Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14270 del 28/06/2011

Cassazione civile sez. III, 28/06/2011, (ud. 09/05/2011, dep. 28/06/2011), n.14270

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MASSERA Maurizio – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24574/2006 proposto da:

G.F.G. DI ZILIOTTO LUIGINA E C. S.N.C. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore Z.L., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FRANCO MICHELINI TOCCI 50, presso lo studio

dell’avvocato VISCONTI CARLO, rappresentata e difesa dall’avvocato

ROMUALDI Giuseppe giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CENTROBANCA BANCA DI CREDITO FINANZIARIO E MOBILIARE S.P.A., BANCA

POPOLARE DI SONDRIO S.C. A R.L.;

– intimati –

sul ricorso 27024/2006 proposto da:

BANCA POPOLARE DI SONDRIO – SOCIETA’ COOPERATIVA PER AZIONI

(OMISSIS), in persona dei legali rappresentanti pro tempore

GIOVANNI CARLO MASSERA – Vicedirettore Generale e P.

G. Procuratore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MERULANA 234, presso lo studio dell’avvocato BOLOGNA GIULIANO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato POLINI MARIO giusta

delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

G.F.G. DI ZILIOTTO LUIGINA E C. S.N.C. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore Z.L., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FRANCO MICHELINI TOCCI 50, presso lo studio

dell’avvocato VISCONTI CARLO, rappresentata e difesa dall’avvocato

ROMUALDI GIUSEPPE giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 669/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO –

Sezione Terza Civile, emessa il 7/2/2006, depositata il 16/03/2006,

R.G.N. 729/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/05/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato CARLO VISCONTI (per delega dell’Avv. GIUSEPPE

ROMUALDI);

udito l’Avvocato GIULIANO BOLOGNA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del principale,

accoglimento dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La G.F.G. di Ziliotto Luigina & C. s.n.c. interpose appello avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio che, pronunciando sull’opposizione proposta dalla medesima società – esecutata nella procedura esecutiva immobiliare n. 39/2002 promossa da Centrobanca Banca di Credito Finanziario e Mobiliare S.p.A.- avverso l’intervento spiegato dalla Banca Popolare di Sondrio, aveva dichiarato l’inammissibilità dell’intervento per la somma di Euro 77.384,87 ed aveva respinto l’opposizione nel resto – quanto alle somme di Euro 5.296,83 e di Euro 598.183,61, compensando tra le parti le spese di giudizio.

La Banca Popolare di Sondrio propose appello incidentale chiedendo che fosse dichiarato ammissibile anche l’intervento per la somma di Euro 77.384,87 e che le spese di primo grado fossero poste a carico di G.F.G..

2.- La Corte d’Appello di Milano ha rigettato sia l’appello principale che l’appello incidentale, condannando l’appellante principale al pagamento dei tre quarti delle spese processuali in favore dell’appellata e compensando le spese per la parte restante.

3.- Avverso la sentenza della Corte d’Appello propone ricorso per cassazione la G.F.G. di Ziliotto Luigina & C. s.n.c., a mezzo di cinque motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso l’istituto di credito intimato, che, a sua volta, propone ricorso incidentale, sulla base di un motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente vanno riuniti il ricorso principale ed il ricorso incidentale.

1.- Vanno esaminati congiuntamente per evidente connessione i primi due motivi di ricorso con cui si denuncia il vizio di violazione di legge ed il difetto di motivazione in ordine alla dedotta nullità del titolo esecutivo, che si assume essere un contratto di mutuo fondiario, perchè concesso in violazione della norma del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 38 e quindi nullo ex art. 1418 cod. civ., comma 1, in quanto garantito da ipoteca di secondo grado, e non di primo grado come invece previsto dalla norma.

1.1.- I motivi, così come proposti, sono inammissibili.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno ritenuto che il contratto di mutuo a rogito del notaio Francesco Surace di Sondrio del 17 dicembre 1998 rep. n. 127183, stipulato tra la Banca Popolare di Sondrio e la Greppi s.r.l., col quale l’odierna ricorrente si è resa terza datrice d’ipoteca, non integrava un contratto di mutuo fondiario, per la mancanza dei presupposti previsti dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 38, e fosse da qualificare come contratto di mutuo ordinario. Sostiene la ricorrente che, non avendo il contratto i requisiti stabiliti dalla legge per il mutuo fondiario, sarebbe “nullo in quanto stipulato in aperta violazione delle norme imperative previste dalla legge speciale che regola il mutuo fondiario e conseguentemente nullo per violazione dell’art. 1418 c.c.”. Aggiunge che i giudici del merito avrebbero omesso ogni motivazione in ordine alla questione di nullità del contratto di mutuo fondiario e si sarebbero limitati “a modificare la qualificazione giuridica del contratto da mutuo fondiario a mutuo ordinario”.

