Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14271 del 28/06/2011

Cassazione civile sez. III, 28/06/2011, (ud. 09/05/2011, dep. 28/06/2011), n.14271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MASSERA Maurizio – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24659-2006 proposto da:

IGECO COSTRUZIONI S.P.A. (già IGECO S.R.L.) (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore e Presidente del

Consiglio di Amministrazione Rag. L.A., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BONCOMPAGNI 61, presso l’UFFICIO IGECO,

rappresentata e difesa dall’avvocato PALMA ANTONIO giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1131/2006 del TRIBUNALE di LECCE – SEZIONE

COMMERCIALE, emessa il 02/5/2006, depositata il 12/06/2006, R.G.N.

7194/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/05/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per l’accoglimento p.q.r..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società IGECO COSTRUZIONI s.p.a., debitrice esecutata nel processo esecutivo mobiliare introdotto dall’ing. C.G., propose opposizione agli atti esecutivi lamentando che il precetto non era stato preceduto dalla notificazione del titolo esecutivo;

formulò quindi degli altri motivi di opposizione, lamentando che, essendo questo titolo costituito da un decreto di liquidazione delle competenze dell’ausiliario ing. C. emesso dal giudice delle indagini preliminari, non avrebbe potuto essere azionato nei suoi confronti perchè la IGECO era estranea al processo penale; aggiunse che erano state pretese delle voci, che non trovavano riscontro nel tariffario professionale e nell’attività professionale richiesta.

Il Tribunale di Lecce, con sentenza pubblicata il 12 giugno 2006, ha ritenuto inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi perchè proposta oltre il termine previsto dall’art. 617 cod. proc. civ. e, quanto agli altri motivi, ha qualificato l’opposizione come proposta ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 170 e ne ha dichiarato l’improponibilità innanzi al giudice civile, condannando la società opponente al pagamento delle spese processuali.

Avverso la sentenza del Tribunale di Lecce propone ricorso per cassazione la IGECO COSTRUZIONI s.p.a. a mezzo di tre motivi. Non si difende l’intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Il presente ricorso per cassazione è soggetto, quanto alla formulazione dei motivi, al regime dell’art. 366 bis c.p.c. (inserito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 ed abrogato dalla L. 18 giugno 2008, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), applicabile in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (12 giugno 2006).

I motivi di ricorso sono inammissibili per difettosa formulazione dei quesiti di diritto con riguardo ai vizi denunciati ex art. 360 c.p.c., n. 3 e per il mancato rispetto della seconda parte dell’art. 366 bis cod. proc. civ. con riguardo ai vizi denunciati ex art. 360 c.p.c., n. 5.

1.1.- Col primo motivo si denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento alla norma dell’art. 617 cod. proc. civ. “in ordine alla dichiarata tardività dell’opposizione agli atti esecutivi”.

Il quesito di diritto è formulato nei seguenti termini: “A fronte del suddetto motivo si chiede alla Ecc.ma Suprema Corte di Cassazione di voler verificare se il termine per proporre opposizione agli atti esecutivi afferenti alla notificazione del titolo esecutivo decorra o meno dal compimento del primo atto di esecuzione, conformemente alla previsione di cui all’art. 617 c.p.c.”.

Il quesito è redatto in termini tali da richiedere a questa Corte un’attività interpretativa della norma dell’art. 617, della quale riproduce il testo, senza indicare quale sia, secondo il ricorrente, l’interpretazione corretta e senza in alcun modo sintetizzare le ragioni per le quali il giudice del merito ne avrebbe invece dato un’interpretazione tale da violare la norma in parola.

1.2.- Col secondo motivo di ricorso si denuncia vizio di violazione di legge con riguardo alla norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 e vizio di motivazione “in ordine alla riqualificazione del ricorso da opposizione all’esecuzione in opposizione al decreto di pagamento emesso a favore dell’ausiliario del giudice di cui alla legge predetta”.

