Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14294 del 13/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 13/07/2016, (ud. 28/06/2016, dep. 13/07/2016), n.14294

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 1810 del ruolo generale dell’anno

2011, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’avvocatura dello Stato, presso gli uffici

della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, domicilia;

– ricorrente –

contro

Fallimento di s.r.l. EFFETRE in liquidazione, in persona del

curatore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine

del controricorso, dagli avvocati Loris Tosi e Giuseppe Marini,

elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Roma, alla

via Monti Parioli, n. 48;

– contro ricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Veneto, sezione 9, depositata in data 1 dicembre 2009,

n. 79/9/09;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

28 giugno 2016 dal consigliere Angelina Maria Perrino;

uditi per l’Agenzia delle entrate l’avvocato dello Stato Francesco

Meloncelli e per il curatore l’avv. Ulisse Corea per delega

dell’avv. Giuseppe Marini;

udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Luigi Cuomo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale.

Fatto

L’Agenzia delle entrate ha notificato alla società ancora in bonis un avviso col quale ha accertato una maggiore iva ed ha irrogato le sanzioni conseguenti. Ciò in base ad un processo verbale di constatazione dal quale era emerso, in relazione all’anno d’imposta 2000, per quanto ancora d’interesse, l’omessa prova dell’effettiva esportazione fuori dal territorio comunitario di taluni beni fatturati in regime di non imponibilità e lo sforamento del plafond formatosi nel 1999 ed utilizzabile per l’anno d’imposta 2000, in relazione alla quota per la quale non era stata addotta idonea dimostrazione dell’esportazione di beni per l’anno precedente. La contribuente, nel frattempo fallita, ha impugnato l’avviso, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale;

quella regionale ha respinto il gravame dell’ufficio, reputando anzituttto legittima la produzione di fotocopie e ritenendo, nel merito, che la società avesse fornito la prova dell’avvenuta esportazione dei beni a norma dell’art. 346 del d.P.R. 23 gennaio 1972, n. 43.

Avverso questa sentenza propone ricorso l’Agenzia per ottenerne la cassazione, che affida a cinque motivi, cui il curatore del fallimento replica con controricorso.

Diritto

1.- Infondato è il primo motivo del ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, col quale l’Agenzia si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, deducendo il vizio di motivazione apparente della sentenza impugnata con riferimento all’idoneità probatoria della documentazione esibita dal curatore a sostegno della regolarità dell’esecuzione delle esportazioni delle quali si discute.

La Corte ha già avuto occasione di rimarcare (vedi, in particolare, tra le tante, Cass. 27 maggio 2011, n. 11710) che non adempie il dovere di motivazione il giudice che non formuli alcuna specifica valutazione dei fatti rilevanti di causa, e, dunque, non ricostruisca la fattispecie concreta ai fini della sussunzione in quella astratta.

Soltanto al cospetto della mancanza di valutazione il sillogismo, che distingue il giudizio, finisce per esser monco della premessa minore, e dunque necessariamente privo della conclusione razionale.

Di contro, la sentenza impugnata espone un percorso logico coerente, giacchè fa leva sull’esistenza della documentazione esibita, sostenendo che il suo “ingresso in forma libera” è consentito dalla legge.

1.1.-Una tale motivazione esclude che la si possa qualificare come apparente, ossia nei fatti mancante.

Ciò in base all’insegnamento delle sezioni unite della Corte, secondo cui la mancanza si configura quando la motivazione manchi del tutto, nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione, oppure la motivazione formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053, punto 14.5.1 nonchè sez. un., 22 settembre 2014, n. 19881).

2.- Col secondo e nel terzo motivo di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente perchè connessi, l’Agenzia si duole:

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dell’omessa motivazione sul punto di fatto decisivo rappresentato dalla valenza probatoria della documentazione esibita – secondo motivo;

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, della L. n. 413 del 1991, art. 13, comma 1, e del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 346, là dove la Commissione tributaria regionale ha finito per reputare sufficienti a dimostrare l’avvenuta esportazione fuori dai confini comunitari documenti diversi da quelli richiesti dalle norme richiamate-terzo motivo.