Tuttavia, la ricorrente non censura tale ultima ratio decidendi, sotto il profilo, appena evidenziato, della qualificazione del rapporto giuridico intercorso tra le parti come contratto di mutuo ordinario: più in particolare, con i motivi in esame si limita a dedurre la nullità del contratto con riferimento alla norma del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 38, applicabile in sè (e con la relativa disciplina, dettata dalle norme degli artt. 39-41 dello stesso decreto, nonchè dalla normativa secondaria costituita dalle deliberazioni del CICR, richiamate dallo stesso art. 38, comma 2) soltanto al contratto di mutuo fondiario; con gli altri motivi di ricorso censura – come si dirà – non la qualificazione del contratto in termini di mutuo ordinario, ma la sussistenza e la validità, nel caso di specie, degli elementi essenziali proprio di quest’ultimo contratto, specificamente della causa (motivi terzo e quarto) e del consenso (motivo quinto).

1.2.- Per l’ammissibilità del motivo concernente l’asserita omessa motivazione su una pretesa eccezione di nullità del contratto di mutuo fondiario che nè il giudice di primo grado nè il giudice d’appello risultano avere preso in alcun modo in considerazione, la ricorrente, avrebbe dovuto – così come eccepito dalla controricorrente – non solo allegare di avere (ri)sollevato in grado d’appello l’eccezione, deducendone il rigetto da parte del giudice di primo grado, ma anche riportare in ricorso i motivi dell’appello con i quali avrebbe sollevato tale eccezione, al fine di consentire a questa Corte di controllare la veridicità dell’assunto, prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr. Cass. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. 22 luglio 2005, n. 15422). Tutto ciò non risulta in alcun modo dal ricorso.

1.3.- Peraltro, il motivo è inammissibile anche quanto alla censura concernente il vizio di violazione di legge, sebbene non sia errata l’affermazione – fatta dalla ricorrente nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ. – che l’eccezione di nullità non proposta nei pregressi gradi di giudizio, dovrebbe comunque essere esaminata da questa Corte, poichè si tratterebbe di nullità per contrarietà a norme imperative, quindi rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado.

Ed invero tale principio sarebbe applicabile qualora il giudice del merito avesse qualificato il rapporto giuridico intercorso tra le parti come nascente da un mutuo fondiario stipulato ai sensi degli artt. 38 e seguenti del citato D.Lgs. n. 385 del 1993.

Soltanto in tale ultima ipotesi questa Corte, a ciò sollecitata dalla ricorrente, avrebbe potuto d’ufficio verificare la conformità del relativo contratto alle prescrizioni della norma della quale è denunciata la violazione.

Come detto, invece la Corte d’Appello ha attribuito al contratto intercorso tra le parti un diverso nomen iuris, così svolgendo un’attività interpretativa riservata al giudice del merito, atteso che questi può interpretare il titolo negoziale su cui si fonda la controversia applicando una norma di legge diversa da quella invocata dall’istante, avendo egli il potere-dovere di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica gli atti e i fatti che formano oggetto della lite (cfr., tra le altre, Cass. 10 febbraio 2000 n. 1461; 26 marzo 2002 n. 4318). Ovviamente, anche tale attività incontra dei limiti, specificamente imposti dal rispetto di petitum e causa petendi, sostanzialmente dal divieto di sostituire l’azione proposta con altra diversa (cfr., tra le tante, oltre a Cass. n. 4318/2002 cit., anche Cass. 15 maggio 2001 n. 6712) ed il superamento di questi limiti è denunciabile in cassazione.

Tuttavia, nel caso di specie, la ricorrente non ha affatto denunciato un errore di diritto od un vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice del merito nel qualificare il contratto come mutuo ordinario, ma – prospettando le censure di cui al primo ed al secondo motivo – ha formulato le stesse in termini tali che presupporrebbero che la qualificazione del contratto fosse stata quella del mutuo fondiario e che, pertanto e solo in conseguenza di ciò, esso sarebbe stato posto in essere in violazione della norma dell’art. 38. Ed, invece, dal momento che il mutuo è stato qualificato come ordinario, tale ultima norma è inapplicabile.

