Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14292 del 15/06/2010

Cassazione civile sez. un., 15/06/2010, (ud. 27/04/2010, dep. 15/06/2010), n.14292

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. DE LUCA Michele – Presidente di Sezione –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2363/2005 proposto da:

A.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA APPENNINI

46, presso lo studio dell’avvocato FALCETTA MARCELLA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.A. ((OMISSIS)), F.M., elettivamente

domiciliate in ROMA, PIAZZALE CLODIO 1, presso lo studio

dell’avvocato RIBAUDO SEBASTIANO, che le rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CARZERI RUBENS e, per la sola

F.M., anche dall’avvocato FINZI ANDREA, per deleghe in atti;

– controricorrenti –

e contro

M.M.A., A.E.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 2826/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2010 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;

udito l’Avvocato Marcella FALCETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia è insorta tra le parti con riferimento a una vicenda che in sede di merito è stata ricostruita essenzialmente in questi termini: il 2 ottobre 1996 A.A. notificò a sua sorella A.R., a norma dell’art. 732 c.c., l’intenzione di vendere a terzi la propria quota ideale dell’eredità paterna “per un controvalore di L. 150.000.000 al netto di qualsivoglia onere passato, presente e futuro gravante sulla quota stessa”; con raccomandata del 21 novembre 1996 A.R. comunicò “la propria accettazione ad acquistare la quota ereditaria come sopra specificata per la somma di L. 150.000.000”; con lettera del 27 novembre 1996 l’avv. Luigi Marceli, nell’interesse di A.A., invitò A.R. a indicare il notaio incaricato del rogito; rispose con lettera del 22 dicembre 1996 l’avv. Marcella Falcetta, precisando che dal prezzo della vendita doveva essere defalcata la somma di L. 80.877.240, corrispondente all’importo delle spese straordinarie sostenute da A.R. a vantaggio del fratello; per conto di quest’ultimo, con lettera del 13 gennaio 1997, l’avv. Luigi Marcelli, ai sensi dell’art. 1454 c.c., intimò a A.R. di indicare entro 15 giorni il notaio per la stipula, con contestuale pagamento del prezzo come concordato, avvertendo che altrimenti “dovrà intendersi risolto e priva di efficacia la proposta di acquisto con conseguente libera e piena facoltà del Dott. A. di alienare la quota stessa ad altri”; la diffida rimase senza esito.

Ciò stante, con atto notificato il 25 luglio 1997 A.R. citò davanti al Tribunale di Roma A.A., chiedendo che fosse accertato il proprio diritto di prelazione e che le fosse trasferita la quota in contestazione previo pagamento della somma di L. 69.122.7 60 o di altra da accertare, detratto quanto da lei già anticipato per imposta di successione e altri oneri e spese. Il convenuto si costituì in giudizio concludendo per il rigetto della domanda, in quanto l’attrice era decaduta dal suo vantato diritto, pretendendo modificazioni della proposta che aveva accettato e non adempiendo nel termine assegnatole con la diffida, con conseguente risoluzione del contratto; contestò le singole voci di credito esposte nella citazione e chiese, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice al. pagamento di L. 11.537.834, pari alla differenza tra la somma di L. 15.000.000 da lei dovuta per il godimento esclusivo da parte sua di un bene ereditario e quella di L. 3.462.155 costituente l’effettivo ammontare del debito dei convenuto.

Essendo stata dichiarata l’interruzione del processo, in seguito alla morte di A.A., la causa fu riassunta nei confronti delle sue eredi M.M.A. ed A.E., che rimasero contumaci.

Intervennero invece nel processo, facendo proprie le richieste formulate dal convenuto, F.M. e B.A., alla quali A.A. con un rogito del 4 dicembre 1997, aveva venduto la propria quota ereditaria.

All’esito dell’istruzione della causa, con sentenza del 15 maggio 2001 il Tribunale, dichiarò legittimo l’intervento di F.M. e B.A., qualificandolo come adesivo dipendente; respinse la domanda proposta dall’attrice, ritenendo che con la sua inequivoca accettazione l’accordo contrattuale tra le parti era stato concluso, ma si era però risolto in seguito all’inutile decorso del termine assegnato a A.R. con l’intimazione ad adempiere Inviatale dall’avv. Luigi Marcelli; non provvide su la domanda riconvenzionale, da reputarsi abbandonata in quanto non era stata riproposta dalle eredi del convenuto rimaste contumaci, nè ora ammissibile da parte delle intervenute nel processo.

Impugnata da A.R., la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza del 15 giugno 2004 ha rigettato il gravame, che era stato contrastato da F.M. e B.A., mentre non si erano costituite M.M.A. ed A.E..

Contro tale sentenza A.R. ha proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi. F.M. e B.A. si sono costituite con controricorso. M.M.A. ed A.E. non hanno svolto attività difensive nel giudizio di legittimità. A.R. e F.M. hanno presentato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso A.R. lamenta che erroneamente è stato dichiarato legittimo l’intervento nel processo di F.M. e B.A., le quali avevano preteso di sostituirsi ad A.A., facendo proprie le richieste che egli aveva formulato.

