Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14272 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 08/07/2020, (ud. 07/02/2020, dep. 08/07/2020), n.14272

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 38/2017 R.G., proposto dal:

Comune di Vieste (FG), in persona del Sindaco pro tempore,

autorizzato all’instaurazione del presente procedimento in virtù di

deliberazione adottata dalla Giunta Municipale il 25 ottobre 2016 n.

131, rappresentato e difeso dall’Avv. Michele Fusillo, con studio in

Vieste (FG), elettivamente domiciliato presso l’Avv. Luca Senatori,

con studio in Roma, giusta procura in margine al ricorso

introduttivo del presente procedimento;

– ricorrente –

contro

la ” P.L. & C. S.a.s.”, con sede in Vieste (FG), in

persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv.

Alessandra Stasi, con studio in Foggia, ove elettivamente

domiciliata, giusta procura in calce al controricorso di

costituzione nel presente procedimento;

– controricorrente –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

di Bari – Sezione Staccata di Foggia il 13 ottobre 2016 n.

2385/27/2016, notificata il 18 ottobre 2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7

febbraio 2020 dal Dott. Lo Sardo Giuseppe;

udito per il ricorrente l’Avv. Michele Fusillo, che ha chiesto

l’accoglimento;

rilevato che nessuno è comparso per la controricorrente; udito il

P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.

Giacalone Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento parziale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 13 ottobre 2016 n. 2385/27/2016, notificata il 18 ottobre 2016, la Commissione Tributaria Regionale di Bari – Sezione Staccata di Foggia accoglieva l’appello proposto dalla ” P.L. & C. S.a.s.” nei confronti del Comune di Vieste (FG) avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Foggia il 10 aprile 2015 n. 614/07/2015, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. Il giudice di appello rilevava che: a) il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione proposta dalla ” P.L. & C. S.a.s.” avverso il rifiuto opposto dal Comune di Vieste (FG) al rimborso della T.A.R.S.U. per gli anni 2007, 2008, 2009, 2010, 2011 e 2012; b) la Commissione Tributaria Provinciale aveva rigettato il ricorso della contribuente sul rilievo dell’applicabilità della T.A.R.S.U. anche per gli anni successivi al 2010, dell’impossibilità per il giudice tributario di disapplicare i regolamenti e le deliberazioni comunali, nonchè della differenziazione delle tariffe in funzione della potenzialità della produzione di rifiuti per ciascun tipo di attività. La Commissione Tributaria Regionale riformava la decisione di primo grado, disapplicando le deliberazioni comunali sulla T.A.R.S.U. in ragione dell’equiparabilità dei mini-alloggi e delle poche stanze di albergo nell’ambito del villaggio turistico alle normali case di abitazione sul piano della capacità di produrre rifiuti, come era stato fatto con il regolamento comunale in tema di T.A.R.I..

2. Avverso la sentenza di appello, il Comune di Vieste (FG) proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 14 dicembre 2016 ed affidato a quattro motivi; la ” P.L. & C. S.a.s.” si costituiva con controricorso. Le parti depositavano memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 19 e 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver rilevato l’inammissibilità dei ricorsi introduttivi dei giudizi di primo grado e di secondo grado in considerazione della definitività dell’obbligazione tributaria per la sua estinzione.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 24 e 57, nonchè degli artt. 112 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per non aver rilevato l’inammissibilità del ricorso in appello per l’introduzione di nuove censure al diniego di rimborso (cioè, la violazione degli artt. 9 – 12 del regolamento comunale sulla T.A.R.S.U. e la discrasia tariffaria tra T.A.R.S.U. e T.A.R.I.).

3. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53 e art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per non aver dichiarato l’inammissibilità del ricorso in appello per l’omessa indicazione dei capi censurati della sentenza impugnata e degli asseriti errori di procedura del giudice di prime cure.

4. Con il quarto ed ultimo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 68, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente disapplicato il regolamento comunale nella parte relativa alla diversificazione della tassazione tra gli immobili con destinazione alberghiera e gli immobili con destinazione abitativa.

5. Il primo motivo è palesemente infondato.

5.1 Difatti, le ragioni poste a fondamento di un’istanza di rimborso da parte del contribuente possono consistere sia nell’effettuazione di pagamenti indebiti che nel versamento di somme superiori alla misura dovuta. Per cui, l’adempimento dell’obbligazione tributaria non preclude al contribuente di richiedere il rimborso all’ente impositore sia nel caso di pagamento non dovuto che nel caso di pagamento eccedente la misura dovuta.