In conclusione, per poter denunciare la violazione o la falsa applicazione del più volte citato art. 38, la ricorrente avrebbe dovuto sostenere che il mutuo stipulato tra le parti in realtà dovesse essere qualificato come mutuo fondiario – ed, allo scopo, avrebbe dovuto impugnare la diversa qualificazione datane dal giudice del merito – e, soltanto nel presupposto che si trattasse di un mutuo fondiario, avrebbe potuto lamentare l’inosservanza delle norme regolanti quest’ultimo.

E’ vero infatti che il mancato rispetto di tali norme, ove contenenti precetti imperativi, preordinati al regolare andamento dell’attività creditizia nell’interesse pubblico, può comportare la nullità, totale o parziale, del relativo contratto (cfr. Cass. 1 settembre 1995 n. 9219). Occorre però tenere ben distinti due piani, che, invece, la ricorrente mostra di confondere: un conto è riscontrare la mancanza di uno o più dei requisiti formali e sostanziali che connotano il mutuo come fondiario, in un contratto che le parti hanno inteso stipulare come tale; altro conto è invece reputare che la mancanza di detti requisiti sia indice di una diversa volontà delle parti, meglio di un diverso atteggiarsi del loro rapporto, non qualificabile perciò come mutuo fondiario. Quest’ultima è la conclusione cui è giunto il giudice di merito nel caso di specie, non certo addivenendo, per tale via, ad una conversione di un contratto di mutuo fondiario nullo per violazione di norme imperative in un contratto di mutuo ordinario, ma interpretando la comune volontà dei contraenti come diretta alla stipula appunto di un contratto di mutuo ordinario.

Consegue alla mancata denuncia dell’erroneità di siffatta attività interpretativa, l’inammissibilità dei motivi fondati sulla (diversa) qualificazione del contratto come di mutuo fondiario.

2.- Il terzo ed il quarto motivo di ricorso, con cui si denunciano violazioni di norme di diritto, possono essere esaminati congiuntamente poichè pongono questioni strettamente connesse alla qualificazione del contratto come di mutuo ordinario, secondo quanto sopra, e poichè sono tra loro interdipendenti, avendo entrambi riguardo al requisito causale.

Col terzo motivo di ricorso viene dedotta la nullità del titolo esecutivo costituto dal contratto a rogito del notaio Francesco Surace di Sondrio del 17 dicembre 1998 rep. n. 127183 perchè sarebbe mancante della causa del mutuo ordinario, e quindi sarebbe stato violato l’art. 1418 cod. civ., comma 2, in combinato disposto con l’art. 1325 cod. civ., in quanto sarebbe mancata la traditio della somma data a mutuo; col quarto motivo del ricorso viene dedotta la simulazione assoluta dello stesso contratto perchè le parti, in realtà, non avrebbero inteso stipulare alcun contratto di mutuo, ma soltanto costituire una garanzia ipotecaria per un credito preesistente, in particolare fornire all’istituto di credito una prelazione ipotecaria per il debito nascente dallo scoperto di conto corrente intrattenuto dalla società mutuataria, Greppi s.r.l., per la quale la G.F.G. di Ziliotto Luigina & C. s.n.c. si era resa terza datrice d’ipoteca.

2.1.- La sentenza impugnata ha preso le mosse dalle clausole contenute nel contratto di mutuo, con le quali la parte mutuataria “da atto di avere ricevuto dalla banca la …somma …rilasciandone ampia quietanza” ed entrambe le parti danno atto della “riconsegna” della somma mutuata (avendo la parte mutuataria costituito la somma in deposito cauzionale infruttifero a garanzia degli obblighi nascenti dal contratto), per ritenere riscontrata positivamente, con riguardo alla fattispecie concreta, la sussistenza della consegna, intesa non tanto e non solo nel senso del materiale passaggio di denaro dalla mutuante alla mutuataria, quanto nel senso della realizzazione di un meccanismo giuridico destinato ad evitare un duplice trasferimento dal mutuante al mutuatario e viceversa, avendo convenuto una destinazione della somma che presuppone necessariamente che questa sia entrata nel patrimonio del mutuatario, che perciò ha potuto determinarne il concreto impiego. Ed, anzi, proprio tale disponibilità giuridica in favore della parte mutuataria consente, secondo la sentenza impugnata, sia di ritenere integrata la causa del mutuo, in conformità al suo schema tipico di contratto reale, sia di escludere che, nel caso di specie, le parti abbiano soltanto simulato un contratto che non avrebbero invece voluto.