2.1.- Non può essere accolta l’eccezione di violazione del giudicato esterno pio osta dal curatore, il quale all’uopo fa leva sulle sentenze n. 5/9/07 e 4/9/07 della Commissione tributaria regionale del Veneto, entrambe passate in giudicato, concernenti, rispettivamente, l’avviso di accertamento n. 8360 e l’atto di contestazione prot. n. 18927/165/Z/19 n. 25/A, scaturenti dal medesimo processo verbale di constatazione che ha dato origine all’avviso di accertamento esaminato dalla sentenza impugnata.

Nessun giudicato opponibile è difatti configurabile, giacchè entrambe le sentenze sono state pronunciate nei confronti dell’Agenzia delle dogane e non già nei confronti dell’Agenzia delle entrate.

Basti al riguardo la considerazione che, in tema di giudicato, qualora due giudizi facciano riferimento ad uno stesso rapporto giuridico ed uno dei due si sia concluso con sentenza definitiva, il principio, secondo il quale l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause preclude il riesame dello stesso punto, non trova applicazione allorchè tra i due giudizi non vi sia identità di parti, essendo l’efficacia soggettiva del giudicato circoscritta, ai sensi dell’art. 2909 c.c., ai soggetti posti in condizione di intervenire nel processo (Cass., 19 giugno 2015, n. 12764; conf., 18 febbraio 2015, n. 3187, che ha escluso l’identità delle parti nei due giudizi instaurati dal contribuente avverso il provvedimento di diniego di rimborso – l’uno contro l’ufficio distrettuale delle imposte dirette e l’altro contro l’intendenza di finanza – e conseguentemente ha rigettato l’appello incidentale, proposto dell’agenzia delle entrate per la violazione del divieto di ne bis in idem).

2.2.- A tanto va aggiunto, con riguardo alla sentenza n. 4/9/07, che la, circostanza che di tale sentenza non risulti traccia negli atti del giudizio di secondo grado comporta l’applicazione del principio di diritto, in base al quale (Cass., sez. un., 20 ottobre 2010, n. 21493), in tema di impugnazioni, nel caso in cui il giudicato esterno si sia formato nel corso del giudizio di secondo grado e la sua esistenza non sia stata eccepita, nel corso dello stesso, dalla parte interessata, la sentenza di appello che si sia pronunciata in difformità da tale giudicato è impugnabile con il ricorso per revocazione e non con quello per cassazione.

L’esame degli atti ha difatti consentito di acclarare che:

– entrambe le sentenze invocate sono state depositate in data 13 marzo 2007, di modo che, in mancanza di notifica utile a far decorrere il termine breve d’impugnazione, sono divenute cosa giudicata per mancanza d’impugnazione in data 28 aprile 2008;

– l’atto di costituzione, controdeduzioni e appello incidentale proposto dal curatore dinanzi alla Commissione tributaria regionale nel giudizio definito dalla sentenza impugnata, benchè depositato in data 24 dicembre 2008, successivamente, dunque, alla formazione della cosa giudicata, non menziona alcuna delle due sentenze;

– nel corso dell’udienza di discussione del 21 settembre 2009, in esito alla quale il giudice d’appello ha deciso la controversia, tuttavia, il fallimento della società appellata ha prodotto la – sola – sentenza n. 5/9/07, dichiarando che essa non era stata impugnata e formalmente eccependo il giudicato esterno.

2.3.- Infondata è poi l’eccezione di novità proposta in controricorso in relazione alla censura dell’Agenzia relativa all’idoneità probatoria della documentazione addotta dal curatore, giacchè, nella prospettazione del controricorrente, la questione è stata sollevata per la prima volta dall’ufficio in sede di appello avverso la sentenza di primo grado.

