Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14276 del 08/06/2017


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Cassazione civile, sez. III, 08/06/2017, (ud. 12/04/2017, dep.08/06/2017),  n. 14276

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22246/2014 proposto da:

L.G., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso il

suo studio rappresentato e difeso da se medesimo;

– ricorrente –

contro

S.G.T., elettivamente domiciliato in (OMISSIS),

presso il suo studio rappresentato e difeso da se medesimo;

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE SANTO

10/A, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FOSCHIANI, che lo

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

MILANO ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 289/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/04/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

L’avv. L.G. propose ricorso ai sensi dell’art. 28 legge 13 giugno 1942 n. 794 innanzi al Tribunale di Roma chiedendo la liquidazione delle proprie competenze per l’assistenza giudiziale prestata, su incarico dell’avv. S.G.T., in favore del dott. B.A. in una causa civile in cui quest’ultimo era stato convenuto per il risarcimento dei danni. Stante la costituzione dell’avv. S.G., con cui si contestava l’esistenza dell’incarico professionale, il Tribunale dispose il mutamento del rito e nel giudizio si costituì altresì il B., chiamando in garanzia Milano Assicurazioni s.p.a.. Il Tribunale adito accolse la domanda, condannando l’avv. S.G.T. al pagamento in favore dell’attore della somma di Euro 70.792,62 oltre accessori, il dott. B.A. a tenere indenne l’avv. S.G. di quanto questi avesse corrisposto e Milano Assicurazioni s.p.a. a tenere indenne il B. di quanto questi avesse corrisposto fino alla concorrenza di Euro 23.597,53; disattese inoltre la domanda ai sensi dell’art. 2041 c.c., proposta nei confronti del B. dall’avv. L..

Avverso detta sentenza proposero distinti appelli l’avv. S.G.T., il dott. B.A. e Milano Assicurazioni s.p.a.. Si costituì in ciascuno dei giudizi di appello l’avv. L.G., spiegando in taluni di essi appello incidentale. Con sentenza di data 15 gennaio 2014 la Corte d’appello di Roma, previa riunione dei giudizi, accolse l’appello proposto dall’avv. S.G.T., rigettando l’appello proposto dal dott. B.A. e dichiarando assorbiti gli appelli incidentali proposti dall’avv. L.G. e per l’effetto rigettò la domanda proposta dall’avv. L.G. nei confronti dall’avv. S.G.T., dichiarò che il dott. B.A. non era tenuto a tenere indenne l’avv. S.G.T. ed ordinò la restituzione delle somme versate da quest’ultimo in favore del L..

Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, che il Tribunale aveva obliterato la dichiarazione resa in sede d’interrogatorio formale dall’avv. L. con cui questi aveva ammesso di avere invitato il B. subito dopo l’inizio della causa a provvedere al versamento di un fondo spese, sicchè la costituzione del fondo spese da parte dell’avv. S.G. sarebbe stata successiva al conferimento della procura al L. da parte del B. all’inizio del processo. “In ogni caso”, aggiunse il giudice di appello, in relazione alle circostanze valorizzate dal giudice di prime cure, quanto segue: a) la costituzione del fondo spese da parte dell’avv. S. dimostra solo che questi, nell’ambito del rapporto di collaborazione fra professionisti, aveva inteso anticipare le spese di costituzione che l’assicuratore del dott. B. avrebbe poi rimborsato; b) l’invio della comparsa di risposta predisposta dall’avv. L. all’avv. S. non provava l’esistenza di un rapporto di mandato, ma dimostrava solo il lavoro eseguito per conto di un cliente che era stato raccomandato dal collega più esperto; c) con la nota apposta in calce alla lettera del 17 luglio 2001, ignorata dal giudice di prime cure, l’avv. S. aveva invitato l’avv. L. ad inviare al solo dott. B. le sue relazioni sull’andamento della causa, a riprova che l’unico interessato era quest’ultimo, il quale aveva unitamente alla procura conferito il mandato professionale; d) anche la testimonianza dell’ex agente dell’assicurazione del B. confermava che l’avv. S., non potendo gestire direttamente la difesa del B. in quanto fiduciario del suo assicuratore, aveva indirizzato il medico presso lo studio di un altro collega. Concluse quindi il giudice di appello nel senso la presunzione di conferimento del mandato da parte di colui che aveva conferito la procura non risultava superata dalla circostanze apprezzate dal Tribunale. Affermò infine il giudice di appello che la sentenza appellata aveva accolto la domanda solo nei confronti dell’avv. S.G., che l’avv. L. non aveva riproposto nel giudizio la domanda ai sensi dell’art. 2041 c.c., formulata nei confronti del B., con l’appello incidentale proposto nei giudizi riuniti, con conseguente rinuncia ai sensi dell’art. 346 c.p.c., e che gli appelli incidentali proposti dall’avv. L. nei giudizi riuniti nn. 6490/2007 e 6528/2007 restavano assorbiti.

Ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi l’avv. L.G. e resistono con distinti controricorsi l’avv. S.G.T. e il dott. B.A.. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2. E’ stata presentata memoria.

Considerato che:

va premesso che con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., il ricorrente ha chiesto l’assegnazione del processo alla seconda sezione civile, trattandosi di causa avente ad oggetto il pagamento del compenso professionale. L’istanza non merita accoglimento. Una volta investita una sezione civile della Corte di cassazione dell’esame di un ricorso da devolvere, invece, ad altra sezione civile ordinaria della stessa Corte, la necessità di dare applicazione al principio costituzionale sulla “durata ragionevole” del processo, unitamente alla constatazione dell’assoluta ininfluenza della circostanza sul piano delle regole processuali da osservare nel giudizio di legittimità, escludono la necessità di rimettere il ricorso al Primo Presidente della Suprema Corte per una eventuale rassegnazione (cfr Cass. 7 agosto 2014, n. 17761; 16 aprile 2013, n. 9148, le quali peraltro riguardano il rapporto fra sezione civile ordinaria e sezione lavoro). Peraltro il giudizio ha ad oggetto, quale materia rilevante ai fini dell’assegnazione alla sezione, i negozio di mandato a professionista, tabellarmente assegnato a questa sezione.

Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Lamenta il ricorrente che il giudice di appello ha omesso di esaminare l’eccezione di inammissibilità degli appelli per mancata specifica indicazione degli errori della sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 342 c.p.c..

Il motivo è inammissibile. L’inammissibilità è una invalidità specifica delle domande e delle eccezioni delle parti ed è pronunciata nel caso in cui manchino dei requisiti necessari a renderle ritualmente acquisite al tema del dibattito processuale: pertanto, se il giudice di merito omette di pronunciarsi su un’eccezione di inammissibilità, la sentenza di merito non è impugnabile per l’omessa pronuncia o per la carenza di motivazione, ma unicamente per l’invalidità già vanamente eccepita, in quanto ciò che rileva non è il tenore della pronuncia impugnata, bensì l’eventuale esistenza appunto di tale invalidità (Cass. 28 luglio 2015, n. 15843). Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte (Cass. 12 gennaio 2016, n. 321; 6 dicembre 2004, n. 22860). Ed invero la decisione di accoglimento della domanda della parte comporta anche la reiezione dell’eccezione d’inammissibilità della domanda stessa, avanzata dalla controparte, senza che, in assenza di specifica argomentazione sia configurabile un vizio di omessa motivazione, dovendosi ritenere implicita la statuizione di rigetto ove la pretesa o l’eccezione non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 30 giugno 2016, n. 13425; 11 settembre 2015, n. 17956; 4 ottobre 2011, n. 20311; 10 maggio 2007, n. 10696).

Il ricorrente si è limitato a denunciare il vizio di omessa pronuncia, ma non ha proposto uno specifico motivo di censura relativamente alla questione processuale su cui secondo il ricorrente vi sarebbe stata l’omissione di pronuncia, ma su cui deve invece ritenersi abbia avuto luogo una statuizione implicita di rigetto.

Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva il ricorrente di avere proposto motivo di appello per omessa dichiarazione dell’incapacità a testimoniare dell’avv. P.R., che aveva reso dichiarazioni in ordine alla costituzione del fondo spese in favore dell’avv. L., secondo quanto eccepito nel processo verbale di udienza prima dell’assunzione della prova, e che il giudice di appello aveva ignorato l’eccezione di incapacità ponendo la testimonianza del P. a fondamento della propria pronuncia.

