Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14281 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/05/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 25/05/2021), n.14281

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35011-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

P.V.R., G.F., G.P., G.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3349/7/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA SICILIA, depositata il 27/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE

CATALDI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, avverso la sentenza n. 3349/07/2019, depositata il 27 maggio 2019, con la quale la Commissione tributaria regionale della Sicilia-sezione staccata di Caltanissetta, ha respinto il suo appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Caltanissetta, che aveva accolto il ricorso della Eco.Net. s.r.l. in liquidazione contro la cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatico ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis concernente iscrizioni a ruolo relative all’Ires ed all’Iva di cui all’anno d’imposta 2008.

La cartella in questione, come risulta dalla sentenza impugnata, riguardava la riscossione in un’unica soluzione del debito erariale, che era stato rateizzato, ma senza che fosse stata presentata, entro dieci giorni dal versamento della prima rata, la garanzia di cui al D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 3-bis, comma 1, secondo periodo e successivi.

P.V.R., G.F., G.A. e G.P., cui il ricorso erariale è stato indirizzato quali ex soci della Eco.Net. s.r.l. in liquidazione, cancellata dal registro delle imprese in data 23 settembre 2019, dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, sono rimasti intimati.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

L’Agenzia ricorrente ha prodotto memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo l’Ufficio deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, art. 3-bis, comma 1; del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, in combinato disposto con le disposizioni sulla legge in generale.

Assume infatti l’Amministrazione ricorrente che il giudice a quo ha erroneamente applicato lo ius superveniens costituito della L. 22 dicembre 2011, n. 214, art. 10, comma 13-decies, lett. a), il quale dispone che “Al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, art. 3-bis e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, i periodi dal secondo fino alla fine del comma sono soppressi;”.

Lo stesso D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 3-bis, comma 1, così disponeva, per quanto qui interessa: “Le somme dovute ai sensi dell’art. 2, comma 2 e dell’art. 3, comma 1, possono essere versate in un numero massimo di sei rate trimestrali di pari importo, ovvero, se superiori a cinquemila Euro, in un numero massimo di venti rate trimestrali di pari importo. Se l’importo complessivo delle rate successive alla prima è superiore a cinquantamila Euro, il contribuente è tenuto a prestare idonea garanzia commisurata al totale delle somme dovute, comprese quelle a titolo di sanzione in misura piena, dedotto l’importo della prima rata, per il periodo di rateazione dell’importo dovuto aumentato di un anno, mediante polizza fideiussoria o fideiussione bancaria, ovvero rilasciata da un consorzio di garanzia collettiva dei fidi iscritto negli elenchi di cui al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, artt. 106 e 107, di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni. (…) In tali casi, entro dieci giorni dal versamento della prima rata il contribuente deve far pervenire all’ufficio la documentazione relativa alla prestazione della garanzia.”.

L’efficacia intertemporale dell’abrogazione dei periodi secondo e seguenti del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 3-bis, comma 1, è regolata dalla L. n. 214 del 2011, art. 10, comma 13-undecies, il quale dispone che “Le disposizioni di cui al comma 13-decies, si applicano altresì alle rateazioni in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.”.

Secondo la CTR, nel caso di specie, la soppressione dell’obbligatorietà della polizza fideiussoria o fideiussione bancaria, avvenuta mentre la rateazione era ancora in corso, escludeva la decadenza della contribuente dal beneficio della stessa rateazione e quindi non legittimava l’Amministrazione a riscuotere l’intero debito erariale residuo in un’unica soluzione, come accaduto con la cartella impugnata.

Tuttavia, a detta dell’ufficio ricorrente, la soppressione della necessità della garanzia non sarebbe stata applicabile alla fattispecie sub iudice, nella quale, al momento dell’entrata in vigore della L. n. 214 del 2011 (il 28 dicembre 2011), la rateazione non era più in corso e la contribuente era già decaduta dal relativo beneficio del termine, non avendo prestato la garanzia per il debito tributario rateizzato entro dieci giorni dal versamento della prima rata.

Il motivo è inammissibile.

Infatti, l’ufficio ricorrente non ha indicato se e quando (ovvero in quale grado ed in quale fase processuale) siano stati prodotti, nei giudizi di merito, la cartella di pagamento impugnata, la sua notifica, istanze di rateazione e conseguenti provvedimenti dell’Amministrazione e loro comunicazione alla contribuente, il provvedimento di accertamento della decadenza dalla rateazione o comunque allegazioni e documenti che consentano di collocare cronologicamente (sotto il profilo del dies a quo, del numero di rate e delle loro scadenze, del loro inadempimento) la rateazione e, rispetto a quest’ultima, la decadenza della contribuente dal beneficio del termine. Tanto meno tali documenti sono stati allegati al ricorso per cui si procede, come risulta dal relativo indice.

