Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1429 del 19/01/2018

Cassazione civile, sez. I, 19/01/2018, (ud. 30/11/2017, dep.19/01/2018),  n. 1429

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Vercelli è stato adito da R.L., marito consensualmente separato della resistente C.M.L., il quale aveva domandato, innanzitutto, riconoscersi la sua esclusiva titolarità in ordine a tre buoni postali, che affermava di aver acquistato con denaro esclusivamente proprio. R.L. aveva ottenuto da Poste italiane Spa, che pure conveniva in giudizio, il rimborso di una cifra pari alla metà del valore dei buoni fruttiferi alla scadenza, perchè le residue somme erano state trattenute in conseguenza dell’opposizione proposta dalla moglie. Il Tribunale, con decisione n. 265 del 2008, aveva rigettato la domanda proposta in via principale, ritenendo che i tre buoni postali, cointestati ai coniugi ed acquistati in regime di comunione dei beni senza che fosse stata effettuata la dichiarazione di cui all’art. 179 c.c., lett. f), dovessero ritenersi entrati a far parte della comunione legale dei beni.

Con la sentenza impugnata, n. 1769 del 5 novembre 2010 (dep. 30.11.2010), la Corte d’Appello di Torino ha riformato parzialmente la decisione di prime cure. Esaminati i movimenti del conto corrente dell’odierno ricorrente, la Corte territoriale giungeva infatti alla conclusione che i buoni postali erano stati effettivamente acquistati con denaro proprio, esclusivamente, del marito.

Riteneva, inoltre, che il giudice di prime cure avesse errato nel ritenere necessaria, al fine di escludere il bene dalla comunione legale (anche) nell’ipotesi in questione, nella quale il marito aveva acquistato i buoni con denaro che gli era pervenuto per successione ereditaria, la dichiarazione ex art. 179 c.c., lett. f).

La Corte di merito giudicava, inoltre, di dover accogliere anche la domanda di risarcimento del danno proposta dal marito, e lo calcolava in misura pari al rendimento dei buoni postali fruttiferi in cui le somme, non consegnate al R. a causa dell’opposizione comunicata a Poste Italiane Spa dalla moglie separata, avrebbero potuto essere reinvestite. Avverso la decisione della Corte d’Appello di Torino ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, C.M.L.. Resistono con controricorso R.L. e Poste italiane Spa.

Sia il ricorrente, sia la controricorrente, hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 177 c.c., comma 1, lett. b), e art. 191 c.c..

Ricorda, in proposito, che i tre buoni postali fruttiferi, emessi il 26.2.1994 per l’importo complessivo di Lire 30.000.000, cointestati e sottoscritti da entrambi i coniugi, erano stati acquistati nel corso del matrimonio, nella vigenza della comunione legale dei beni. Quando l’11.5.2004 era intervenuta la separazione personale, ed il conseguente scioglimento della comunione legale dei coniugi, “i frutti dei buoni fruttiferi non erano ancora consumati, ma erano in corso di maturazione”, essendo i buoni scaduti in data 26.2.2005. In conseguenza, secondo la ricorrente, gli importi maturati quali frutti dei buoni postali, pari a Lire 60.000.000, pur acquistati con denaro personale del marito, dovevano essere attribuiti in misura uguale a ciascun coniuge separato, in applicazione dell’art. 177 c.c., comma 1, lett. b). Formulava pertanto il seguente quesito di diritto: “se, in regime di comunione legale dei beni, i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione, spettano di diritto in ragione di metà ciascuno o se spettano per l’intero al coniuge proprietario esclusivo del bene da cui derivano gli stessi frutti?”

1.2. – Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente contesta, ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 179 c.c., comma 1, lett. f).

