Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14268 del 08/06/2017


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Cassazione civile, sez. III, 08/06/2017, (ud. 29/03/2017, dep.08/06/2017),  n. 14268

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16435/2014 proposto da:

AUTORITA’ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO in persona del

Presidente, domiciliata ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difesa per

legge;

– ricorrente –

contro

AUTORITA’ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in persona del

Presidente in carica, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difesa per

legge;

– controricorrente –

e contro

SOCIETA’ FRATELLI D.A. SPA;

– intimata –

nonchè da:

SOCIETA’ FRATELLI D.A. SPA in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione G.C., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA A. SECCHI 4, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI

STEFANELLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato UGO

VENITUCCI giusta procura speciale a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 6134/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/03/2017 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e l’accoglimento del 2^ motivo del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato dello Stato ANDREA FEDELI;

udito l’Avvocato PIERLUIGI STEFANELLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La F.lli D.A. spa, locataria di un immobile sito in (OMISSIS) e concesso in locazione all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con contratto a decorrenza 1.1.95 e fondato su atto preliminare d’impegno del 3.8.94, adì il tribunale di Roma con ricorso depositato in data 8.7.05, deducendo l’intervenuta proroga sessennale del contratto alla prima scadenza e l’illegittimità dell’esercizio della facoltà di recesso contrattualmente riconosciuta alla conduttrice per il caso di conseguita disponibilità di altra sede a ben determinate condizioni, nonostante alcune proroghe del termine di riconsegna via via richieste, per avere quella, invece, tratto in locazione-diverso immobile da altri; e, precisato di avere accettato il 2.12.04 la restituzione dell’immobile con ampia riserva, chiese la condanna della controparte al pagamento dei canoni contrattualmente previsti – dal 1.9.03 per Euro 4.595.603,99 – fino alla naturale scadenza contrattuale del 31.12.06 – o, in subordine, fino alla data di proposizione della domanda, ma comunque maggiorati di adeguamento ISTAT, IVA, interessi legali e svalutazione monetaria ed al risarcimento dei danni arrecati all’immobile, quantificati in Euro 2.500.000,00 o, in subordine, sulla base della quantificazione operata in sede di accertamento tecnico preventivo espletato nelle more.

2. La convenuta, costituendosi, ribattè sostenendo la piena legittimità dell’esercizio del diritto di recesso come contrattualmente previsto ed in ogni caso adducendo il riconoscimento, ad opera di controparte ed all’atto ed in forza della concessione delle proroghe della riconsegna, della rinnovazione del contratto; replicò, in subordine, per la configurabilità di un grave motivo di recesso ai sensi della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 27, ed anzi, contestato decisamente di avere riconsegnato l’immobile in condizioni peggiori di quelle in cui l’aveva ricevuto, chiese in via riconvenzionale la condanna di controparte al rimborso – per l’ingente somma di Euro 599.626,69 – delle spese per le opere sull’immobile eseguite, tutte previo accordo con la locatrice, previo accertamento dell’illegittimità del rifiuto di controparte di riprendersi in consegna l’immobile e con condanna di quella alla rifusione delle spese sostenute quale sequestrataria (per Euro 75.102,08) ai sensi dell’art. 1218 c.c., tale essendo stata nominata dal tribunale di Roma per il periodo tra il 23.12.03 e il 2.12.04.

3. Il medesimo tribunale – con sentenza n. 14147 del 25.8.08 accolse le domande principali, condannando la convenuta al pagamento dei canoni non corrisposti dal giorno 1.9.03 al 31.12.06 ed al risarcimento dei danni agli immobili, rigettando tutte le domande principali; e la corte di appello della Capitale, adita con ricorso dell’Autorità Garante, rigettò l’impugnazione principale ed accolse in parte quella incidentale della F.lli D., condannando la prima a pagare alla seconda anche le spese e gli accessori della sola c.t.u. svolta in sede di accertamento tecnico preventivo, oltre le spese di lite del secondo grado in Euro 18.020,00 (maggiorati di accessori).