Ciò premesso, deve rilevarsi che il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1926 del 03/02/2015).

In particolare, tale principio è stato declinato da questa Corte anche con specifico riferimento a fattispecie nelle quali l’aspetto cronologico fattuale interferisca, come nel caso di specie, con l’intervento di modifiche normative: “Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa, sicchè, nell’ipotesi di fattispecie interessata da ripetuti interventi legislativi, è necessario indicare gli elementi indispensabili per individuare la normativa applicabile “ratione temporis”.” (Cass. Sez. L -, Ordinanza n. 31082 del 28/12/2017).

Pertanto non risulta adempiuto innanzitutto l’onere di forma-contenuto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, di sommaria esposizione deì fatti della causa, a pena d’inammissibilità del ricorso. Nè, comunque, è stato adempiuto l’ulteriore onere di forma-contenuto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di specifica individuazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (Cass., 15/01/2019, n. 777; Cass., 18/11/2015, n. 23575; Cass., S.U., 03/11/2011, n. 22726).

E’ stato infatti recentemente ribadito che “In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità.” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019).

Ed invero, come questa Corte ha in più occasioni avuto modo di chiarire, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, “oltre a richiedere l’indicazione degli atti e dei documenti, nonchè dei contratti o accordi collettivi, posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale tali fatti o documenti risultino prodotti, prescrizione, questa, che va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. Il precetto di cui al combinato disposto delle richiamate norme deve allora ritenersi soddisfatto:

a) qualora l’atto o il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile;

b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non partecipi al giudizio di legittimità o non depositi il fascicolo o lo depositi senza quell’atto o documento (Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161; Cass. 20 novembre 2017, n. 27475; Cass. 11 gennaio, n. 195, chiarisce altresì che, ove si tratti di atti e documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, il requisito di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, è soddisfatto mediante il deposito della richiesta di trasmissione presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, ferma, beninteso, l’esigenza di specifica indicazione degli atti e documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi).

In tale prospettiva va altresì ribadito che l’adempimento dell’obbligo di specifica indicazione degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, previsto a pena d’inammissibilità, impone quanto meno che gli stessi risultino da un’elencazione contenuta nell’atto, non essendo a tal fine sufficiente la presenza di un indice nel fascicolo di parte (Cass. 6 ottobre 2017, n. 23452). In breve, il ricorrente per cassazione, nel fondare uno o più motivi di ricorso su determinati atti o documenti, deve porre la Corte di cassazione in condizione di individuare ciascun atto o documento, senza effettuare soverchie ricerche.” (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 1235 del 2019, in motivazione).

Infine, deve aggiungersi che la memoria di cui all’art. 378 c.p.c., ha la sola funzione di illustrare i motivi del ricorso, e non è pertanto idonea a far venire meno una causa di inammissibilità dei motivi stessi, sostituendosi, quoad effectum, ad essi (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7260 del 07/04/2005, ex plurimis). E comunque, nel caso di specie, la memoria neppure eliminerebbe il riscontrato deficit di autosufficienza, non apportando contenuti ulteriori rispetto a quelli del ricorso.

Giova peraltro precisare, in relazione a quanto dedotto dalla ricorrente nella memoria, che il requisito dell’autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1926 del 03/02/2015; conformi, ex plurimis, Cass. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 16103 del 02/08/2016; Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 19018 del 31/07/2017; Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 24340 del 04/10/2018; Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 24432 del 03/11/2020).

Deve pertanto escludersi che il mero richiamo, nel ricorso, a passi della sentenza impugnata, o addirittura a quella di primo grado, possa essere necessario e sufficiente, come si legge nella memoria erariale, per illustrare i fatti di causa, lo svolgimento del processo e le questioni dibattute.

Peraltro, fermo restando quanto già rilevato in ordine all’inammissibilità del ricorso, deve rilevarsi che comunque la ricostruzione fattuale operata dallo stralcio della sentenza di primo grado trascritto nel medesimo ricorso colloca la scadenza ed il pagamento della prima rata (dalla quale il D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 3-bis, comma l, faceva decorrere il termine di dieci giorni per presentare all’Ufficio la garanzia) in data “16.1.2012”, ovvero dopo l’entrata in vigore (il 28 dicembre 2011) della L. n. 214 del 2011. Pertanto, muovendo da tale ricostruzione, ai fini della norma intertemporale di cui alla L. n. 214 del 2011, art. 10, comma 13-undecies, la rateazione non solo sarebbe “in corso”, ma neppure iniziata, con la conseguenza che non sarebbe stata più richiesta, dalla norma applicabile ratione temporis, la garanzia la cui mancata presentazione avrebbe invece generato la decadenza invocata dall’Amministrazione.

2.Nulla sulle spese, non essendosi costituiti gli intimati.

3.Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

 

 

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