In tema di contenzioso tributario, difatti, il divieto di propone nuove eccezioni in appello, posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2, riguarda l’eccezione in senso tecnico, ossia lo strumento processuale con cui il contribuente, in qualità di convenuto in senso sostanziale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale, ma non limita la possibilità dell’amministrazione di difendersi dalle contestazioni già dedotte in giudizio, perchè le difese, le argomentazioni e le prospettazioni dirette a contestare la fondatezza di un’eccezione non costituiscono, a loro volta, eccezione in senso tecnico (Cass., ord. 7 giugno 2013, n. 14486).

3.-Nel merito, emerge dalla giurisprudenza comunitaria il principio in base al quale la reale ricorrenza dei requisiti del sistema IVA non può essere ingiustificatamente compressa sul piano della prova, in forme tali da conculcare i diritti degli operatori economici nel sistema dei tributi armonizzati sulla cifra d’affari (vedi, in particolare, Corte di Giustizia 27 settembre 2007, in cause C-409/05, C-146/05, C-184/05).

Il principio va, tuttavia, coniugato con l’esigenza di rigorosa prevenzione antifrode su cui la giurisprudenza comunitaria insiste (tra le ultime, Corte giust. 8 settembre 2015, causa C-109/14, Taricco ed altri).

3.1.- Ne scaturisce il consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale la destinazione della merce all’esportazione deve essere provata da adeguata documentazione doganale, oppure dalla vidimazione apposta dall’ufficio doganale sulla fattura o su un esemplare della bolla di accompagnamento o, se quest’ultima non è prescritta, del documento di trasporto, oppure secondo modi e tempi previsti da appositi decreti ministeriali: “…pur dovendosi ritenere che tale prova possa essere fornita con ogni mezzo, non potendosi addebitare all’esportatore la mancata esibizione di un documento di cui egli non ha la disponibilità, resta pur sempre che debba trattarsi di una prova certa ed incontrovertibile, quale l’attestazione di pubbliche amministrazioni del paese di destinazione dell’avvenuta presentazione delle merci in dogana. Del resto…il regime probatorio dell’esportazione deve essere ricavato dalla disciplina doganale, e precisamente dall’art. 346, del testo unico delle leggi doganali numero 43 del 1973, il quale consente di dare la prova dell’esportazione anche per mezzo di documentazione rilasciata da pubblica amministrazione o da dogana estera” (Cass. 3 maggio 2002, n. 6351; conformi, 5 dicembre 2012, n. 21809; 6 settembre 2013, n. 20487 e 27 gennaio 2014, n. 1970).

Nel caso in esame, la stringatissima motivazione della sentenza impugnata, che si limita a far leva sull'”apposita documentazione” esibita, non consente di ritenere che la prova sia stata fornita mediante documentazione rilasciata dal pubblica amministrazione o da dogana estera in relazione a tutte le cessioni in contestazione.

Per conseguenza la sentenza va cassata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Veneto.

4.- Vanno, invece, dichiarati inammissibili il quarto ed il quinto motivo, che affrontano sotto diversi profili la medesima questione, con i quali l’Agenzia lamenta, in entrambi i casi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4:

– la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., denunciando l’omessa pronuncia in ordine ai rilievi minori dell’avviso di accertamento – quarto motivo;

– la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione ai medesimi profili – quinto motivo.

La complessiva censura manca di autosufficienza, in quanto non riporta, nè comunque descrive i “rilievi minori”, dei quali, pure, assume la rilevanza sotto il profilo sanzionatorio.

5.- Il ricorso va in conseguenza accolto limitatamente al secondo ed al terzo motivo e la sentenza va cassata in relazione ai profili corrispondenti, che saranno esaminati dal giudice del rinvio, il quale provvederà anche alla regolazione complessiva delle spese.

PQM

La Corte:

rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo ed il terzo, dichiara inammissibili i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Veneto.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2016

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