Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14274 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 08/07/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 08/07/2020), n.14274

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CATALOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15637/2012 proposto da:

SOCIETA’ D.L. DI D.L.A. S.A.S., in persona del legale

rappresentante p.t., D.L.A., P.A., elettivamente

domiciliati in Roma Via Di Vigna Pia 32 presso lo studio dell’Avv.

Perreca Emiddio, rappresentati e difesi dall’Avv. Di Maggio Gennaro;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente

domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura

Generale Dello Stato che la rappresenta e difende

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 60/45/2012 della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA,

depositata il 23/02/2012, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’11/2/2020 dal consigliere Pierpaolo Gori.

Udito il sostituto Procuratore Generale Sanlorenzo Rita che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Fatti di causa

– Con sentenza n. 60/45/12 depositata in data 23 febbraio 2012 la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva parzialmente tanto l’appello principale proposto dall’Agenzia delle Entrate quanto l’appello incidentale della società D.L. di D.L.A. S.a.s. e dei soci D.L.A. e P.A., avverso la sentenza n. 638/17/10 della Commissione tributaria provinciale di Napoli.

– Il giudice di prime cure, previo accoglimento parziale dei ricorsi dei contribuenti contro gli avvisi di accertamento, per IVA e IRAP 2004, 2005 e 2006 notificati nei confronti della società, e IRPEF e Addizionali per i medesimi anni di imposta notificati nei confronti dei soci, aveva ridotto del 75% i maggiori ricavi accertati dall’Agenzia, in capo alla società e del pari per i redditi da partecipazione dei soci.

– La CTR confermava invece gli importi recuperati ad imposta negli avvisi, individuati sulla base di accertamenti bancari condotti sul conto corrente intestato alla società – su cui i contribuenti deducevano transitassero anche movimentazioni personali -, detratti però i ricavi già sottoposti a tassazione in sede di dichiarazione dei redditi dei contribuenti per ciascun anno di imposta, al fine di evitare la doppia imposizione nel rispetto del principio di capacità contributiva.

-Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione i contribuenti deducendo sette motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Ragioni di diritto

– Preliminarmente dev’essere dichiarata l’inammissibilità del controricorso dell’Agenzia delle Entrate, in quanto tardivo. Il ricorso è stato notificato in data 21.6.2012 a mani, come si evince dalla relata in atti, mentre il controricorso, datato 1.9.2013, è stato notificato il 16.9.2013.

– Con il primo e secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3- i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 per avere i giudici di merito ritenuto fondato l’operato dell’Agenzia sulla scorta dei dati emergenti dagli accertamenti e del riscontro degli stessi in relazione all’unico conto corrente in essere per i contribuenti, rispettivamente in relazione alle movimentazioni in entrata ed in uscita. Al contrario, secondo i contribuenti dall’esame delle movimentazioni non vi sarebbero delle incongruenze tali da giustificare l’applicazione dell’accertamento analitico induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), considerato il fatto che sul conto transitavano movimenti dell’attività societaria e movimenti personali dei soci.

– I motivi sono infondati. Va reiterato che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 (in virtù della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività.” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4829 del 11/03/2015, Rv. 635057 – 01; conforme, quanto alle riprese IVA Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20981 del 16/10/2015, Rv. 636960 – 01). Orbene, in base a tali principi giurisprudenziali, non basta dimostrare la non disponibilità esclusiva del conto ai fini dell’attività della società e anzi, avendo i contribuenti confessato a pag.12 del ricorso che “sul medesimo conto transitavano indistintamente movimenti propri dell’attività della società e movimenti personali dei soci.”, doveva essere data da loro una prova liberatoria analitica in relazione al singolo movimento contestato di cui non vi è traccia.

– Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5- i ricorrenti censurano la violazione e falsa applicazione degli artt. 23 e 53 Cost. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32. Secondo i contribuenti la sentenza sarebbe carente sotto il profilo dell’interpretazione normativa nonchè sotto quello motivazionale, dal momento che le conclusioni del giudice d’appello sarebbero incoerenti – con riferimento ai ricavi accertati – con il principio di capacità contributiva, secondo il quale una medesima fattispecie impositiva non può essere assoggettata per due volte ad imposta.