Ha quindi concluso per la sussistenza di un valido titolo esecutivo, ai sensi dell’art. 474 cod. proc. civ., comma 1, n. 3.

2.2.- Giova precisare che la contestazione della ricorrente riguardo alla mancanza della consegna quale elemento perfezionativo del contratto di mutuo non attiene tanto alla costituzione (soltanto temporanea) del deposito infruttifero, quanto alla contabilizzazione della somma data a mutuo con accredito in conto corrente e quindi all’immediata utilizzazione dello stesso importo girato a saldo del conto corrente anticipi e del conto corrente ordinario. Secondo la ricorrente, tale operazione avrebbe comportato che sarebbe mancata in capo alla società mutuataria Greppi s.r.l. la disponibilità della somma di denaro erogata a titolo di mutuo e l’unico effetto sarebbe stato a vantaggio della banca mutuante che si sarebbe così costituita “artificialmente” un titolo contrattuale per riscuotere delle somme, per le quali avrebbe dovuto altrimenti agire in via monitoria (poichè relative ad credito corrispondente ad uno scoperto di conto corrente). La giurisprudenza di questa Corte pur ribadendo la tesi tradizionale per la quale il contratto di mutuo è un contratto reale, che quindi si perfeziona con la consegna della somma data a mutuo, che è elemento costitutivo del contratto (così come il pur necessario consenso legittimamente prestato dalle parti al trasferimento di questa somma), non configura la consegna idonea a perfezionare il contratto di mutuo come la materiale e fisica traditio del denaro nelle mani del mutuatario, ritenendone sufficiente la disponibilità giuridica. Più in particolare, va qui richiamato e ribadito il principio di diritto per il quale il conseguimento della giuridica disponibilità della somma mutuata da parte del mutuatario, può ritenersi sussistente, come equipollente della traditio, nel caso in cui il mutuante crei un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario, in guisa tale da determinare l’uscita della somma dal proprio patrimonio e l’acquisizione della medesima al patrimonio di quest’ultimo, ovvero quando, nello stesso contratto di mutuo, le parti abbiano inserito specifiche pattuizioni, consistenti nell’incarico che il mutuatario da al mutuante di impiegare la somma mutuata per soddisfare un interesse del primo (cfr. già Cass. 12 ottobre 1992, n. 11116 e 15 luglio 1994, n. 6686; nonchè Cass. 5 luglio 2001, n. 9074 e 28 agosto 2004, n. 17211; e, da ultimo, Cass. 3 gennaio 2011, n. 14).

Nel caso di specie, si è avuto un accreditamento in conto corrente, idoneo a far insorgere in capo alla società mutuataria la disponibilità giuridica della somma, da considerarsi equipollente alla consegna ai fini del perfezionamento del mutuo (cfr. già Cass. 21 dicembre 1990, n. 12123, nonchè Cass. 21 febbraio 2001, n. 2483).

Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non si è avuta affatto l’autorizzazione al mutuante a trattenere la somma stessa presso di sè (che effettivamente sarebbe stato un modo indiretto per procrastinare il perfezionamento del contratto), non essendo rilevante che a compimento dell’operazione la somma mutuata sia di fatto servita ad estinguere un debito che la mutuataria aveva nei confronti dell’istituto di credito mutuante. Ed invero ciò che rileva, per come risulta dalla giurisprudenza di questa Corte su richiamata, è che la somma data a mutuo esca dal patrimonio del mutuante ed entri nel patrimonio del mutuatario e questi ne possa disporre e di fatto ne disponga per soddisfare un proprio interesse;

non si può infatti ritenere che il contratto, perfezionatosi al momento di siffatto passaggio da un patrimonio all’altro, venga meno per la sola circostanza, riscontrabile in fatto ma non rilevante ai fini giuridici pretesi dalla ricorrente, che il mutuatario utilizzi la somma mutuata per soddisfare un proprio debito pregresso nei confronti del mutuante. In tale ultima ipotesi – a differenza di quella, della quale si è esclusa la sussistenza nel caso concreto, in cui il mutuante trattenga la somma presso di sè – col perfezionamento del contratto di mutuo è già insorta l’obbligazione restitutoria del mutuatario, che resta in vita anche dopo il pagamento del debito pregresso in favore dello stesso mutuante proprio perchè questo rinviene la sua fonte in un diverso rapporto già intercorso tra le parti; l’insorgere ed il permanere dell’obbligazione della restituzione dell’equivalente, oltre interessi (trattandosi di mutuo oneroso), a carico del mutuatario è ulteriore elemento atto a corroborare l’interpretazione seguita da questa Corte e qui ribadita.