5.2 Dunque, si deve considerare improprio il richiamo del ricorrente all’orientamento di questa Corte in tema di inoppugnabilità dei provvedimenti adottati dall’ente impositore in via autotutela, con il quali si disponga l’annullamento parziale ovvero la riduzione della pretesa impositiva contenuta in atti divenuti definitivi, per escludere l’impugnazione del rifiuto espresso sull’istanza di rimborso (segnatamente: Cass., Sez. 5, 6 febbraio 2009, n. 2870).

Difatti, è pacifico che il ricorso del contribuente al giudice tributario per ottenere il rimborso di somme che egli assume indebitamente versate può essere proposto soltanto nei confronti di un provvedimento di diniego del rimborso esplicito o implicito (vale a dire, in tale ultima ipotesi, qualora sia decorso il termine di novanta giorni dalla presentazione della domanda di restituzione, previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2), la cui inesistenza comporta l’inammissibilità del ricorso per difetto dell’atto impugnabile, e cioè di un presupposto processuale, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (da ultima: Cass., Sez. 5, 5 luglio 2017, n. 16520)

6. Anche il secondo motivo ed il terzo motivo – la cui intima e stretta connessione suggerisce l’esame congiunto – sono infondati.

6.1 Va premesso che questa Corte ha già affermato che il difetto di specificità dell’appello, non rilevato d’ufficio dal giudice del gravame, può essere proposto come motivo di ricorso per cassazione dalla parte appellata, ancorchè essa non abbia sollevato la relativa eccezione nel giudizio di appello, poichè si tratta di questione che, afferendo alla stessa ammissibilità dell’impugnazione e, quindi, alla formazione del giudicato, è rilevabile anche d’ufficio dalla Corte di Cassazione, salvo il limite dell’esistenza di un giudicato interno, se il giudice d’appello s’è pronunciato e non v’è stata impugnazione (ex plurimis: Cass., Sez. Lav., 21 gennaio 2004, n. 967; Cass., Sez. 3, 20 agosto 2013, n. 19222; Cass. Sez. Lav., 10 marzo 2016, n. 4706).

Per cui, l’inammissibilità dell’appello, ancorchè non rilevata dal giudice del gravame, nè eccepita dalla controparte nel medesimo grado, è suscettibile di integrare uno specifico motivo di ricorso per cassazione.

6.2 Per il resto, è il caso di sottolineare che, già in sede di istanza di rimborso, la contribuente aveva specificamente dedotto che le tariffe applicate dall’ente impositore nei vari anni di riferimento (con l’esplicita indicazione dei rispettivi importi per mq.) per la porzione adibita ad albergo del villaggio turistico erano notevolmente superiori rispetto alle tariffe applicate per le case di abitazione, nonostante che le quantità di rifiuti prodotti fossero sostanzialmente equiparabili tra loro, e che la T.A.R.S.U. era stata abolita con decorrenza dall’anno 2010. Su tali premesse, essa aveva chiesto, in via principale, il rimborso della somma di Euro 130.369,57, nel caso di ritenuta abrogazione della T.A.R.S.U. con decorrenza dall’anno 2010; in via subordinata, il rimborso della somma di Euro 92.214,33, nel caso di ritenuta vigenza della T.A.R.S.U. per gli anni dal 2010 al 2012.

6.3 Tali doglianze erano state pedissequamente trasfuse nella formulazione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (con la richiesta di disapplicazione delle deliberazioni comunali in materia) per l’impugnazione del diniego espresso di rimborso.

Altrettanto si può ripetere anche per la stesura del ricorso in appello avverso la sentenza resa dal giudice di prime cure. Difatti, la deduzione in tale sede della illegittimità del regolamento comunale sulla T.A.R.S.U., artt. 9 – 12 non integra un ius novorum, dal momento che il contenuto delle disposizioni interessate, ancorchè ne fosse stata omessa l’individuazione numerica, era stato ivi riportato (per quanto in forma sintetica e riassuntiva). Per cui, non si può ritenere che il motivo di appello fosse stato carente o insufficiente nell’allegazione della censura inerente alla illegittimità delle suddette norme del regolamento comunale con riguardo alle tariffe previste per gli immobili con destinazione alberghiera. Invero, è pacifico che il giudizio tributario è caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, ed avente un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo in primo grado, sicchè in sede di gravame le parti non possono proporre nuove eccezioni, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57. Tale divieto concerne esclusivamente le sole eccezioni in senso stretto, e non anche le eccezioni improprie o le mere difese, che sono sempre deducibili (in termini: Cass., Sez. 5, 5 dicembre 2014, n. 25756; Cass., Sez. 6, 29 dicembre 2017, n. 31224; Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27562).