– Con il quarto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5-i ricorrenti deducono tanto la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 38 quanto la carenza di motivazione con riferimento all’accertamento della CTR secondo cui “la somma dei versamenti dei contanti e degli assegni non corrisponde mai agli incassi mensili”, ritenuto avulso dalla realtà dei fatti e non rispettoso di fatti notori favorevoli ai contribuenti.

– Con il quinto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5-i ricorrenti deducono tanto la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 38 quanto la carenza di motivazione con riferimento all’accertamento della CTR contenuto nel secondo paragrafo dei motivi della decisione (“La documentazione agli atti è costituita dai prospetti dell’A.F., dalle dichiarazioni dei redditi (…) Vi sono ancora prove di finanziamento con la Finemiro e la Agos Italfinco”), in quanto nella documentazione ivi citata vi sarebbero incongruenze.

– I motivi possono essere scrutinati congiuntamente in ragione del fatto che sono predisposti secondo una medesima tecnica redazionale e sono inammissibili. Essi sono in primo luogo ancipiti, dal momento che deducono ad un tempo violazioni di legge e vizi motivazionali confusi tra loro che, nondimeno, si risolvono in una complessiva indebita richiesta di rivalutazione del merito.

– Va al proposito reiterato che il vizio di omessa, o insufficiente o contraddittoria motivazione, deducibile in sede di legittimità comunque non ai sensi del n. 3, ma ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la conclu-denza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, come nella specie (cfr. Cass. Sez. U. Sent. 5002 dell’11/06/1998, Cass. Sez. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16456 del 2013).

– Con il sesto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5-i ricorrenti deducono ancora la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 38, nonchè la carenza e il difetto assoluto di motivazione, con violazione dell’art. 112 c.p.c. perchè la CTR si sarebbe pronunciata sul solo anno di imposta 2006 e tutt’al più al 2004, ma non al 2005, secondo i contribuenti non menzionato in sentenza se non nella sua intestazione.

-In disparte dal fatto che la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato è deducibile solo ai sensi del n. 4, comunque il mezzo è infondato. Non solo l’intestazione identifica tutti e 9 gli atti impositivi oggetto della pronuncia, compresi i tre per l’anno 2005, e ciò fa parte della sentenza, ma ad es. nel quarto capoverso a pag.3 si legge “la società con il su menzionato ricorso ha contestato i maggiori ricavi accertati per l’anno 2004, quantificati in Euro 376.443,17 per l’anno 2005, in Euro 429.383,43 e per l’anno 2006 in Euro 482.383,26” e ancora, nel capoverso successivo, “L’A.F. ha ispezionato le operazioni bancarie sui c/c della società (…) per l’anno 2004 (…) per l’anno 2005 (…) per l’anno 2006 (…)”, tanto quanto ai prelevamenti quanto ai versamenti. Sulla domanda così identificata e comprensiva di tutti e 9 gli avvisi di accertamento, per ciascun anno di imposta nei confronti della società e dei due soci, il giudice d’appello si è pronunciato, con preciso riferimento al quadro probatorio raccolto, come ad esempio si legge a pag.5 in riferimento ai “registri acquisti 2004 e 2005” della società. Infine, lo stesso dispositivo opera chiaramente la rideterminazione dei maggiori ricavi per ciascuno dei tre anni di imposta oggetto di ripresa, anche ai fini della determinazione dei redditi di partecipazione.

-Con il settimo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5- i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza per omessa pronuncia di un punto fondamentale del ricorso, e la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nonchè la carenza e il difetto assoluto di motivazione, con violazione per non essersi il giudice di appello pronunciato sulla censura di nullità degli avvisi di accertamento notificati alla società per difetto di motivazione degli stessi.

-Il motivo è inammissibile in quanto molto generico e difetta di autosufficienza. Va ricordato al proposito che “In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza – prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 – è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto.” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 24340 del 04/10/2018, Rv. 651398 – 01). Non essendo indicato il pertinente passaggio dei ricorsi originari in cui la censura sarebbe stata introdotta nel processo, e poi riproposta in appello a seguito dell’integrale soccombenza in primo grado dei contribuenti, il motivo è inammissibile.

-In conclusione, il ricorso va rigettato, e nessuna statuizione va adottata in punto di spese di lite, considerata la tardività del controricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il controricorso e rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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