4. Per la cassazione di tale sentenza di appello, pubblicata il 13.12.13 col n. 6134, ricorre oggi l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, affidandosi a sette motivi; resiste con controricorso, col quale propone ricorso incidentale articolato su due motivi, la F.lli D.A. spa; resiste a quest’ultimo, con separato controricorso, l’Autorità Garante.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente principale Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato lamenta:

– col primo motivo, “violazione o falsa applicazione degli artt. 1321, 1323, 1326, 1362, 1366, 1175, 1176 e 1375 c.c., L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 27 e 28 e del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 12” (pagine da 10 a 15 del ricorso): sostanzialmente censurando la ritenuta insussistenza di una comune intenzione delle parti di pervenire ad un nuovo assetto contrattuale, dell’illegittimità della pretesa di essa conduttrice di sciogliersi dal vincolo contrattuale, nonchè contestando l’applicazione della disciplina in tema di rinnovazione ad una fattispecie cui non poteva essere applicata;

– col secondo motivo, “violazione dell’art. 342 c.p.c.”: in estrema sintesi denunziando la ritenuta genericità del motivo di appello sulla “rinvenuta rinnovazione del canone, alla luce dell’ordinanza del tribunale di Roma che acclarava il diritto della stessa Autorità a procedere alla riconsegna dell’immobile ai sensi dell’art. 1216 c.c.” (v., testualmente, pag. 15 del ricorso);

– col terzo motivo, “violazione o falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 1175, 1216, 1227 e 2041 c.c., nonchè della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 27 e 28” (pagine 17 e seg. del ricorso): contestando la reputata illegittimità dell’esercizio del diritto di recesso, anche alla stregua del provvedimento ex art. 1218 c.c., del tribunale di Roma e della recuperata disponibilità del bene fin dal 2.12.04;

– col quarto motivo, “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti” (pagine da 18 a 21 del ricorso), identificato nel travisamento del contenuto della “perizia” e nella mancata considerazione delle argomentazioni di parte in punto di corrispondenza del deterioramento al normale uso della cosa locata, come reso evidente pure dagli ingenti lavori eseguiti da essa conduttrice;

– col quinto motivo, “violazione o falsa applicazione della disposizione di cui all’art. 1592 c.c.” (pag. 21 del ricorso): adducendo che i lavori per il cui rimborso essa aveva dispiegato la riconvenzionale erano stati approvati da controparte ed indispensabili per il pieno godimento del bene;

– col sesto motivo, “violazione o falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 1216 e 1802 c.c.” (pag. 22 del ricorso), sostenendo l’ingiustizia del rigetto delle pretese di ristoro delle spese sostenute da essa conduttrice quale sequestrataria dell’immobile;

– col settimo motivo, “violazione o falsa applicazione della disposizione di cui all’art. 91 c.p.c.” (anch’esso a pag. 22 del ricorso), censurando la propria condanna alle spese, perchè dipendente dall’erroneità della decisione per i precedenti motivi.

2. La ricorrente incidentale, confutati partitamente tutti i motivi del gravame avversario, denuncia:

– col primo motivo di ricorso incidentale, “violazione e falsa applicazione… degli artt. 99, 112 c.p.c., artt. 1223, 1224, 1284 e 2909 c.c. ed omesso esame di un fatto decisivo ai fini della decisione” (alle pagine da 114 a 125 del controricorso contenente il ricorso incidentale), quest’ultimo individuato nella circostanza che il tasso legale degli interessi è risultato sempre inferiore al tasso di rendimento lordo delle più comuni forme di investimento, il tutto in punto di diniego del riconoscimento del maggior danno da svalutazione monetaria per ritenuta carenza di prova;

– col secondo motivo di ricorso incidentale, “violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.” (alle pagine da 125 a 127 del controricorso contenente il ricorso incidentale), lamentando il mancato riconoscimento delle spese, diverse da quelle di consulenza tecnica, e dei compensi professionali per la fase di accertamento tecnico preventivo.