6.4 Ne discende che, in sede di appello, un’integrazione o specificazione delle ragioni già addotte a fondamento del ricorso originario di prime cure, con l’espressa menzione delle norme del regolamento comunale che vengono in rilievo per la determinazione delle tariffe applicate nella liquidazione della tassa corrisposta dalla contribuente, non altera la prospettazione della causa petendi e del petitum che delimitano l’ampiezza del thema decidendum, non potendosi ravvisare nell’esposizione aggiuntiva di tali argomentazioni un mutamento delle deduzioni iniziali ovvero l’introduzione di nuovi temi di indagine.

7. Viceversa, il quarto motivo si rivela fondato.

7.1 Deve, innanzitutto, osservarsi che il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68, lascia ai Comuni un ampio spazio di discrezionalità nell’esercizio della potestà regolamentare in materia di T.A.R.S.U., limitandosi a prevedere che, ai fini della classificazione in categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti tassabili con la medesima misura tariffaria, i Comuni tengono conto “in via di massima” di gruppi di attività e tra questi gli esercizi alberghieri sono inseriti nello stesso gruppo delle abitazioni per nuclei familiari (lett. c). Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, ciò non significa che la classificazione debba necessariamente essere omogenea per abitazioni ed alberghi e, comunque, la previsione regolamentare di una tariffa T.A.R.S.U. per gli alberghi anche di molto superiore a quella applicata alle case di civile abitazione deve ritenersi del tutto legittima, posto che la maggior capacità produttiva di rifiuti di uno stabile alberghiero, rispetto ad uno di civile abitazione, costituisce dato di comune esperienza (ex plurimis: Cass., Sez. 5, 12 marzo 2007, n. 5722; Cass., Sez. 5, 12 gennaio 2010, n. 302; Cass., Sez. 5, 7 dicembre 2016, n. 25214; Cass., Sez. 5, 4 aprile 2018, n. 8308; Cass., Sez. 5, 3 dicembre 2019, n. 31462; Cass., Sez. 5, 15 gennaio 2020, n. 570).

Peraltro, i rapporti tra le tariffe, indicati dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 69, comma 2, tra gli elementi di riscontro della legittimità della delibera, non vanno d’altronde riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica (Cass., Sez. 5, 12 marzo 2007, n. 5722; Cass., Sez. 5, 7 dicembre 2016, n. 25214; Cass., Sez. 5, 15 gennaio 2020, n. 570).

7.2 Tale principio è pienamente coerente con la giurisprudenza comunitaria, come questa Corte ha già avuto modo di ribadire, rilevando che, in tema di T.A.R.S.U., la disciplina contenuta nel D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 sull’individuazione dei presupposti della tassa e sui criteri per la sua quantificazione non contrasta con il principio comunitario “chi inquina paga”, sia perchè è consentita la quantificazione del costo di smaltimento sulla base della superficie dell’immobile posseduto, sia perchè la detta disciplina non fa applicazione di regimi presuntivi che non consentano un’ampia prova contraria, ma contiene previsioni (D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 65 e 66) che commisurano la tassa ad una serie di presupposti variabili o a particolari condizioni (Cass., Sez. 5, 31 gennaio 2011, n. 2202; Cass., Sez. 5, 9 novembre 2018, n. 28676). Tali pronunce hanno preso in esame, ritenendoli dirimenti in ordine all’esclusione della violazione del principio in esame, le sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 24 giugno 2008 in causa C-188/07 e del 16 luglio 2009 in causa C-254/08 (quest’ultima, avente ad oggetto un rinvio pregiudiziale in una causa pendente dinanzi al T.A.R. della Campania, nella quale veniva contestata proprio la legittimità, per affermato contrasto con l’art. 15 della Direttiva 2006/12/CE, della disciplina legislativa sulla T.A.R.S.U., nonchè delle norme del regolamento comunale in base alle quali le imprese alberghiere sarebbero state tenute al versamento della tassa sui rifiuti in misura superiore ai privati). Nella valutazione di conformità della disciplina nazionale al principio evincibile dall’art. 15 lett. a, della Direttiva 2006/12/CE (già desumibile dall’art. 11 della Direttiva 1975/442/CE), i giudici comunitari hanno affermato che: “è spesso difficile, persino oneroso, determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun detentore; – in tali circostanze, ricorrere a criteri basati sulla capacità produttiva dei detentori, calcolata in funzione della superficie dei beni immobili che occupano, nonchè della loro destinazione e/o sulla natura dei rifiuti prodotti può consentire di calcolare i costi dello smaltimento e ripartirli tra i vari detentori; – sotto tale profilo, la normativa nazionale che preveda, ai fini del finanziamento, una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo effettivamente prodotto non può essere considerata in contrasto con l’art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12; – nella materia, le autorità nazionali dispongono di un’ampia discrezionalità per quanto riguarda le modalità di calcolo della tassa; – per quanto riguarda la differenziazione tra categorie di detentori, la stessa deve ritenersi ammessa, purchè non venga fatto carico ad alcuni di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili”. Sicchè, in definitiva, “i/ metodo di calcolo basato sulla superficie di immobile posseduto non è, di per sè, contrario al principio “chi inquina paga” recepito dall’art. 11 della direttiva 75/442″.

