Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14271 del 08/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 14271 Anno 2015
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 16658-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
contro

1243

LO GIUDICE MARCO;
– intimato –

Nonché da:

Data pubblicazione: 08/07/2015

LO GIUDICE MARCO C.F. LGDMRC68R01H501M, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che lo rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– con troriocrrente e ricorrente incidentale –

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585;
– intimata –

avverso la sentenza n. 3364/2008 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 03/07/2008 r.g.n. 937/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/03/2015 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega verbale
FIORILLO LUIGI;
udito l’Avvocato ROBERTO RIZZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale, inammissibilità del
ricorso incidentale in subordine assorbimento.

contro

16658.09

Udienza 17 marzo 2015

Pres. A. Lamorgese
Est. V. Di Cerbo

Sentenza
La Corte

1. La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza di prime cure nella parte in
cui aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, con
decorrenza 21 febbraio 2000, stipulato da Poste Italiane s.p.a. con Marco Lo
Giudice e, conseguentemente, la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato ed aveva condannato Poste Italiane s.p.a. al
risarcimento del danno derivante dalla illegittimità del termine; con la stessa
sentenza la Corte territoriale, in riforma della decisione di prime cure, ha limitato
il suddetto danno all’ammontare delle retribuzioni relative al periodo compreso fra
il 23 aprile 2004 (data della costituzione in mora) e il 29 giugno 2005, data di
scadenza del terzo anno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro.
2.

Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso affidato
a 9 motivi; il lavoratore ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso
incidentale illustrato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

Preliminarmente deve disporsi la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la
stessa sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).

5.

Il lavoratore è stato assunto con due contratti a termine, il primo dei quali
protrattosi dal 21 febbraio 2000 al 30 giugno 2000, mentre il secondo si è
protratto dal 1 luglio 2002 al 30 settembre 2002.

6.

Il primo dei suddetti contratti è stato stipulato a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26
novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo
del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di
contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di
ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione
della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di
nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul
territorio delle risorse umane.

7.

La Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo, ai fini della statuizione
sull’illegittimità del termine apposto a tale contratto, alla considerazione che lo
stesso è stato stipulato in data successiva al 30 aprile 1998.

8.

La società ricorrente principale censura tale statuizione con primi tre motivi che,
in quanto logicamente connessi, devono essere esaminati congiuntamente. Tali
motivi, con i quali si denuncia, in particolare, violazione e falsa applicazione degli
3

Rilevato che:

artt. 1 e 2 della legge n. 230 del 1962, dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987,
degli artt.1362 e segg. cod. civ. in relazione all’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre
1994 e di altre norme collettive, nonché vizio di motivazione, sono infondati e
devono essere pertanto rigettati.
Ed infatti, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che
l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987,
del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti
dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare
l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea
garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico
limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a
termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto,
dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed
esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei
lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione
data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr.
Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7
marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi, una sorta
di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono
destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque
omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano
della disciplina generale in materia ed inserendosi
nel sistema da questa
delineato (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006
n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale
sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto
collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione
del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n.
7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte
ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni
a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997,
integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo
attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di
relativa
alla
situazione straordinaria,
sussistenza
della
riconoscere
la
trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e
rinnodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del
30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a
termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo
derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti
in contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962
n. 230 (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008
n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass.
18378/2006 cit.).
10. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
11.In relazione alla suddetta conclusione ed alla conseguente conversione del
rapporto che deriva dalla illegittimità del termine derivante dalla disciplina dell’art.
23 della legge n. 56 del 1987 e della legge n. 230 del 1962, devono ritenersi
assorbiti il quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo motivi di ricorso che riguardano
4

9.

la statuizione concernente la legittimità del termine apposto al secondo contratto
stipulato fra le parti.
12. Per quanto concerne le conseguenze economiche derivanti dalla dichiarazione di
illegittimità della clausola appositiva del termine, si pone il problema
dell’applicabilità al caso di specie dello ius superveniens, rappresentato dall’art.
32, commi 5 0 , 60 e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24