Il motivo è inammissibile, sotto più profili. Benchè in rubrica si denunci l’omessa pronuncia sul motivo di appello, la censura ha ad oggetto la nullità della testimonianza che, secondo il ricorrente, sarebbe stata posta a base della decisione impugnata. La censura non coglie la ratio decidendi. Il giudice di appello non ha posto a base della propria decisione la testimonianza del P.. La dichiarazione testimoniale avente ad oggetto la costituzione del fondo spese da parte dell’avv. S.G. è stata reputata dal giudice di merito ininfluente in quanto la costituzione del fondo spese menzionata dal teste sarebbe stata successiva al conferimento della procura al L. da parte del B. all’inizio del processo e, “in ogni caso” dimostrerebbe solo che l’avv. S., nell’ambito del rapporto di collaborazione fra professionisti, aveva inteso anticipare le spese di costituzione che l’assicuratore del dott. B. avrebbe poi rimborsato.

In secondo luogo va rammentato che la nullità della testimonianza resa da persona incapace ex. art. 246 c.p.c., deve essere eccepita subito dopo l’espletamento della prova ai sensi dell’art. 157, comma 2, salvo il caso in cui il procuratore della parte interessata non sia stato presente all’assunzione del mezzo istruttorio, nella quale ipotesi la nullità può essere eccepita nell’udienza successiva, sicchè, in mancanza di tempestiva eccezione, deve intendersi sanata, senza che la preventiva eccezione di incapacità a testimoniare, a norma dell’art. 246 c.p.c., possa ritenersi comprensiva della eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante quella previa opposizione (Cass. 19 agosto 2014, n. 18036; 3 aprile 2007, n. 8358; 1 luglio 2002, n. 9553). La nullità della testimonianza assunta malgrado la tempestiva opposizione deve quindi essere fatta valere subito dopo. In violazione dell’onere di autosufficienza del ricorso il ricorrente non ha specificatamente dedotto se l’eccezione di nullità sia stata eccepita dopo l’espletamento della prova, ma si è limitato a dedurre di avere sollevato l’eccezione in via preventiva.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che il giudice di appello in modo illogico ha dato rilievo alla richiesta di costituzione di fondo spese indirizzata al B. e non a quella rivolta all’avv. S., che è l’unica ad essere stata accolta, e che la richiesta effettuata prima al B. non poteva condurre all’esclusione dell’esistenza del rapporto di mandato con l’avv. S. perchè ai fini della conclusione del contratto di patrocinio non solo non è indispensabile il rilascio della procura ad litem (nel caso di specie il patrocinato non coincideva con il cliente che aveva conferito il mandato e che rappresentava il soggetto obbligato a pagare il compenso) ma anche non rileva il versamento del fondo spese (nè tanto meno il rapporto giuridico di clientela veniva meno perchè l’assicuratore intendeva tenere indenne sia il cliente che il patrocinato, ossia sia l’avv. S.G. che il dott. B.). Aggiunge che la Corte d’appello ha attributo un valore sproporzionato al rifiuto di ricevere le notizie relative all’attività difensiva rispetto al comportamento complessivo dell’avv. S.G., che aveva continuato a ricevere la corrispondenza informativa fino alla fine del processo, e che il teste F. aveva dichiarato che lo S. gli aveva riferito che avrebbe fatto seguire il B. da una suo collaboratore (in realtà ex collaboratore) senza alcun onere economico per il patrocinato, a conferma della volontà di conferire il mandato.

Il motivo è inammissibile. Fondata è la censura relativa alla ratio decidendi secondo cui circostanza rilevante ai fini dell’esclusione del rapporto di mandato fra il L. e lo S.G. sarebbe la costituzione del fondo spese da parte dell’avv. S.G. in epoca successiva al conferimento della procura al L. da parte del B. all’inizio del processo. Ed invero in tema di attività professionale svolta da avvocati, mentre la procura ad litem costituisce un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale (cosiddetto contratto di patrocinio) con il quale il professionista viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte. Ne consegue che, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem, essendo questa necessaria solo per lo svolgimento dell’attività processuale, nè rileva, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, il versamento, anticipato o durante lo svolgimento del rapporto professionale, di un fondo spese o di un anticipo sul compenso, sia perchè il mandato può essere anche gratuito, sia perchè, in caso di mandato oneroso, il compenso e l’eventuale rimborso delle spese sostenute possono essere richiesti dal professionista durante lo svolgimento del rapporto o al termine dello stesso (Cass. 18 luglio 2002, n. 10454; 16 giugno 2006, n. 13963).

