Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14268 del 14/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 14/06/2010, (ud. 30/04/2010, dep. 14/06/2010), n.14268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.N.C. TRASPORTI FRATELLI CUTULI, in persona del liquidatore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Giarre, Corso Italia n. 147,

presso lo studio dell’avv. GRASSI Claudio, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Sicilia, sez. 18, n. 201, depositata il 25 settembre

2008.

Letta la relazione scritta redatta dal Consigliere relatore Dott.

Aurelio Cappabianca;

constatata la regolarità delle comunicazioni di cui all’art. 380 bis

c.p.c., comma 3;

udito, per la società ricorrente, l’avv. Claudio Grassi;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico, che ha concluso, in adesione alla relazione, per

il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che la società contribuente propose ricorso avverso imposizione Iva ed Irap per l’anno 1998, definita, sulla scorta delle risultanze di verifica della G.d.F. fondata, in particolare, su movimentazioni di conti correnti bancari, che non trovavano riscontro nella contabilità e non risultavano altrimenti giustificate;

– che l’adita commissione tributaria accolse il ricorso, con decisione che, in esito all’appello dell’Agenzia, fu, tuttavia, riformata dalla commissione regionale;

che i giudici di appello rilevarono, in particolare, che la società contribuente non aveva fornito, come suo onere, prova della riferibilità delle riscontrate movimentazioni ad operazioni regolarmente contabilizzate;

rilevato:

che, avverso tale decisione, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione in tre motivi, illustrati anche con memoria;

– che l’Agenzia ha resistito con controricorso;

osservato:

– che, con il primo motivo di ricorso, la società contribuente ha dedotto falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, punto 2, e formulato il seguente quesito di diritto: “se il presupposto di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 comma 2, punto 2, sia il rinvenimento di dati emergenti da conti bancari non transitati nelle scritture contabili con conseguente inapplicabilità della presunzione se tutti i dati bancari sono figuranti nelle scritture”;

– che, con il secondo motivo di ricorso, la società contribuente ha dedotto violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e formulato il seguente quesito di diritto: “se in presenza di non contestata contabilità ordinaria e sistematica l’accertamento per presunzioni deve poggiare almeno su presunzioni gravi precise e concordanti di maggiori ricavi nella fattispecie non rilevanti e inesistenti”;

– che, con il terzo motivo di ricorso, la società contribuente ha dedotto violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, e D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3 e formulato il seguente quesito di diritto: … se il cessionario deve o non deve il tributo Iva in caso di mancata regolarizzazione di acquisti senza fattura, fermo restando, in tal caso, il pagamento di una sanzione da parte dello stesso;

considerato:

– che i motivi di ricorso vanno disattesi;

– che essi non ottemperano, infatti, alle prescrizioni imposte, a pena d’inammissibilità del ricorso, dall’art. 366 bis c.p.c., in quanto supportati da quesiti inidonei;

che questa Corte ha, infatti, reiteratamente affermato che – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – il quesito relativo ad una censura in diritto non può consistere in mera richiesta di accoglimento del motivo ovvero nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame dei giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata; con la conseguenza che la Corte deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione (e, quindi, necessariamente implicante il compiuto inquadramento dell’assunto giuridico nella fattispecie concreta), l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (v. Cass. s.u.

3519/08);

ritenuto:

– che, per tale assorbente rilievo, il ricorso va dichiarato inammissibile nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c.;

– che, per la soccombenza, il contribuente va condannato al pagamento delle spese di causa, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte: dichiara inammissibile il ricorso; condanna la società contribuente al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessi Euro 5.200,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi) oltre spese generali contributo unificato ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2010

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