13. In proposito deve premettersi, in via di principio, che costituisce condizione
necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che
abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto
controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle
questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di
legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8
maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è
altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il
tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia
altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria. Ne consegue che, con
riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza della questione
ad essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che vi siano motivi di
ricorso che investano specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata
nullità del termine.
14. Nel presente giudizio le censure concernente il profilo suddetto sono contenute nel
nono motivo del ricorso principale e negli undici motivi del ricorso incidentale
proposto dal Lo Giudice. Con tali motivi viene infatti censurata la statuizione della
sentenza impugnata con la quale Poste Italiane s.p.a. è stata condannata al
risarcimento del danno commisurato, secondo una valutazione equitativa, alle
retribuzioni maturate nell’arco temporale compreso fra la data della messa in
mora alla scadenza del triennio dalla data in cui il lavoratore ha cessato di
lavorare per la società resistente.
15. Col nono motivo del ricorso principale Poste Italiane s.p.a. si denunzia violazione e
falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1233, 2094 e 2099
cod. civ. La ricorrente lamenta, in particolare, la violazione dei principi in tema di
mora accipiendi e di corrispettività della prestazione, anche con riferimento alle
problematiche connesse alla prova dell’aliunde perceptum. Il motivo si conclude
per il principio
con i seguente quesiti di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ.:
della corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento
giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al
pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo
che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la
prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg.
cod. civ. la quale non è concretata dalla domanda di declaratoria della nullità del
termine apposto al contratto e di reintegrazione del posto di lavoro articolata in
seno al ricorso introduttivo del giudizio (primo quesito); in ipotesi di accertamento
della nullità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro e di riconoscimento,
a titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate, in applicazione delle previsioni di
cui all’art. 1218 ss. e degli artt. 2043 ss c.c., devono detrarsi i ricavi percepiti o
5

novembre 2010.

percepibili facendo uso dell’ordinaria diligenza (rientrando detti ultimi tra le ipotesi
di danno riconducibile a fatto e colpa del soggetto che si assume danneggiato) dal
lavoratore (sul quale grava conseguentemente l’onere di provare di aver posto in
essere ogni attività utile ad eliminare o limitare il danno ) che sarebbero stati
incompatibili con la prosecuzione della prestazione lavorativa (secondo quesito).

2011 n. 9583); ciò in contrasto con i principi enunciati da questa Corte di
legittimità (cfr., in particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36) secondo cui il
quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, deve
essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla
fattispecie dedotta in giudizio, dovendosi ritenere inesistente un quesito generico
e non pertinente, con conseguente inammissibilità del relativo motivo, come nel
caso di specie (per una analoga fattispecie cfr. Cass. 1 settembre 2011 n. 17674).
17.11 ricorso di Poste Italiane s.p.a. va pertanto respinto.
18. Per quanto riguarda il ricorso incidentale, avente ad oggetto esclusivamente il
profilo delle conseguenze economiche derivanti dalla declaratoria di illegittimità
del termine, osserva preliminarmente il Collegio che L art. 32, comma 5, della
legge n. 183 del 2010 riconosce al lavoratore un’indennità omnicomprensiva nella
misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto. Tale previsione è immediatamente applicabile anche
ai giudizi pendenti in cassazione, e il detto riconoscimento dell’indennità opera a
prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova
concreta di un danno, trattandosi di indennità forfetizzata e onnicomprensiva per i
danni causati dalla nullità del termine. Orbene, se da un lato tale indennità segna
oggi il limite massimo della tutela accordabile al lavoratore, dall’altro lato va
rilevato che, nel caso di specie, la misura dell’indennità è inferiore rispetto a
quanto riconosciuto al lavoratore dalla sentenza impugnata; ne consegue che, in
applicazione del divieto di reformatio in pejus, deve essere dichiarata
inammissibile l’impugnazione avverso la sentenza di merito che, come nel caso in
esame, abbia determinato il risarcimento del danno in misura comunque superiore
a quanto risulterebbe dalla liquidazione della citata indennità nella misura
massima (Cass. 9 ottobre 2014 n. 21309) rilevandosi il difetto di interesse del
lavoratore.
19. In definitiva il ricorso incidentale del lavoratore deve essere dichiarato
inammissibile.
20. Tenuto conto della parziale reciproca soccombenza, si reputa conforme a giustizia
compensare fra le parti un terzo delle spese del giudizio di cassazione e
condannare la ricorrente principale al pagamento dei residui due terzi di tali
spese, liquidate per l’intero in dispositivo. Le suddette spese devono essere
distratte a favore dell’avv. Roberto Rizzo, antistatario.

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16. Osserva il Collegio che, a parte la sostanziale genericità del motivo, i suddetti
quesiti risultano non del tutto pertinenti rispetto alla fattispecie, in quanto si
risolvono nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia senza
enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento
operato dai giudici di merito (cfr. Cass. 4 gennaio 2011 n. 80; Cass. 29 aprile

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta i primi tre motivi del ricorso principale; dichiara
inammissibile il nono motivo, assorbiti gli altri; dichiara inammissibile il ricorso
incidentale. Compensa per 1/3 le spese del giudizio di cassazione e condanna la
ricorrente incidentale al pagamento dei residui 2/3, liquidate per l’intero in Euro 100 per
esborsi e Euro 3500 (tremilacinquecento) per compensi, oltre spese generali pari al 15%

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e accessori di legge con distrazione a favore dell’avv. Roberto Rizzo, antistatario.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 marzo 2015.

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