Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14289 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/05/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 25/05/2021), n.14289

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 38362-2019 R.G. proposto da:

M.&C. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

C.L., rappresentata e difesa, per procura speciale in calce

al ricorso, dall’avv. Domenico ARDOLINO, ed elettivamente

domiciliata in Roma, alla via Crescenzio, n. 103, presso lo studio

legale dell’avv. Romano POMARICI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4305/17/2019 della Commissione tributaria

regionale della CAMPANIA, depositata il 17/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/03/2021 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte:

costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue.

L’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti della M.&.C. s.r.l. un avviso di accertamento analitico-induttivo del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), per recupero a tassazione di maggiori ricavi oltre a costi indeducibili, ai fini IVA, IRPEF ed IRAP per l’anno d’imposta 2003.

La CTP di Napoli, ritenendo illegittimo l’accertamento effettuato ai sensi della citata disposizione, in quanto precluso in assenza di irregolarità formali nella tenuta delle scritture contabili, accoglieva il ricorso della società contribuente annullando l’atto impositivo.

L’appello proposto dall’Agenzia delle entrate veniva dichiarato inammissibile perchè tardivamente proposto dalla C.T.R. della Campania e successivamente, la predetta CTR, in sede di giudizio di revocazione proposto dalla predetta Agenzia, con sentenza del 6 luglio 2010, accertata la tempestività del gravame, rigettava, in sede rescissoria, l’appello dell’Ufficio.

Avverso detta pronuncia l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione che questa Corte, con la sentenza n. 29866 del 2017, accoglieva cassando e rinviando alla CTR per una nuova pronuncia.

La CTR della Campania, pronunciando in sede di rinvio, accoglieva il ricorso dell’Agenzia delle entrate rigettando il ricorso introduttivo della società contribuente sostenendo che nella specie ricorrevano presunzioni gravi, precise e concordanti legittimanti il ricorso da parte dell’amministrazione finanziaria all’accertamento analitico-induttivo.

Avverso tale ultima statuizione la società contribuente ricorre con un unico motivo, cui replica l’intimata con controricorso.

Con il motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), il vizio logico di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè “l’omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla inattendibilità del campione statistico utilizzato dall’Ufficio accertatore” (ricorso pag. 9).

Il motivo è inammissibile in quanto la lettura dell’intero corpo del mezzo d’impugnazione evidenzia una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, che dà luogo all’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass., n. 26874 e n. 8915 del 2018, n. 22343 del 2018 non massimata, nonchè Cass. n. 9470 del 2008, n. 19443 del 2011, n. 9793 del 2013; in termini anche Cass. Sez. U., n. 9100 del 2015 e, in motivazione, Cass. n. 17526 del 2016 che richiama Sez. U. n. 26242 del 2014 e Sez. U. n. 17931 del 2013), non risultando specificamente separata la trattazione delle doglianze relative alla falsa applicazione della norma sostanziale evocata da quelle attinenti alla sostenuta carenza motivazionale, che coinvolge i profili di ricostruzione del fatto.

E ciò emerge evidente dal rilievo che, secondo la prospettazione di parte ricorrente, la violazione della disposizione censurata (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d)) conseguirebbe all’errata valutazione da parte dei giudici di appello di “circostanze inconferenti con il giudizio che avrebbe dovuto operare in relazione alla sussistenza o meno – in presenza di scritture contabili non contestate – di un’attività imprenditoriale sana” e “circostanze di fatto dedotte dalla società in tutti i gradi di merito, incluso il giudizio di rinvio, a dimostrazione della inattendibilità del calcolo statistico utilizzato”.

In ogni caso, il motivo è anche manifestamente infondato.

Invero, è insegnamento di questa Corte quello secondo cui “in tema di prova presuntiva, è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (Cass. n. 1234 del 2019; in termini, Cass. n. 101 del 2015).

Sì è quindi ribadito che “spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo” (Cass. n. 8023 del 2009).

Orbene, il motivo di ricorso in esame si pone in dissonanza con i suddetti principi giurisprudenziali risolvendosi in una valutazione alternativa – come tale non consentita – degli elementi presuntivi che i giudici di appello hanno individuato come quelli dotati di gravità, precisione e concordanza idonei, come tali, idonei a legittimare il ricorso da parte dell’Agenzia delle entrate all’accertamento analitico-induttivo anche in presenza di una contabilità regolarmente tenuta, senza che emerga o sia stata fatta emergere dalla società ricorrente un qualche vizio del ragionamento decisorio.

Peraltro, la CTR ha dato atto che dall’analisi della contabilità della società contribuente era emersa l’erronea imputazione di costi nell’anno d’imposta 2003, oggetto di verifica; circostanza, questa, che oltre a non essere stata contestata dall’appellante (che sì è limitata a sostenere l’infondata tesi secondo cui tale errore di imputazione dei costi “nulla centri con valutazioni sulla gestione imprenditoriale”), giustifica da sè sola il ricorso da parte dell’ufficio finanziario all’accertamento analitico-induttivo, portando ad escludere la formale correttezza della tenuta della contabilità.

In estrema sintesi, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata alle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese processuali che liquida in Euro 5.600,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

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