3. Del ricorso principale va esaminato per primo, in quanto logicamente preliminare, il secondo motivo: ma esso è inammissibile, visto che in ricorso, pur proclamandosi la trascrizione evidentemente integrale – dell’atto di appello, non si rinviene appunto il tenore testuale del relativo motivo di gravame che la corte territoriale ha dichiarato inammissibile per genericità: mentre, ove con il mezzo di censura qui azionato la ricorrente principale intendesse riproporre la tesi della conseguita rinnovazione – ma del contratto di locazione nel suo complesso e non del solo canone, come testualmente riferito nel trascritto passaggio del ricorso – anche in dipendenza dei provvedimenti emessi nel frattempo dal tribunale, quella sarebbe stata comunque esaminata e – per quel che si vedrà correttamente disattesa dalla corte territoriale.

4. Le censure di cui al primo ed al terzo motivo di ricorso, considerate nel loro complesso anche per essere accomunate nonostante la diversità del loro oggetto – dall’identità della questione, sono poi tutte infondate, una volta premesso e ricordato che, in materia di ermeneutica contrattuale:

– l’interpretazione delle clausole contrattuali rientra tra i compiti esclusivi del giudice di merito ed è insindacabile in cassazione se rispettosa dei canoni legali di ermeneutica ed assistita da congrua motivazione, potendo il sindacato di legittimità avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti, bensì solo l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (tra le molte, v. Cass. 31/03/2006, n. 7597; Cass. 01/04/2011, n. 7557; Cass. 14/02/2012, n. 2109; Cass. 29/07/2016, n. 15763);

– pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 09/10/2012, n. 17168; Cass. 11/03/2014, n. 5595; Cass. 27/02/2015, n. 3980; Cass. 19/07/2016, n. 14715).

5. Ciò posto, il contesto in cui si colloca l’ampia motivazione sviluppata dalla corte territoriale per escludere una valida manifestazione di rinnovata volontà delle parti per un nuovo assetto negoziale o per uno scioglimento per mutuo consenso o per valido esercizio di recesso, pattizio o legale, del precedente vincolo contrattuale corrisponde ad un’attività di valutazione del merito, in relazione a quella di ermeneutica contrattuale in generale, istituzionalmente incensurabile in sede di legittimità, se scevra come lo è nella specie – da quei soli gravissimi vizi motivazionali ormai rilevanti dopo la novella del n. 360 c.p.c., n. 5 (come interpretata dalle note Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054); a prescindere dal fatto che la ricorrente principale non indica adeguatamente i vizi di applicazione della normativa sull’ermeneutica contrattuale eventualmente ravvisa bili nella fattispecie, ma contesta solo i concreti risultati delle relative operazioni, si osserva, in via dirimente, che risponde oltretutto a criteri di intima e logica coerenza la conclusione di quell’esclusione, dinanzi alla considerazione di un tenore letterale contrattuale che riconosceva il recesso straordinario del conduttore alle sole ivi specificamente indicate ipotesi di messa a disposizione di un locale demaniale ovvero dell’acquisto di un immobile da destinare a sede definitiva dell’istituzione, con esclusione quindi di altre ipotesi alternative di acquisizione di quella disponibilità: e, trattandosi di clausole di evidente favore per il conduttore, non si ha motivo, in carenza di altri elementi utili, di estenderne l’accurato tenore testuale al di là del significato letterale, se non a prezzo di vanificare l’eccezionalità di tale privilegio pattiziamente concesso al conduttore fino a dilatarlo in modo inammissibile al mero arbitrio nel recesso unilaterale a questo riconosciuto.