La doglianza è infondata.

Già il Tribunale aveva ritenuto inammissibile l’intervento di cui si tratta, con riferimento all’adesione alla domanda riconvenzionale, sulla quale infatti si era astenuto dal provvedere, rilevando che doveva reputarsi abbandonata, poichè erano rimaste contumaci le eredi del convenuto, uniche abilitate a riproporla dopo la riassunzione della causa. D’altra parte, come pure correttamente era stato osservato dal primo giudice ed è stato ribadito dalla Corte d’appello, F.M. e B.A., erano senz’altro legittimate a intervenire nei processo, ai sensi dell’art. 105 c.p.c., comma 2, avendo un proprio interesse a sostenere le ragioni di A.A. e ad aderire alla richiesta di rigetto della domanda proposta dall’attrice, il cui accoglimento avrebbe potuto pregiudicare l’avvenuto acquisto, da parte loro, della quota ereditaria oggetto della controversia: acquisto dichiaratamente compiuto nella consapevolezza della pendenza di questa causa, il cui atto introduttivo peraltro era stato a suo tempo trascritto. Pertanto le intervenute, nonostante l’improprio richiamo all’art. 111 c.p.c., contenuto nella loro comparsa di costituzione in giudizio, non hanno inteso operare alcuna indebita “sostituzione processuale del de cuius” nè “estromettere le legittime eredi”, come sostiene A.R..

Con il secondo motivo di ricorso vengono rivolte alla sentenza impugnata due distinte critiche, per avere la Corte d’appello: – ingiustificatamente ritenuto che la proposta di A.A. fosse stata accettata, pur se era stata formulata in maniera imprecisa e seguita da una diversa controproposta; – considerato valida la diffida ad adempiere, che invece era affetta da nullità, in quanto firmata da persona priva di procura rilasciata per iscritto.

La prima di tali censure deve essere disattesa.

Si verte nella materia dell’interpretazione ai atti negoziali, che può formare oggetto di sindacato in questa sede soltanto sotto i profili della violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale e della omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Ma per il primo aspetto, nessun rilievo è stato formulato dalla ricorrente. Quanto al secondo, va rilevato che la Corte d’appello ha dato adeguatamente conto delle ragioni della decisione sul punto, richiamando “l’inequivoco tenore della comunicazione; in data 21 novembre 1996”, con cui “l’attrice comunicava al fratello la propria accettazione ad acquistare la quota ereditaria come sopra meglio specificata per la somma di L. 150.000.000, facendo peraltro espresso riferimento all’atto notificato in data 2.10.96 dal fratello signor A.A. con il quale lo stesso, ai sensi e per gli affetti di cui all’art. 732 c.c., ha comunicato alla sottoscritta ed alla madre R.E. la volontà di alienare a terzi per un contro valore di L. 150.000.000 l’intera quota ereditaria”, dal che si è desunto che A.R. “non formulò pertanto una nuova proposta contrattuale, ma sintetizzò il contenuto della proposta del fratello e della sua accettazione con gli stessi termini ed accettò quanto contenuto nell’atto notificato il 2.10.1996”. Le contestazioni mosse da A.R. a queste argomentazioni non possono costituire idonea ragione di cassazione della sentenza impugnata, stanti i limiti propri del giudizio di legittimità, che consentono a questa Corte, sulle questioni di fatto, soltanto di verificare se la motivazione della sentenza impugnata sia esauriente e logicamente coerente e le inibiscono di compiere accertamenti e valutazioni prettamente di merito, come quelli che in sostanza la ricorrente richiede. Nè può essere presa in considerazione la deduzione relativa all’asserito carattere indeterminato, quanto all’entità del prezzo, della proposta formulata da A.A.: il tema non ha formato oggetto di decisione nella sentenza impugnata, nè la ricorrente ha precisato – come era suo onere – se e in quali atti lo abbia prospettato nel giudizio a quo.

Sull’altra questione, sollevata con il motivo gì impugnazione in esame, si è verificato nella giurisprudenza di legittimità un contrasto, per la cui composizione il ricorso è stata assegnato alle sezioni unite.

