoimpianti s.r.l. nei confronti dell’avviso di accertamento avente ad oggetto, alla luce degli studi di settore, la rideterminazione del reddito ai fini Ires, Iva ed Irap.

Il giudice di appello rilevava che la presunzione costituita dal giudizio di antieconomicità operata dall’Ufficio se pur sufficiente a giustificare l’operato accertativo doveva essere confortata da ulteriori elementi non potendo costituire elemento probatorio di elusione fiscale specie alla luce dei dati forniti dal contribuente a conforto dello scostamento reddituale.

Osservava che non rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni non potendosi spingersi il sindacato giudiziale alla verifica oggettiva circa l’opportunità di tali costi rispetto all’oggetto dell’attività trattandosi di valutazioni di strategia commerciale riservate all’imprenditore.

Avverso tale sentenza l’Ufficio propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo con cui si censura la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexies, convertito con modificazioni dalla L. n. 427 del 1993, nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. D9, artt. 2729 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’intimata non si è costituita.

Diritto

Considerato che:

L’Amministrazione finanziaria si duole che la CTR si sarebbe limitata ad analizzare e confutare gli elementi posti a base della presunzione legale relativa offerta dagli studi di settore anzichè valutare le argomentazioni addotte in giudizio dalla contribuente e la loro idoneità a contrastare le risultanze del metodo utilizzato.

Si sostiene che il ragionamento seguito dal giudice di appello secondo cui l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto fornire ” ulteriori elementi” a supporto delle risultanze dello studio di settore non terrebbe conto della ripartizione degli oneri probatori.

Si evidenzia, che contrariamente a quanto affermato dalla CTR, e pur non essendovi tenuto, l’Ufficio delle entrate non si sottraeva all’onere di indicare gli elementi utili a confortare i predetti studi quali la bassa redditività dichiarata, che ove rispondente a verità, avrebbe lasciato emergere una gestione antieconomica nonchè il finanziamento ricevuta dalla società da parte dei soci che avevano conferito ad essa l’importo di Euro 1.048.708,00 nonostante non fossero mai stati distribuiti utili, l’incoerenza dei ricavi relativi agli ultimi tre anni.

Il motivo è fondato.

Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la procedura di accertamento attraverso gli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni che si forma procedimentalmente all’esito del contraddittorio, che è finalizzato, appunto, a verificare l’applicabilità dello specifico standard dello studio di settore al caso concreto oggetto di accertamento.

In particolare, i c.d. studi di settore introdotti dal D.L. n. 331 del 1993, artt. 62-bis e 62-sexies, direttamente derivanti dai “redditometri” o “coefficienti di reddito e di ricavi” previsti dal D.L. 2 marzo 1989, n. 69, convertito in L. 27 aprile 1989, n. 154, idonei a fondare semplici presunzioni, sono da ritenere supporti razionali offerti dall’Amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato ai notiziari Istat, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti. Pertanto, i dati in tal modo presunti possono essere utilizzati dall’ufficio anche in contrasto con le risultanze di scritture contabili regolarmente tenute, finchè non ne sia dimostrata l’infondatezza mediante idonea prova contraria, il cui onere è a carico del contribuente (Cfr. anche Cass. n. 18666 del 2016; n. 5977 del 2007, n. 26919 del 2006).

Invero, la circostanza che il ricorrente a fronte di notevoli costi, dichiari un reddito esiguo, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sè sufficiente a giustificare da parte dell’erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, a meno che il contribuente non dimostri concretamente la effettiva sussistenza di validi motivi per porre in essere un comportamento palesemente antieconomico. Il che non si traduce in un sindacato sulle scelte imprenditoriali, ma consente di presumere l’esistenza di proventi non dichiarati, correttamente desunta dalla abnormità, ed irragionevolezza dei dati dichiarati, che lasciando presupporre una attività gestionale antieconomica, induce, logicamente, a ritenere complessivamente inattendibile la documentazione. In tali casi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici -purchè gravi, precise e concordanti- un maggior reddito di impresa. Va, quindi, ribadito il principio per cui “un comportamento del contribuente palesemente antieconomico costituito da un rilevante rapporto deficitario tra valore complessivo dei costi sostenuti e i ricavi dichiarati integra le gravi incongruenze che legittimano l’applicazione degli studi di settore” (Cass. n. 18666 del 2016); a fronte di condotte aziendali che risultano in netto contrasto con le leggi del mercato, compete, infatti, all’imprenditore dimostrare, in modo specifico, che la differenza negativa tra costi di acquisto e prezzi di rivendita, emersa dalle scritture contabili, non è dovuta all’occultamento di corrispettivi, ma trova valide ragioni economiche che la giustificano (ex pluribus, Cass. n. 80681/2010; n. 11242/2011; Cass. n. 33279 del 2018);

Ciò posto nel caso di specie, il contraddittorio preventivo è stato attivato; la parte ha avuto modo di rappresentare le proprie giustificazioni; l’ufficio ha puntualmente analizzato gli elementi giustificativi addotti dalla contribuente, rettificando la compilazione del modello di studio di settore riducendo lo scostamento dal ricavo ad Euro 47.785,00 come emerge dall’avviso di accertamento debitamente riportato nel corpo del ricorso in ossequio al principio dell’autosufficienza.

Sulla base di quanto esposto l’Ufficio è pervenuto alla rideterminazione del reddito d’impresa (dipendente da un sottodimensionamento dei ricavi) all’esito della stima dei ricavi medesimi alla stregua degli studi di settore, con l’emersione, in definitiva, dell’antieconomicità della gestione dell’attività de qua (Cass. n. 22749 del 2020).

In questo quadro gravava sulla contribuente l’onere di dimostrare, attraverso informazioni ricavabili da fonti di prova acquisite al processo con qualsiasi mezzo, la sussistenza di circostanze di fatto tali da far discostare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento e giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale in virtù di detta procedura (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 769 del 15/01/2019 Rv. 652188 – 01).

La CTR ha invece erroneamente sostenuto che sarebbe spettato all’amministrazione indicare e dimostrare fatti specifici idonei a confermare l’attendibilità del metodo presuntivo, il che è erroneo poichè un tale onere è predicabile solo ove non sia stato instaurato il contraddittorio ovvero quando, attivato quest’ultimo, il contribuente abbia offerto elementi sia pure presuntivi in grado di giustificare lo scostamento, atteso che, in caso contrario, ove cioè, come nella specie, il contraddittorio sia stato attivato e la contribuente abbia dedotto elementi che sono stati presi in considerazione con la ricompilazione degli studi di settore ben può bastare, di per sè, l’applicazione di tale strumento. Tanto più che, comunque, l’Ufficio ha poi indicato anche altre consistenti presunzioni a conforto della tipologia di accertamento applicata.

La sentenza va cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti va decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente.

Spese di merito compensate nessuna determinazione per quelle di legittimità in assenza di costituzione della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la decisione impugna e decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso della contribuente; compensa le spese del merito;

nulla per le spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 11 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

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