6. In tale ambito, le richieste di differimento della riconsegna indirizzate dalla conduttrice alla locatrice, almeno fino ad un certo momento e cioè finchè era in qualche modo plausibile il riferimento alle specifiche ed eccezionali condizioni pattiziamente previste in favore della conduttrice, andavano certamente interpretate dalla destinataria come intenzione di avvalersi di quella facoltà e, in quanto tali, non contrastabili utilmente proprio perchè fondate su quel presupposto; ma tanto solo fino al momento in cui non sia apparsa evidente l’insussistenza della specifica condizione legittimante il recesso pattizio (ovvero convenzionale) straordinario, per avere dapprima rilevato e poi anche appurato la locatrice che il motivo dell’addotto recesso non era appunto nè la messa a disposizione (evidentemente gratuita) di altro locale demaniale, prospettata sia pur vagamente nelle prime comunicazioni, nè l’acquisto di un locale in proprietà da parte della conduttrice, ma semplicemente la stipula di un nuovo contratto di locazione con altro privato a condizioni evidentemente più vantaggiose per la sola conduttrice, ad evidente discapito della sola originaria locatrice. Ed in modo certamente corretto dall’esclusione dell’operatività dello speciale recesso pattizio la corte territoriale ha desunto la persistente operatività dell’originario vincolo contrattuale, escludendo la riferibilità della tolleranza della locatrice – in linea di principio già di per sè neutra, in difetto di altri elementi univoci – ad una consapevole volontà di scioglierlo o di addivenire ad un nuovo assetto negoziale; mentre non ha pregio l’argomento della non configurabilità di una rinnovazione tacita nei contratti stipulati dalla pubblica amministrazione, visto che, nella specie, quella era stata oggetto di specifica clausola con riferimento almeno al primo sessennio (Cass. 24/11/1999, n. 13039; Cass. 30/09/2016, n. 19410), nè rilevando la condotta successiva della conduttrice, malamente impostata sul presupposto, in quanto poi rivelatosi fallace o insussistente, di una delle due sole ipotesi per l’operatività di quello specifico recesso pattizio come espressamente convenuto tra le parti.

7. Quanto alla non configurabilità dei gravi motivi per il recesso previsto in via generale dalla L. n. 392 del 1978, poi, il ricorso principale non si fa neppure adeguatamente carico delle analitiche argomentazioni in punto di fatto in ordine all’insussistenza di motivi rilevanti ai fini di quella norma: le quali del resto corrispondono a valutazioni di mero fatto, incensurabili in sede di legittimità già prima della novella dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (per tutte: Cass. 24/09/2002, n. 13909), in ordine ad ogni profilo necessario (v. intera pag. 10 e metà della pag. 11 della gravata sentenza); sicchè la relativa doglianza non può neppure essere presa in considerazione.

8. Nessun pregio ha neppure la tesi di un presunto accertamento del diritto del conduttore in base all’ordinanza del tribunale di Roma: evidentemente la ricorrente intendendo riferirsi a quella resa all’esito del procedimento ai sensi dell’art. 1216 cpv. c.c. e art. 79 disp. att. c.c. (perchè, altrimenti e cioè per il caso in cui invece si trattasse di ordinanza diversa, la censura qui mossa sarebbe inammissibile, perchè sarebbe incomprensibile ogni riferimento ad esso individuarla ed impossibile individuarne il contenuto o i potenziali effetti sulla base dei soli elementi contenuti nel ricorso), tale provvedimento costituisce una species del sequestro liberatorio di cui all’art. 687 c.p.c., sicchè si applica ad essa – nella vigenza della disciplina di cui agli artt. 669-bis c.p.c. e segg. – il regime proprio del procedimento cautelare uniforme (Cass. 21/06/2013, n. 15669, anche per una compiuta ricostruzione dell’istituto) e ne conseguono sia la sua istituzionale inidoneità a qualunque giudicato, sia la sua caducazione in caso di accertamento – anche solo con sentenza di primo grado di insussistenza del diritto cautelato. Pertanto, a prescindere dal fatto che il tenore testuale di quell’ordinanza neppure è adeguatamente trascritto nel ricorso principale e che in ogni caso, per la sua funzione, non potrebbe mai pregiudicare il merito, ma solo assicurare gli effetti della pronuncia sul buon diritto del conduttore a restituire il bene senza conseguenze, buon diritto che nella specie è stato escluso appunto fin dal primo grado, nessun diritto a riconoscere ad alcuna delle parti oggi in causa.