Il terzo motivo di ricorso non è pertanto meritevole di accoglimento.

2.3.- Il quarto motivo di ricorso fa leva sulla giurisprudenza di questa Corte formatasi con riguardo alle ben diverse fattispecie della L. Fall., art. 67, u.c., e del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 39, comma 4.

Alla stregua di tale giurisprudenza, in tema di revocatoria fallimentare, si è ritenuta rilevante l’erogazione di un mutuo fondiario ipotecario non destinato a creare un’effettiva disponibilità nel mutuatario già debitore in virtù di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale al fine di ritenere l’inopponibilità al fallimento del contratto di mutuo e quindi l’esclusione dei benefici di cui alle norme citate (cfr., oltre a Cass. 19 novembre 1997 n. 11495, richiamata dalla ricorrente, anche Cass. 7 gennaio 2004 n. 12 e 1 ottobre 2007 n. 20622). Sebbene la casistica giurisprudenziale riguardi ipotesi analoghe a quella oggetto del presente giudizio, è da sottolineare che, a seconda di come siano stati in concreto regolati i rapporti tra le parti, lo strumento di cui queste, volta a volta, si siano avvalse può essere ricondotto al procedimento negoziale indiretto, alla simulazione od anche alla novazione, fattispecie tutte astrattamente configurabili (cfr. Cass. 2 marzo 2003 n. 4069).

Mentre tutte e tre dette fattispecie consentono l’azionabilità del meccanismo revocatorio L. Fall., ex art. 67, commi 1 o 2, sia pure con diverse conseguenze (in quanto l’ammissione al passivo della somma mutuata deve ritenersi incompatibile con le fattispecie della simulazione e della novazione, e non anche con quella del negozio indiretto), non tutte sono invece rilevanti ai fini della declaratoria di nullità invocata dalla ricorrente.

Questa, infatti, in tanto sussiste in quanto il contratto di mutuo sia stato assolutamente simulato, mentre dalla simulazione va tenuto distinto il procedimento negoziale indiretto.

Col quarto motivo di ricorso, la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per la parte in cui ha ritenuto insussistente la simulazione.

Sotto questo aspetto, la censura è del tutto infondata poichè la simulazione assoluta presuppone che nessuna somma sia stata realmente erogata in virtù del mutuo che si assume simulato, laddove, come detto sopra, nel caso di specie, vi fu l’erogazione della somma esattamente corrispondente a quella mutuata, con l’acquisizione della sua disponibilità giuridica da parte della mutuataria.

Infatti, secondo la Corte d’Appello le parti hanno realmente voluto il contratto di mutuo “non venendo meno la causa tipica di tale contratto per la circostanza che il contratto sia stato voluto per conseguire un fine ulteriore, cioè quello di munire di prelazione ipotecaria lo scoperto di conto corrente, nei limiti della somma mutuata, con il risultato di costituire una garanzia ipotecaria per il preesistente debito”.

Questa parte della motivazione che la ricorrente ha inteso come illogica rispetto alla ritenuta insussistenza della simulazione, tanto da sostenere che essa dimostrerebbe il contrario, è invece in perfetta coerenza con detta statuizione: la Corte di merito non ha fatto altro che riscontrare la sussistenza di un negozio indiretto, fattispecie incompatibile, appunto, con la simulazione infondatamente dedotta dall’appellante, odierna ricorrente. Anche il quarto motivo di ricorso va perciò rigettato.

3.- Col quinto motivo di ricorso la ricorrente deduce vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto, specificamente dell’art. 1438 cod. civ., per non avere la sentenza impugnata ritenuto annullabile per vizio del consenso, il contratto di mutuo stipulato con i signori G.M., Z.L. e G.R..