Richiama, in merito, l’orientamento espresso della Suprema Corte con sent. n. 10855 del 2010, seconda cui la dichiarazione di cui all’art. 179 c.c., lett. f), non è indispensabile al fine di escludere dalla comunione legale i beni acquistati con il trasferimento di beni personali, ma al fine di evidenziare che, nel richiamato caso deciso dalla Cassazione, i beni reinvestiti appartenevano al coniuge già prima dell’istaurazione della comunione legale. Nel casa ora in esame, invece, le somme che egli avrebbe utilizzato per l’acquisto, erano pacificamente pervenute al marito dopo il matrimonio. Inoltre, in ordine al fatto che l’odierno controricorrente avesse utilizzato per l’acquisto esclusivamente queste somme, non sussisteva certezza, avendo la Corte di merito deciso sulla base di presunzioni. Formulava perciò il seguente quesito di diritto: “se in regime di comunione dei beni, necessario rendere la dichiarazione prevista ai sensi dell’art. 179 c.c., comma 1, lett. f) per escludere dalla comunione i beni acquistati con il prezzo del trasferimento dei beni personali, anche nell’ipotesi in cui sia obiettivamente incerta la provenienza del denaro impiegato per l’acquisto dei titoli o se anche in quest’ultima ipotesi sia superflua la dichiarazione di cui all’art. 179 c.c., comma 1, lett. f), come nel caso in cui vi sia obiettiva certezza circa la natura personale del bene utilizzato per l’acquisto di altro bene in ipotesi di surrogazione reale?”.

2.2. – Appare logicamente opportuno esaminare prima il secondo motivo di ricorso, perchè è con esso che la ricorrente contesta, in sostanza, che i buoni postali fruttiferi per cui è causa fossero caduti in comunione e pertanto, sciolta la comunione a seguito della separazione consensuale, sorta capitale e frutti dovessero ripartirsi in parti uguali tra i coniugi separati. Il primo motivo di ricorso, invece, intende contestare solo la (mancata) ripartizione dei frutti dei buoni postali, partendo dal presupposto che i titoli appartenessero esclusivamente al marito, e non rientrassero, perciò, nella comunione legale dei beni dei coniugi.

La ricorrente ricorda, innanzitutto, l’orientamento della Suprema Corte secondo cui la dichiarazione di cui all’art. 179 c.c., comma 1, lett. f), non è necessaria qualora non vi sia incertezza sulla provenienza esclusivamente personale del denaro utilizzato per l’acquisto dei beni, in relazione ai quali è controversa l’appartenenza alla comunione. Ritiene, però, che un simile orientamento possa essere affermato in relazione a beni che già appartenessero al futuro coniuge prima di contrarre matrimonio, mentre nel caso di specie il denaro, che il marito ora separato dichiara di aver utilizzato quale provvista per l’acquisto dei buoni postali, gli era pervenuto quando la comunione legale era già stata istaurata, a seguito delle nozze. Inoltre, l’argomento proposto dalla Suprema Corte, secondo la ricorrente, potrebbe essere riferito all’ipotesi che la provenienza della provvista per l’acquisto dal patrimonio esclusivamente personale dell’odierno controricorrente fosse certa, mentre nel caso di specie la stessa è stata affermata dalla Corte d’Appello soltanto sul fondamento di presunzioni.

Al proposito il controricorrente ha sostenuto non esservi contestazione di controparte, circa la provenienza della provvista per l’acquisto dei buoni fruttiferi da parte del marito con denaro proprio. La questione non sarebbe quindi proponibile in sede di giudizio di legittimità. Diversamente deve osservarsi che la Corte territoriale ha avuto cura di annotare, nella sentenza oggi impugnata, che la odierna ricorrente aveva contestato pure che il marito avesse acquistato i buoni fruttiferi con denaro proprio, e non invece con i proventi dell’attività professionale di entrambi.

Tanto premesso, l’art. 179 c.c., comma 1, indica i beni che non entrano a far parte della comunione legale dei coniugi, ma costituiscono beni personali di ciascuno sposo, e specifica, alla lett. f), che tra questi rientrano “i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali… o col loro scambio, purchè ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto”. Nel caso di specie, i buoni postali fruttiferi sono stati acquistati nella vigenza della comunione legale, risultano pacificamente sottoscritti da entrambi e risultano cointestati. La giurisprudenza di questa Corte, proponendo un orientamento condivisibile, ed al quale si intende pertanto assicurare continuità – espresso non solo dalla pronuncia Cass. sez. 2, sent. n. 10855 del 2010, cui pure la Corte d’Appello ha inteso operare riferimento ma anche, già prima, da Cass. sez. 1, sent. n. 24061 del 2008 – ha chiarito che l’esigenza della ricordata dichiarazione da parte del coniuge che non contribuisca in alcuna misura alla provvista, da raccogliersi all’atto dell’acquisto, risulta necessaria sol quando l’appartenenza dei beni utilizzati per l’acquisto, nel nostro caso il denaro, sia incerta. L’interrogativo proposto dalla ricorrente si risolve pertanto in un solo e chiaro quesito, se occorra la dichiarazione di cui all’art. 179, comma 1, lett. f), per escludere la ricaduta del bene acquistato nella comunione legale, in ipotesi di incertezza circa la provenienza esclusivamente personale del denaro utilizzato per l’acquisto.