9. Ancora, la circostanza della restituzione della cosa locata non può fondare alcun diritto in capo al conduttore quando la controparte ha formulato, come è accertato in fatto e non adeguatamente qui contestato, espressa riserva di azione per i diritti ancora nascenti dal contratto, che intenda far dichiarare persistente ed abbia poi appunto agito in tal senso: in ogni caso in cui il conduttore, deducendo il proprio diritto alla risoluzione anticipata del rapporto, riconsegni l’immobile al locatore, il quale accetti la consegna con riserva, il primo non è liberato ai sensi dell’art. 1216 c.c., dall’obbligo del pagamento dei canoni ancora non maturati, mentre il successivo accertamento dell’insussistenza del diritto di recesso (e quindi l’accertamento dell’inesistenza di qualsiasi buona ragione di restituzione) comporta che il conduttore medesimo (non liberato dagli originari vincoli derivanti dal perdurante sinallagma contrattuale) è tenuto al pagamento dei canoni fino alla scadenza del contratto (Cass. 08/08/2002, n. 12020). Ed a confutazione di tale principio di diritto nessuna valida o idonea argomentazione viene neppure sviluppata in ricorso, sicchè non può qui revocarsi in dubbio tale principio, nè rimettersi in discussione la conclusione cui perviene il precedente di legittimità richiamato dalla corte territoriale e che essa applica alla fattispecie.

10. Quanto al quarto motivo di ricorso, esso è inammissibile, perchè consiste nella riproposizione acritica delle tesi del consulente di parte, evidentemente già sottoposte ai giudici del merito, ma, da un lato, senza farsi carico di analitiche confutazioni dei singoli passaggi motivazionali di questi ultimi nelle parti in cui recepiscono le evidentemente differenti conclusioni dei consulenti di ufficio, nè, dall’altro lato, tener presente che la critica a tali conclusioni comporta una tipica valutazione di fatto, ovvero delle risultanze del materiale istruttorio: ciò che invece è sempre precluso in questa sede, a maggior ragione dopo la novella dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che ha ridotto al minimo costituzionale il controllo in sede di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. nn. 8053, 8054 e 19881 del 2014), rimanendo comunque gli apprezzamenti di fatto – se scevri, come lo sono nella specie, da quei soli ed evidenti gravissimi vizi logici o giuridici ammessi dalle or ora richiamate pronunzie delle Sezioni Unite – istituzionalmente riservati al giudice del merito (tanto corrispondendo a consolidato insegnamento, su cui, per tutte, v. Cass. Sez. U. n. 20412 del 2015, ove ulteriori riferimenti). Mentre, quanto al profilo di diritto relativo alla prova delle condizioni dell’immobile, risponde alla consolidata giurisprudenza di legittimità, cui va qui assicurata continuità, che incombe al conduttore di dare la rigorosa prova delle condizioni iniziali del bene locato, ovvero della corrispondenza di quelle all’atto della riconsegna con quelle iniziali, onde escludere appunto in fatto un deterioramento a lui imputabile (Cass. 26/07/2016, n. 15361; Cass. 07/07/2005, n. 14305): ciò che invece è, per valutazione anche in questo caso in punto di mero fatto e quindi incensurabile in questa sede, mancato nel caso di specie per fatto ascrivibile appunto alla conduttrice.

11. Il quinto motivo del ricorso principale è, poi, anch’esso inammissibile, perchè non si fa carico dell’espressa ratio decidendi della corte territoriale in punto di non spettanza di alcun rimborso per lavori anche solo per rendere l’immobile idoneo all’uso contrattuale in dipendenza della determinazione – fin dalla pattuizione originaria del canone in modo da tenerne conto e dell’accollo per Lire 200 milioni, ma soprattutto dell’assenza delle specifiche condizioni pattiziamente previste per l’operatività del diritto alla relativa indennità, tra cui soprattutto la presentazione di regolare richiesta con le relative relazioni tecniche ed autorizzazioni amministrative; la mancata considerazione di tale specifica ragione a sostegno della decisione impedisce di ritenere quindi adeguatamente contestata quest’ultima ed essa si sottrae alle altre critiche mosse con la censura in esame.