Negli esatti termini il cui si pone in questo giudizio, la questione è stata affrontata soltanto in tre sentenze, che le hanno dato soluzioni divergenti: secondo Cass. 25 marzo 1978 n. 1447 “affinchè la diffida ad adempiere, intimata alla parte inadempiente da un soggetto diverso dall’altro contraente, possa produrre gli effetti di cui all’art. 1454 c.c., è necessario che quei soggetto sia munito di procura scritta del creditore, e che tale procura sia allegata, o comunque portata a conoscenza del debitore con mezzi idonei, atteso il carattere negoziale della diffida medesima, quale atto unilaterale destinato a incidere sul rapporto contrattuale determinandone la risoluzione per l’inutile decorso del termine assegnato”; da questo indirizzo si è discostata Cass. 26 giugno 1987 n. 5641, con cui si è deciso che “l’art. 1350 c.c., stabilisce l’obbligo della forma scritta per la conclusione o la modifica dei contratti relativi a diritti reali immobiliari, ma nè esso, nè altra disposizione di legge prevedono analogo requisito di forma per ogni comunicazione o intimazione riguardante l’esecuzione di detti contratti; pertanto, è pienamente valida ed efficace la diffida ad adempiere un contratto preliminare di compravendita, intimata, per conto e nell’interesse dei contraente, da persona fornita di un semplice mandato verbale, come pure quella sottoscritta da un falsus procurator, e successivamente ratificata dalla parte interessata”; in una posizione intermedia si è infine collocata Cass. 1 settembre 1990 n. 9085, ritenendo che “per il combinato disposto degli art. 1324 e 1392 c.c., la procura per la diffida ad adempiere a norma dell’art. 1454 c.c., ancorchè questa sia atto unilaterale, deve essere fatta per iscritto soltanto nei casi previsti dalla legge e quindi se per il contratto, che si intende risolvere, la forma scritta sia richiesta ad suhstantiam o anche soltanto ad probationem e non quando riguardi beni mobili, per cui può essere anche conferita tacitamente, sempre che promani dall’interessato e sia manifestata con atti o fatti univoci e concludenti, restando in facoltà dell’intimato di esigere a norma dell’art. 1393 c.c., che il rappresentante, o chi si dichiari tale, giustifichi, nelle forme di legge, i suoi poteri”. Altre decisioni – come quelle richiamate nella sentenza impugnata, insieme con Cass. 5641/87 – non sono pertinenti, poichè non si riferiscono specificamente, come invece quelle sopra citate, alla procura per l’intimazione ad adempiere.

Ritiene il collegio che debba essere seguito l’orientamento tracciato da Cass. 1447/78.

Le norme che vengono in considerazione sono gli artt. 1454, 1324 e 1392 c.c., che rispettivamente dispongono: – “Alla parte inadempiente l’altra può intimare per iscritto di adempiere in un congrue termine, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s’intenderà senz’altro risoluto… Decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di diritto”; – “Salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”; – “La procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere”. La diffida ad adempiere va certamente compresa tra gli atti equiparati ai contratti, data la sua natura prettamente negoziale: si tratta di una manifestazione di volontà consistente nell’esplicazione di un potere di unilaterale disposizione della sorte di un rapporto, di per sè idonea a incidere direttamente nella realtà giuridica, poichè da luogo all’automatica risoluzione ipso iure del vincolo sinallagmatico, senza necessità di una pronuncia giudiziale, nel caso di inutile decorso del termine assegnato all’altra parte. E’ pertanto soggetta alla disciplina dei contratti, e in particolare a quella della rappresentanza, compresa la norma che estende alla procura il requisito di forma prescritto per il relativo negozio: norma la cui applicazione non è impedita da alcuna incompatibilità nè dall’esistenza di una qualche diversa disposizione. Poichè dunque la diffida deve essere rivolta all’inadempiente “per iscritto”, è indispensabile che la procura per intimarla venga rilasciata in questa stessa forma dal creditore al suo rappresentante, indipendentemente dal carattere eventualmente “solenne” della forma richiesta per il contratto destinato in ipotesi a essere risolto (carattere peraltro presente nella specie, dato che a norma dell’art. 1543 c.c., “la vendita di un’eredità deve farsi per atto scritto, sotto pena di nullità” e nella successione del de cuius erano compresi anche beni immobili). Non contrastano con questa comunque ineludibile conclusione i precedenti della giurisprudenza di legittimità (Cass. 25 marzo 1995 n. 3566, 26 marzo 2002 n. 4310) nei quali si è fatto cenno alla possibilità che la diffida ad adempiere venga “fatta nella forma più idonea al raggiungimento dello scopo”, ma esclusivamente con riferimento alle modalità della sua trasmissione e senza affatto disconoscere che debba rivestire forma scritta.

Il principio da enunciare è quindi: “La procura relativa alla diffida ad adempiere di cui aìl’art. 1454 c.c., deve essere rilasciata per iscritto, indipendentemente dal carattere eventualmente solenne della forma richiesta per il contratto destinato in ipotesi ad essere risolto”.

Nella memoria di F.M. si è dedotto che A.A., costituendosi nel giudizio di primo grado e chiedendo che fosse accertata l’avvenuta risoluzione del contratto in questione, in forza del persistente inadempimento di A.R. dopo l’intimazione inviatale dall’avv. Luigi Marcelli, aveva comunque ratificato l’operato del suo legale e consolidato gli effetti della diffida.

L’assunto non può essere preso in esame, per la stessa ragione esposta a proposito della tesi della ricorrente circa l’indeterminatezza della proposta rivoltale: la questione non ha formalo oggetto di decisione nella sentenza impugnata e non viene dedotto che sia stata sottoposta alla Corre d’appello. Nè comunque poteva essere sollevata in questo giudizio con la memoria, che è atto destinato soltanto a illustrare le difese già svolte dalla parte resistente con il controricorso e non a farne valere di nuove (Cass. 13 marzo 2006 n. 5400).

Rigettato pertanto il primo motivo di ricorso e accolto il secondo nei limiti di cui si è detto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte d’appello di Roma, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2010

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