Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14279 del 08/06/2017


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Cassazione civile, sez. III, 08/06/2017, (ud. 10/05/2017, dep.08/06/2017),  n. 14279

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23597-2014 proposto da:

V.C. in proprio e quale socio illimitatamente responsabile

di VE.I.CO. S.N.c. di V.C. & C. IN LIQUIDAZIONE,

C.P. in proprio e quale socio illimitatamente responsabile di

VE.I.CO. S.N.C. di V.C. & C. IN LIQUIDAZIONE, VEICO

DI V.C. & C SNC IN LIQUIDAZIONE in persona del legale

rappresentante pro tempore V.C., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso lo studio

dell’avvocato FABIO MASSIMO ORLANDO, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati FULVIO VILLA, GIUSEPPE MAGHENZANI TAVERNA

CIPELLI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

GENERALI ITALIA SPA già ASSITALIA LE ASSICURAZIONI D’ITALIA SPA a

mezzo della propria mandataria e rappresentante GENERALI BUSINESS

SOLUTIONS S.C.P.A., in persona dei procuratori speciali Dott.

P.V. e Dott. D.G., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA G. PAISIELLO 40, presso lo studio dell’avvocato DAVID

MORGANTI, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in

calce al controricorso;

AXA ASSICURAZIONI SPA in persona del procuratore speciale Dr.

R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIALOJA 6,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI OTTAVI, rappresentata e difesa

dall’avvocato MASSIMO COLIVA giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1500/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 28/08/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/05/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

RILEVATO

che:

Con distinti atti di citazione M.N. e le eredi di Copa Avni convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Parma VE.I.CO s.n.c. e INA Assitalia s.p.a. chiedendo il risarcimento del danno, il primo per le lesioni riportate, le seconde per la morte del congiunto, verificatesi in un incidente stradale mentre M.N. e Copa Avni erano a bordo di autocarro di proprietà di VE.I.CO s.n.c. e condotto da N.V., risultato portatore di un alto tasso alcoolemico. L’assicuratore chiamò in giudizio i soci V.C. e C.P., N.V. e l’I.N.A.I.L.. VE.I.CO s.n.c. a sua volta chiamò in giudizio AXA Assicurazioni s.p.a.. Disposta la riunione delle cause il Tribunale adito accolse le domande, condannando al pagamento del risarcimento del danno in favore di M.N. e delle eredi di Copa Avni VE.I.CO s.n.c. e INA Assitalia s.p.a., e rigettò la domanda di rivalsa proposta da INA Assitalia s.p.a.. Avverso detta sentenza proposero appello principale Assitalia ed appello incidentale la società ed i soci chiedendo, in caso di accoglimento della domanda di rivalsa, di essere tenuti indenni da AXA Assicurazioni s.p.a.. Con sentenza di data 28 agosto 2013 la Corte d’appello di Bologna accolse l’appello principale, condannando VE.I.CO s.n.c., V.C., C.P. e N.V. a tenere indenne Assitalia, e rigettò l’appello incidentale.

Osservò la corte territoriale, con riferimento all’appello principale, premesso che l’eventuale nullità delle clausole vessatorie per mancanza di specifica approvazione scritta era rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo che la clausola avente ad oggetto l’esclusione della copertura assicurativa in caso di guida in stato di ebbrezza non era vessatoria in quanto non configurante un’esclusione del rischio garantito, ma solo delimitante contenuto ed oggetto della garanzia assicurativa. Osservò inoltre, con riferimento all’appello incidentale, quanto segue. Premesso che la polizza assicurativa stipulata con AXA s.p.a. copriva il rischio del datore di lavoro per morte o lesioni cagionate ai prestatori di lavoro quale responsabile civile sia ai sensi D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10 e 11 che del codice civile e che doveva escludersi la prima ipotesi per mancanza di violazione di norme sulla sicurezza, la responsabilità era ascrivibile ai sensi dell’art. 2054 c.c., comma 3, e per tale titolo VE.I.CO. era responsabile,. non quale datore di lavoro ma quale proprietaria del veicolo coinvolto nel sinistro. Tale rischio poteva astrattamente essere coperto dalla garanzia per la responsabilità ai sensi del codice civile nei confronti dei dipendenti. Benchè l’art. 16, lett. c) escludesse i danni derivanti dalla circolazione di veicoli a motore su strade ad uso pubblico, era prevalente la garanzia per la responsabilità ai sensi dell’art. 2049 per i danni cagionati ai terzi dai dipendenti alla guida di veicoli. L’operatività della garanzia era tuttavia esclusa, a parte l’impossibilità di considerare i dipendenti terzi ai sensi dell’art. 15 della polizza, quando il fatto generatore della responsabilità si fosse verificato, come nel caso di specie, con la guida di veicolo di proprietà dell’assicurato.

Hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi VE.I.CO s.n.c. di V.C. & C. in liquidazione, V.C. e C.P. e resistono con controricorso Generali Italia s.p.a. (già INA Assitalia s.p.a.) e AXA Assicurazioni s.p.a.. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1341 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Lamentano i ricorrenti che la clausola n. 2 delle condizioni generali, recante la rubrica “esclusioni e rivalsa”, in quanto limitativa della responsabilità dell’assicuratore, era da approvarsi specificatamente per iscritto.

Il motivo è inammissibile, sotto più profili. La denuncia del carattere vessatorio della clausola, ai fini della specifica approvazione per iscritto, presuppone l’accertamento di fatto, da parte del giudice di merito, circa la mancanza della detta specifica approvazione per iscritto. Il giudice di merito non ha accertato tale presupposto di fatto, essendosi limitato ad affermare che l’eventuale nullità delle clausole vessatorie per mancanza di specifica approvazione scritta è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, sicchè lo scrutinio del motivo, se non deve restare astratta enunciazione del principio di diritto, implicherebbe un’indagine di merito preclusa nella presente sede di legittimità.

In secondo luogo va rammentato che poichè l’interesse ad impugnare con il ricorso per cassazione discende dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole, è necessario, anche in caso di denuncia di un errore di diritto a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che la parte ottemperi al principio di autosufficienza del ricorso (correlato all’estraneità del giudizio di legittimità all’accertamento del fatto), indicando in maniera adeguata la situazione di fatto della quale chiede una determinata valutazione giuridica, diversa da quella compiuta dal giudice “a quo”, asseritamente erronea (Cass. 11 luglio 2000, n. 9206). Il ricorrente ha denunciato la violazione di legge, ma non ha specificatamente dedotto che la clausola in questione fosse priva di specifica approvazione per iscritto, sicchè l’interesse ad impugnare non è individuabile.

Infine l’interpretazione delle clausole di un contratto di assicurazione in ordine alla portata ed all’estensione del rischio assicurato rientra nei compiti del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità° se rispettosa dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed assistita da motivazione esente da vizi (Cass. 24 maggio 2011, n. 11373 che ha peraltro riconosciuto che con la clausola che prevedeva la rivalsa dell’assicuratore in caso di guida del veicolo assicurato da parte di conducente in stato di alterazione alcolica, oggettivamente accertata e non contestata, le parti avevano inteso delimitare il rischio assicurato). I ricorrenti non hanno denunciato, nè la violazione delle regole ermeneutiche, nè un vizio motivazionale.

Con il secondo motivo omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osservano i ricorrenti che la polizza aveva ad oggetto la responsabilità civile sia verso i terzi che verso i prestatori di lavoro e che il giudice di merito ha erroneamente applicato alla seconda le clausole relative alla prima, ed in particolare le esclusioni della garanzia per i danni da circolazione di veicoli a motore su strade ad uso pubblico e per i danni ai sensi dell’art. 2049 cagionati dai dipendenti alla guida di veicoli non di proprietà dell’assicurato. Aggiungono che la garanzia per la responsabilità civile del datore di lavoro verso i propri dipendenti non era limitata alla violazione delle misure antiinfortunistiche ma era estesa anche a quella ai sensi del codice civile e che tale garanzia non poteva essere limitata dalle clausole relative alla responsabilità verso i terzi.

Il motivo è inammissibile, sotto un duplice profilo. La censura si basa su un presupposto di fatto e di diritto divergente da quello accertato dal giudice di merito. Quest’ultimo ha accertato che il titolo della responsabilità corrispondeva all’art. 2054 c.c., comma 3, e che per tale titolo VE.I.CO. era responsabile, non quale datore di lavoro ma quale proprietaria del veicolo coinvolto nel sinistro. Presupposto della censura è invece la responsabilità della società quale datore di lavoro. Non avendo parte ricorrente impugnato la statuizione relativa al titolo della responsabilità (e ciò a prescindere dalla eccezione di giudicato interno sollevata nel controricorso, secondo cui non sarebbe stata appellata la statuizione di primo grado in ordine alla qualificazione della responsabilità, che è profilo che sarebbe venuto in rilievo nell’ipotesi di impugnativa della statuizione di secondo grado), la censura resta estranea alla ratio decidendi, la quale verte sulla responsabilità civile nei confronti dei terzi, e non nei confronti dei dipendenti.

In secondo luogo non si denuncia l’omesso esame di fatto storico controverso e decisivo, anche per ciò che concerne le circostanze fattuali corrispondenti alle clausole della polizza, ma l’errata interpretazione del documento contrattuale, che è punto di vista che avrebbe potuto avere rilievo quale violazione di legge ove si fosse denunciata la violazione delle regole legali di interpretazione del contratto.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 – quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2017

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