12. Per quanto attiene al sesto motivo del ricorso principale, da quanto già argomentato ai precedenti punti 8 e 9 consegue poi, in accordo con un indirizzo giurisprudenziale cui è doveroso assicurare continuità, l’accollo al conduttore di ogni spesa sostenuta durante il sequestro (Cass. 23/06/1986, n. 4162; Cass. 13/07/1998, n. 6856), a maggior ragione di quelle a quegli facenti capo proprio in qualità di conduttore – come accertato dalla corte territoriale – ed in virtù della riconosciuta persistenza del vincolo contrattuale originario quale conseguenza dell’esclusione della fondatezza del diritto al recesso (o, in generale, a qualunque fattispecie di estinzione o risoluzione anticipata del rapporto negoziale), in reiezione del sesto motivo di ricorso principale ed in applicazione del seguente principio di diritto: “qualora il conduttore di un immobile, deducendo il proprio diritto alla risoluzione anticipata del rapporto e dopo aver intimato al locatore di riprenderne il possesso, chieda ed ottenga la nomina di un sequestratario, ai sensi dell’art. 1216 cpv. c.c., il successivo accertamento dell’insussistenza di tale diritto comporta che il conduttore medesimo è tenuto sia al pagamento dei canoni fino alla scadenza del contratto, sia all’assunzione delle spese della suddetta custodia”. E tanto proprio per la perdurante operatività di tutti gli obblighi che trovano fonte nel sinallagma contrattuale, mai venuto meno nonostante la pretesa vantata dal conduttore, che malamente ha ritenuto di potere azionare il recesso o altra causa di anticipata cessazione del vincolo stesso.

13. L’ultimo motivo di ricorso principale è poi anch’esso infondato, perchè la qui gravata sentenza ha regolato le spese in ineccepibile applicazione del principio della soccombenza, una volta riscontrata quest’ultima in capo alla conduttrice: soccombenza che, del resto, è qui confermata in ragione della riscontrata infondatezza o inammissibilità delle censure mosse dalla ricorrente principale.

14. Per passare all’esame del ricorso incidentale, ne è infondato il primo motivo: infatti, in primo grado è stata chiesta dalla locatrice una generica rivalutazione, ma non il maggior danno, tanto meno nella sua specifica articolazione poi compiutamente descritta dalla pure richiamata Cass. Sez. U. 16/07/2008, n. 19499; ma effettivamente, non spettando in via automatica la rivalutazione (oltre a Cass. 02/11/2010, n. 22273, richiamata dalla gravata sentenza, v. pure, negli stessi termini, la più recente Cass. Sez. U. 23/03/2015, n. 5743), sarebbe stata necessaria in primo grado una specifica allegazione di un danno ulteriore rispetto a quello che sarebbe stato risarcito con il mero saggio di interesse legale via via vigente; carenza cui non poteva supplire con l’atto di appello la locatrice, come eccepito formalmente dalla sua controparte anche in questa sede con il controricorso al ricorso incidentale. Tanto assorbe – non potendo quello condurre ad esito diverso, per il carattere dirimente della appena svolta considerazione – l’esame dell’altro profilo di doglianza, relativo all’erroneità del riscontro della mancata proposizione di specifica domanda.

15. Peraltro, è fondato il secondo motivo di ricorso incidentale: riconosciuta la soccombenza della controparte, non ha giuridico fondamento l’immotivato riconoscimento, da parte della corte di appello, delle sole spese vive consistenti nei compensi – e relativi accessori – del consulente tecnico di ufficio nel procedimento di accertamento tecnico preventivo, visto che anche alla relativa attività defensionale si applica la regola generale dell’art. 91 c.p.c.; infatti (da ultimo, Cass. 27/07/2005, n. 15672), “le spese dell’accertamento tecnico preventivo ante causam vanno poste, a conclusione della procedura, a carico della parte richiedente e vanno prese in considerazione nel successivo giudizio di merito (ove l’accertamento stesso venga acquisito) come spese giudiziali, da porre, salva l’ipotesi di possibile compensazione totale o parziale, a carico del soccombente e da liquidare in un unico contesto”.