Secondo la ricorrente il contratto sarebbe stato stipulato dai predetti, fideiussori della Greppi s.r.l., perchè la banca avrebbe loro paventato la possibilità che, in difetto, sarebbe stato richiesto il rientro immediato dalla scoperto di conto corrente nei confronti di tale ultima debitrice, con la contestuale responsabilità dei fideiussori.

Sostiene la ricorrente che all’istituto mutuante sarebbero derivati diversi vantaggi ingiusti, in particolare la costituzione di una garanzia reale idonea a prevalere in caso di fallimento, trattandosi di mutuo fondiario, quindi da ritenersi in frode alla legge, e la costituzione di un titolo esecutivo in luogo del titolo contrattuale relativo al rapporto di conto corrente in essere tra le parti. La Corte d’Appello di Milano ha escluso che tali ultime evenienze possano essere qualificate come vantaggi ingiusti ai sensi e per gli effetti dell’art. 1438 cod. civ..

3.1.- La censura di cui al motivo in esame non è meritevole di accoglimento.

Con riguardo alla norma dell’art. 1438 cod. civ., va ribadito che la minaccia di far valere un diritto assume i caratteri delle violenza morale, invalidante il consenso prestato per la stipulazione di un contratto, ai sensi dell’art. 1438 cod. civ., soltanto se è diretta a conseguire un vantaggio ingiusto; il che si verifica quando il fine ultimo perseguito consista nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l’esercizio del diritto medesimo, sia anche esorbitante ed iniquo rispetto all’oggetto di quest’ultimo, e non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei modi previsti dall’ordinamento (cfr. Cass. 24 luglio 1993, n. 8290; 16 luglio 1996, n. 6426; 20 dicembre 2005, n. 28260).

Nel caso di specie, l’asserita minaccia sarebbe consistita nel prospettare l’eventualità che la banca avrebbe richiesto il rientro dallo scoperto di conto corrente alla società Greppi s.r.l., con conseguente responsabilità, in caso di mancato ripianamento del conto, dei fideiussori; questi ultimi, pertanto, si sarebbero indotti a stipulare il mutuo per reperire la liquidità necessaria. La valutazione in termini di ingiustizia non può essere riferita al perseguimento, da parte della banca, del pagamento del proprio credito nascente dal rapporto di conto corrente, dal momento che la ricorrente non ha lamentato che la relativa richiesta (e/o un’eventuale presupposta revoca di affidamento, della quale nemmeno vi è traccia) fosse, in sè, ingiusta, o contraria al contratto od alla buona fede, od addirittura abusiva.

Piuttosto, nel presupposto che la banca intendesse esercitare un diritto effettivamente spettante, ha dedotto che lo fece al fine di perseguire vantaggi ingiusti ex art. 1438 cod. civ..

Questi vantaggi indebiti sarebbero conseguiti alla modalità che si assume essere stata imposta ai debitori per rendere possibile il pagamento del saldo del conto corrente, vale a dire la stipulazione di un mutuo per conseguire la disponibilità del denaro.

Dato quanto sopra, è da ritenersi che tale stipulazione sia, in sè, legittima ed anzi utilizzata dal mutuatario per lo scopo tipico del contratto in concreto posto in essere. A ciò si aggiunga che questo, contrariamente all’assunto della ricorrente, è stato qualificato dal giudice di merito come contratto di mutuo ordinario – come tale non idoneo a costituire per la banca un privilegio di cui avvalersi in caso di fallimento della società mutuataria – ed è stato stipulato per atto di notaio; quest’ultima è da ritenersi modalità consentita dall’ordinamento tale da far conseguire di certo al mutuante un vantaggio, senza però che questo – previsto al solo scopo di consentire l’esecuzione forzata ex art. 474 cod. proc. civ., comma 1, n. 3 – possa reputarsi iniquo, in astratto o in concreto, a fronte di un’effettiva erogazione di denaro della quale la controparte si è comunque avvalsa per soddisfare un interesse anche proprio (essendo tale quello del debitore di adempiere un debito scaduto).

4.- Il ricorso incidentale è inammissibile.

Va, infatti, rilevato che mancano, quanto ai motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata per non aver motivato in merito alla censura riguardante le spese del primo grado di giudizio, sia l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano ex art. 360 cod. proc. civ., n. 4, sia la formulazione del quesito di diritto ai sensi di tale ultima norma e del richiamato art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis (dal momento che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 16 marzo 2006).

5.- La soccombenza reciproca che consegue alla declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale comporta la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2011

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