Per assicurare fondamento alla propria prospettazione, secondo cui sussisterebbe incertezza circa la provenienza della provvista utilizzata per l’acquisto dei buoni postali fruttiferi, la ricorrente afferma che la Corte d’Appello avrebbe fondato la propria valutazione su presunzioni. Questa tesi non appare condivisibile. La Corte territoriale ha invero ricostruito analiticamente le movimentazioni del conto corrente bancario del marito, giungendo alla conclusione che il denaro utilizzato per l’acquisto dei buoni fruttiferi apparteneva esclusivamente a lui – ed in nessuna misura alla moglie – in termini di certezza, essendo derivato dai proventi della vendita di un bene immobile ereditato. A fronte della dettagliata e condivisibile ricostruzione delle operazioni economiche succedutesi proposta dalla Corte d’Appello, occorre allora osservare, nessuna specifica contestazione all’analitica ricostruzione dei movimenti bancari operata dalla Corte di merito propone la ricorrente, e le sue contestazioni difettano pertanto di specificità.

Il motivo di ricorso risulta perciò inammissibile.

2.1. – Con il primo motivo la ricorrente domanda invece il riconoscimento del diritto alla percezione dei frutti prodotti dai buoni postali nel periodo il cui era vigente la comunione legale dei coniugi, indipendentemente dalla titolarità della provvista utilizzata per l’acquisto, e quindi dalla proprietà dei buoni comprati, da parte del marito.

In materia occorre preliminarmente segnalare chi, in propria memoria redatta ex art. 378 c.p.c., il controricorrente ha contestato che la riassunta domanda di controparte risulterebbe nuova, essendo stata introdotta per la prima volta nel giudizio di cassazione, e perciò dovrebbe dichiararsi inammissibile. Diversamente, occorre osservare che la stessa Corte d’Appello ha cura di precisare che, sin dal primo grado del giudizio, l’odierna ricorrente aveva proposto, in via riconvenzionale, domanda subordinata di “pagamento della metà dei frutti maturati”.

Tanto premesso, l’art. 177 c.c., comma 1, lett. b), prevede che costituiscono oggetto della comunione legale dei beni dei coniugi, “i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, se percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione”.

Nel caso di specie i buoni fruttiferi postali per cui è causa sono stati pacificamente acguistai il 26.2.1994, con durata di undici anni. La comunione legale tra i coniugi è cessata, a seguito della intervenuta separazione consensuale, l’11.4.2004, i buoni fruttiferi sono scaduti successivamente, in data 26.2.2005.

E’ pertanto lo stesso testo della norma di legge richiamata che induce a ritenere infondata la pretesa della ricorrente. Alla data in cui la comunione si è sciolta, infatti, come riconosce la stessa ricorrente nel suo ricorso introduttivo, i frutti dei buoni postali erano “in corso di maturazione”, ma deve escludersi che fossero stati “percepiti”.

Il motivo di ricorso deve pertanto essere rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Osservato che nel presente grado del giudizio non sono state proposte domande nei confronti di Poste italiane Spa, le spese possono essere dichiarate irripetibili nei suoi confronti.

PQM

La Corte rigetta il ricorso proposto da C.M.L..

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore di R.L. e le liquida nella misura di Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Dichiara irripetibili le spese di lite nei confronti di Poste italiane Spa.

Dispone, ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, comma 5, che, in caso di riproduzione per la diffusione della presente decisione, le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e dei soggetti menzionati siano omessi.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2018

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