Come è però reso significativo dall’inciso “in ogni caso”, la decisione si fonda su un ulteriore ratio decidendi, che è quella secondo cui la presunzione di conferimento del mandato da parte di colui che aveva conferito la procura non risultava superata dalla circostanze apprezzate dal Tribunale. Tale ratio decidendi risulta impugnata dal ricorrente, con riferimento alle diverse circostanze apprezzate dal giudice di appello per giungere alla riferita conclusione, mediante la giustapposizione al giudizio di fatto del giudice d’appello di una diversa valutazione di merito delle medesime circostanze, mirando così ad una diversa lettura delle risultanze processuali, che è censura preclusa nella presente sede di legittimità se non nelle forme rituali del vizio motivazionale. Permanendo così l’ulteriore ratio decidendi, l’impugnazione relativa alla prima ratio decidendi, pur fondata, resta inammissibile per difetto di decisività.

Con il quarto motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè violazione dell’art. 2735 c.c..Lamenta il ricorrente che il giudice di appello ha omesso di esaminare la testimonianza resa dall’avv. G.S.M. che ha dichiarato di avere ricevuto una telefonata dall’avv. S.G. in cui questi riferiva della sua intenzione di affidare la difesa del dott. B. all’avv. L. e che il contenuto di tale testimonianza è quello di confessione stragiudiziale resa al terzo liberamente apprezzabile dal giudice. Aggiunge che se la corte territoriale avesse tenuto conto di tale testimonianza avrebbe concluso nel senso dell’esistenza del rapporto cliente/avvocato quanto al rapporto fra l’avv. S.G. e l’avv. L..

Il motivo è inammissibile. L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053). Il fatto storico che l’avv. S. avesse indirizzato il medico presso l’avv. L. è stato preso in considerazione dal giudice di appello, il quale però, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, non lo ha qualificato come affidamento di incarico professionale. Non resta quindi che rammentare che in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (Cass. 13 giugno 2014, n. 13485).

Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che nella comparsa di risposta con appello incidentale avverso l’appello dall’avv. S.G. era stato affermato quanto segue: il dott. B. in quanto beneficiario dell’attività professionale deve essere ritenuto obbligato in solido con l’avv. S.G. al pagamento dei compensi professionali maturati; il Tribunale ha errato nel ritenere la residualità dell’art. 2041 c.c., la quale riguarda le ulteriori azioni esperibili nei confronti del medesimo soggetto, ma non l’esistenza di altri coobbligati; un appello al riguardo sarebbe stato privo di interesse, sia per il conseguimento dell’integrale accoglimento della domanda nei confronti dell’altro convenuto, sia perchè è stata ottenuta l’esecuzione spontanea della prestazione; resta tuttavia l’opportunità di una modifica della sentenza nel senso indicato. Lamenta quindi il ricorrente che erroneamente il giudice di appello ha ritenuto essere intervenuta la rinuncia ai sensi dell’art. 346 c.p.c., essendo stato invece proposto appello incidentale.

Il motivo è inammissibile, sotto più profili. Va premesso che, avendo il giudice di primo grado rigettato la domanda di arricchimento senza causa, la parte doveva proporre appello (principale o incidentale) in funzione di critica della decisione di primo grado e non limitarsi alla mera riproposizione della domanda ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., che presuppone la mancata valutazione della domanda medesima (Cass. Sez. U. 18 aprile 2016, n. 7700). Il giudice di merito ha ritenuto assorbiti gli appelli incidentali proposti dall’avv. L.. Stante la pronuncia di assorbimento il ricorrente aveva l’onere di impugnare la statuizione di assorbimento (cfr. Cass. 12 luglio 2016, n. 14190; 27 dicembre 2013, n. 28663). In secondo luogo, già in base alla prospettazione della censura contenuta nel ricorso non risulta proposto l’appello incidentale nei confronti del dott. B.: il ricorrente ha affermato che l’appello incidentale è stato proposto nella comparsa di risposta avverso l’appello dall’avv. S.G. e non in quella avverso l’appello del dott. B.A., sicchè un appello nei confronti di quest’ultimo, secondo quanto prospetta lo stesso ricorrente, non è stato proposto. In terzo luogo nell’atto di cui il ricorrente richiama il contenuto si afferma espressamente che sul mancato accoglimento della domanda di ingiustificato arricchimento non viene proposto un appello, che sarebbe stato privo di interesse, ma si rappresenta solo “l’opportunità” di una modifica della sentenza, che è nozione atecnica, priva della valenza vincolante della domanda ai fini della pronuncia del giudice.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2017

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