16. Peraltro, il ricorso incidentale non è, al riguardo, ammissibile quanto agli esborsi, o spese vive, diversi da quelli per il pagamento del consulente tecnico di ufficio (già oggetto di accoglimento dell’appello incidentale), non risultando dal tenore testuale dell’atto formato in questa sede dal controricorrente l’entità precisa dei relativi importi la cui richiesta di liquidazione era stata sottoposta ai singoli giudici del merito: e potendo sopperirsi alla relativa mancanza esclusivamente a quelle voci, come i diritti e gli onorari, previste in via generale ed astratta – ed allora nei loro valori medi, per detta carenza – dalla vigente tariffa forense applicabile in relazione al tempo del procedimento speciale cui si riferisce la censura di omessa liquidazione.

17. Inammissibili (il secondo, il quarto e il quinto) o infondati (il primo, il terzo, il sesto e il settimo) i motivi di ricorso principale ed infondato il primo motivo di ricorso incidentale, l’uno va rigettato e l’altro accolto in ordine a tale censura accolta: con conseguente cassazione della gravata sentenza limitatamente al capo delle spese e nella parte in cui non liquida, in favore della locatrice, anche i diritti e gli onorari del procedimento di accertamento tecnico preventivo.

18. Al riguardo, poichè è manifesta la non necessità di ulteriori accertamenti di fatto, può anche decidersi la causa nel merito quanto a questo punto, provvedendosi, ferma restando in ogni altro suo capo la sentenza di secondo grado, ivi compresa la condanna alle spese ivi contenuta per essere pure la relativa liquidazione adeguata anche in relazione all’entità così corretta delle voci oggi riconosciute con il presente capo aggiuntivo in favore della allora appellante incidentale, ad estendere la condanna della già conduttrice anche a tali ulteriori voci, nei sensi di cui in dispositivo; e tanto, esclusi – per quanto argomentato al precedente punto 16 – gli esborsi diversi dai già riconosciuti compensi ed accessori per il c.t.u., liquidandosi:

a) quanto ai soli onorari, in applicazione – trattandosi di attività conclusasi (dopo i chiarimenti resi dal c.t.u. depositati il 17.7.04: v. doc. 36 della produzione della ricorrente incidentale) sotto il suo vigore – del D.M. 8 aprile 2004: voce “procedimenti speciali” della tabella A – quadro 7, per valore di scaglione tra Euro 516.500 ed Euro 1.549.400, in relazione ai danni stimati: coefficiente di 0,000948, pari al valore intermedio tra minimo e massimo, per totali Euro 550,00 in cifra tonda;

b) quanto ai soli diritti, alle tariffe forensi via via applicabili: voci corrispondenti per cause di detto valore ed in riferimento alle relative attività, per totali Euro 735,00 in c.t.;

c) con riconoscimento della maggiorazione per spese generali nella misura massima prevista dal D.M. 8 aprile 2004, oltre gli altri accessori (CPA ed IVA) nella misura di legge.

19. La soccombenza nel presente giudizio di legittimità è invece, con ogni evidenza, in prevalenza riferita alla ricorrente principale: la quale va allora condannata alle spese in favore della controparte, ma appunto in misura non integrale, potendosi riconoscere una compensazione parziale, che stimasi equa in ragione di un quinto e con limitazione della condanna ai rimanenti quattro quinti.

20. Va infine dato atto della non sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito: infatti, da un lato la ricorrente principale, assistita dall’Avvocatura Generale dello Stato, è esente dal versamento del contributo unificato (Cass. 14/03/2014, n. 5955) e, dall’altro, non si configura una soccombenza integrale della ricorrente incidentale, che vede accolto il secondo motivo della sua impugnazione.

PQM

 

Rigetta il ricorso principale ed il primo motivo di ricorso incidentale; accoglie il secondo motivo di ricorso incidentale; cassa la gravata sentenza in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna l’odierna ricorrente principale al pagamento, in favore della controparte, anche dei diritti e degli onorari per la fase di accertamento tecnico preventivo, liquidati in complessivi Euro 1.285,00, oltre alle spese forfettarie nella misura massima all’epoca vigente ed agli accessori di legge.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, ai quattro quinti delle spese del giudizio di legittimità, liquidati nella misura intera in Euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; e dichiara compensato tra le parti il rimanente quinto.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2017

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