Con riguardo al vizio dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, si formula il seguente quesito di diritto: “Si chiede pertanto che codesta Ecc.ma Corte voglia decidere se il ricorso proposto possa o meno qualificarsi opposizione a decreto di pagamento emesso a favore dell’ausiliario del giudice”.

Manca invece completamente un momento di sintesi idoneo a delimitare i limiti della censura mossa alla sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Quanto a quest’ultimo aspetto, per reputare l’inammissibilità del motivo è sufficiente richiamare il precedente di questa Corte costituito da Cass. sez. un. 1 ottobre 2007, n. 20603, per il quale è necessario un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

Quanto al quesito di diritto come sopra formulato, esso, oltre ad essere evidentemente inidoneo a chiarire quale sia l’errore di diritto della sentenza impugnata che il ricorrente lamenta, risulta del tutto incomprensibile senza la lettura de “il ricorso proposto”, richiamato ma non sintetizzato, da cui soltanto sarebbe possibile trarre elementi per una risposta al quesito in termini positivi ovvero negativi, comunque in modo da poter enunciare una regula iuris applicabile anche in casi ulteriori rispetto a quello da decidere con la presente sentenza: è palese come il quesito in parola non fornisca alcuna valida sintesi-logico giuridica di tale caso e della questione che esso pone.

1.3.- Col terzo motivo di ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 e vizio di motivazione “in ordine alla pronunciata improponibilità dell’opposizione all’esecuzione per come riqualificata quale opposizione avverso il decreto di liquidazione del consulente tecnico del giudice”.

Con riferimento al vizio denunciato ex art. 360 c.p.c., n. 5, si rileva che l’illustrazione del motivo manca già di qualsiasi argomentazione che sia riferibile al vizio in parola – essendo le considerazioni svolte dalla ricorrente tutte relative al vizio di violazione del citato art. 170; il motivo è, a maggior ragione, privo dei caratteri che, alla stregua della giurisprudenza sopra richiamata, sono necessari per il rispetto dell’art. 366 bis cod. proc. civ. nella parte in cui richiede che “l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”.

Il quesito di diritto, riferibile alla dedotta violazione del citato art. 170, è formulato nei seguenti termini: ” Si chiede infine che l’Ecc.ma Corte Suprema di Cassazione voglia verificare se è stato o meno violato il disposto di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 con riferimento alla pronunciata improponibilità dell’opposizione all’esecuzione per come riqualificata nella sentenza impugnata”.

Anche il quesito in parola va reputato inidoneo per ragioni analoghe a quelle già espresse con riferimento al quesito riferito al secondo motivo.

Esso infatti, per un verso, si risolve in un richiamo alla norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 di portata talmente generale da risultare del tutto svincolato dal caso concreto; per altro verso, è inidoneo a chiarire quale sia l’errore di diritto della sentenza impugnata che il ricorrente lamenta.

Più in particolare, quanto al primo aspetto, il riferimento al “disposto di cui all’art. 170” è del tutto insufficiente a rendere edotti di quale sia la parte della norma che viene in rilievo e, soprattutto, quale sia l’interpretazione che di tale parte la società ricorrente intende propugnare.

Quanto al secondo aspetto, il quesito così come formulato, non contiene in sè l’indicazione delle peculiarità del caso concreto, soprattutto presuppone ed anzi impone la lettura della sentenza impugnata (ovvero della illustrazione del motivo contenuta nelle pagine da 11 a 13 del ricorso), perchè si possano comprendere le ragioni della “pronunciata improponibilità dell’opposizione all’esecuzione”, che vengono criticate dalla ricorrente, e perchè si possa capire come questa sia stata “riqualificata nella sentenza impugnata”. Inoltre, non contiene la sintesi degli argomenti per i quali, secondo la ricorrente, la sentenza impugnata non sarebbe dovuta pervenire alla pronuncia di improponibilità.

Avuto riguardo ai principi espressi da questa Corte (tra l’altro, con la sentenza a Sezioni Unite n. 26020 del 30 ottobre 2008, per la quale quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366-bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie.”) va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

2.- Non sussistono i presupposti per la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2011

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