7.3 Quanto all’onere motivazionale posto a carico del Comune, secondo l’orientamento di questa Corte, cui si intende dare continuità, in tema di T.A.R.S.U., non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa di cui al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 65, poichè la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili (Cass., Sez. 5″, 23 marzo 2006, n. 22804; Cass., Sez. 5″, 26 marzo 2014, n. 7044; Cass., Sez. 6″, 19 giugno 2018, n. 16165; Cass., Sez. 5″, 15 marzo 2019, n. 7437; Cass., Sez. 5″, 3 dicembre 2019, n. 31462).

7.4 Va anche richiamata la giurisprudenza di questa Corte che, ribadendo il principio secondo cui non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa di cui al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 65, ha anche affermato che il potere di disapplicare l’atto amministrativo in relazione alla decisione del caso concreto, che spetta al giudice tributario, può conseguire solo alla dimostrazione della sussistenza di ben precisi vizi di legittimità dell’atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere), per cui la contestazione della validità dei criteri seguiti dal Comune nell’adottare la delibera non è sufficiente per pervenire alla dichiarazione (incidentale) d’illegittimità della stessa, dovendo, al riguardo rilevarsi che, nell’ambito degli atti regolamentari dei Comuni, esiste uno spazio di discrezionalità di orientamento politico-amministrativo, insindacabile in sede giudiziaria (in termini: Cass., Sez. 5″, 26 marzo 2014, n. 7044).

7.5 Del pari, neppure rileva la stagionalità dell’attività alberghiera, la quale può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’ente impositore (Cass., Sez. 5″, 12 marzo 2007, n. 5722; Cass., Sez. 5″, 3 agosto 2016, n. 16175; Cass., Sez. 5″, Cass., Sez. 5″, 15 gennaio 2020, n. 570).

7.6 Le suesposte motivazioni sono destinate a valere anche per la fattispecie in disamina, in cui “si è in presenza di mini-alloggi con servizi e poche stanze di albergo che vengono vissuti solo ai fini del soggiorno”.

Difatti, pur in assenza del servizio di ristorazione, la peculiarità delle caratteristiche tipologiche e dimensionali delle unità immobiliari in cui è suddiviso il villaggio turistico non incidono sull’oggettiva vocazione di ciascuna alla ricezione ed al soggiorno di una pluralità indeterminabile e mutevole di ospiti destinati ad avvicendarsi nella fruizione quotidiana per periodi più o meno prolungati di vacanza, che non è funzionalmente equiparabile nè assimilabile – sul piano della capacità e dell’intensità di produzione complessiva di rifiuti nell’arco dell’anno di riferimento – alle abitazioni di singoli nuclei familiari.

8. Il giudice di appello non si è attenuto a tali principi, addivenendo alla disapplicazione degli atti amministrativi dell’ente impositore con l’apodittica argomentazione – che costituisce una motivazione solo apparente e fittizia, essendo indispensabile a tal fine il rilievo di uno specifico vizio di legittimità (da ultima: Cass., Sez. 5, 24 gennaio 2019, n. 1952) – per cui “in tale contesto appare difficile ipotizzare che tali superfici possano produrre più rifiuti rispetto ad una normale casa di abitazione”.

6. Pertanto, accolto il quarto motivo e rigettati i restanti motivi, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, u.p., con pronuncia di rigetto del ricorso originario della contribuente.

7. Possono essere compensate tra le parti le spese del doppio grado del giudizio del merito, tenuto conto dell’andamento del medesimo e della progressiva evoluzione della giurisprudenza di questa Corte sulle questioni trattate, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo, rigetta i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente; compensa le spese dei giudizi di merito; condanna la contribuente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’ente impositore, che liquida nella somma complessiva di Euro 4.500,00 per compensi, oltre spese forfettarie ed altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 8 luglio 2020

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