Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14264 del 13/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 13/07/2016, (ud. 03/02/2016, dep. 13/07/2016), n.14264

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18344/2012 proposto da:

CUMA 6 SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 20,

presso lo studio dell’avvocato CESARE PERSICHELLI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

DIREZIONE PROVINCIALE (OMISSIS) ROMA GIA’ AGENZIA DELLE ENTRATE

UFFICIO DI ROMA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 194/2012 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 22/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/02/2016 dal Consigliere Dott. PAOLA VELLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La societa’ “CUMA 6 s.r.l.” impugna, con ricorso affidato a due motivi, la sentenza n. 194/14/12 del 22.3.2012, con cui la Commissione tributaria regionale del Lazio, respingendo l’appello della contribuente, ha confermato la decisione della Commissione tributaria provinciale di Roma, che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento recante la rettifica della dichiarazione dei redditi relativi all’anno di imposta 2004, a fini Ires, Irap ed Iva, con riguardo ad una cessione di aree edificabili al prezzo di Euro 1.500.000,00 a fronte di un valore di mercato di Euro 3.285.000,00 basato sia sui dati dell’OMI che su apposita perizia dell’Agenzia del territorio.

L’intimata Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

La ricorrente a sua volta ha prodotto memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: D.P.R. 26.0.1972, n. 633, art. 54; D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 3; D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 39 e 40, anche n relazione all’art. 2697 c.c.”.

1.1. In esso si lamenta che la sentenza gravata, senza fare alcun cenno ad eventuali frodi o evasione fiscale, avrebbe clamorosamente trascurato i distinti presupposti sui quali si fondano l’imposizione diretta (ricavi) e quella indiretta (valori), senza avvedersi che il valore preso a base dell’accertamento ai fini Iva nemmeno derivava da un accertamento ai fini dell’imposta di registro, ma ben “piu’ semplicemente dalle risultanze OMI, privilegiata dalla Commissione di merito rispetto alla stima (partigiana) dell’Agenzia del territorio, alla quale, infatti, non viene data alcuna decisiva rilevanza”, anche valorizzando il fatto che “contro le risultanze OMI non era stata addotta alcuna valida argomentazione contraria a quanto affermato dall’Ufficio”, ma cosi’ dimenticando che l’onere della prova “resta pur sempre a carico dell’Ufficio-attore”.

2. In subordine, con il secondo mezzo viene proposta la seguente censura: “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e n. 3 – Omessa ed insufficiente motivazione in relazione ad un punto decisivo della controversia e conseguente violazione dell’art. 2697 c.c.”.

2.1. Parte ricorrente rileva la contraddittorieta’ del rilievo per cui “la prova contraria alle risultanze peritali dell’Amministrazione non sarebbe stata fornita o, comunque, deve tenersi insufficiente”, senza che il giudice d’appello spieghi in alcun modo “perche’ la prova addotta dall’appellante” (perizia di parte) “sarebbe inidonea a sorreggerne le censure”.

3. Entrambi i motivi, che in quanto connessi possono essere esaminati congiuntamente, presentano profili sia di infondatezza che di inammissibilita’.

4. In termini generali, occorre richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, in tema di Iva, l’ufficio puo’ procede a rettifica ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, sulla base dei dati e delle notizie raccolti nei modi previsti dal precedente art. 51, ivi compresa la richiesta di tali dati e notizie ad organi e amministrazioni dello Stato (comma 2, n. 5), con la conseguenza che: ove l’infedelta’ della dichiarazione venga accertata “a seguito di segnalazione dell’ufficio delle imposte dirette, che a sua volta aveva effettuato accertamento nei confronti del medesimo contribuente, nessuna altra indagine in ordine ad essa e’ tenuta a svolgere l’ufficio IVA, disponendo dei concreti elementi necessari per affermare l’infedelta’, acquisiti in conformita’ alla legge, senza necessita’ di presumerla come sarebbe, peraltro, ammissibile in astratto ai sensi dell’art. 54, comma 2, ultima frase o di procedere ad ulteriori indagini (v. Cass. n. 1319 del 2007); inoltre, “l’applicazione diretta dei principi costituzionali di uguaglianza, legalita’, imparzialita’ amministrativa e capacita’ contributiva comporta che, anche in difetto di un’espressa previsione legislativa, il valore accertato dall’Amministrazione finanziaria ai fini applicativi di un’imposta (nella specie, l’IRPEF) vincola la stessa Amministrazione anche in riferimento all’applicazione di altri tributi (nel caso, l’IVA), ove i fatti economici siano i medesimi e le singole leggi d’imposta non stabiliscano differenti criteri di valutazione” (v. Cass. Sez. 5, n. 19321 del 2006 e n. 1202 del 2011; cfr. Cass., sez. 5, n. 19622 del 2015 e, di recente, n. 10225 del 2016).

5. Nel caso di specie, peraltro, la sentenza impugnata non si fonda su pregressi accertamenti ai fini dell’imposta di registro, bensi’ sulla complessiva valutazione – peraltro conforme a quella dei giudici di prime cure – del materiale probatorio versato in atti, avendo il giudice d’appello correttamente ritenuto: a) che l’Ufficio ben puo’ rettificare gli imponibili denunciati qualora gli scostamenti di valore emergano a seguito di specifiche e puntuali valutazioni estimative condotte da Uffici tecnici della P.A.; b) che l’operato dell’Agenzia delle entrate si basa non solo sulla perizia redatta da un organo a cio’ preposto, quale e’ l’Agenzia del territorio, ma considera anche i valori forniti dall’OMI ai fini della determinazione del valore dei terreni compravenduti; c) che i criteri fissati dall’OMI, pur non avendo natura imperativa, “hanno natura di atti ricognitivi del valore di mercato, alla pari dei listini delle agenzie immobiliari e degli studi di settore, e, come tali, ammettono la prova contraria da parte del contribuente”; d) che nel caso di specie tale prova contraria non e’ stata fornita, “o comunque e’ risultata insufficiente, non adducendo alcuna valida argomentazione contraria a quanto affermato dall’Ufficio”; e) che a tale conclusione si e’ pervenuti “tenuto conto anche della ubicazione dei terreni in una localita’ di particolare pregio e di continuo sviluppo da un unto di vista commerciale”.

6. Ebbene, considerata anche la giurisprudenza di questa Corte che attribuisce alle quotazioni OMI il valore di massime di esperienza, utilizzabili dal giudice ai fini della decisione, ex art. 115 c.p.c., comma 2, senza bisogno di prova (Cass. n. 25707/15), appare evidente che le censure proposte appaiono non solo infondate, ma finanche inammissibili, “in quanto mirano a suscitare nella presente sede di legittimita’, mediante la proposizione di un vizio di motivazione, la rivisitazione degli elementi fattuali della vicenda impositiva attraverso i quali la commissione tributaria regionale e’ giunta a ritenere congruo il maggior valore accertato” (in termini, da ultimo, Cass. n. 10225/16).

7. Costituisce infatti ius receptum che le censure motivazionali non conferiscono al giudice di legittimita’ il potere di riesaminare il merito della vicenda, bensi’ la sola facolta’ di controllare – sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale – le argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui “spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad essi sottesi, dando cosi’ liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex multis, Cass. 19.1.2015 n. 742). Di conseguenza, il preteso vizio di motivazione “puo’ dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione” (ex multis, Cass. n. 8718 del 2005). Inoltre, l’omissione o insufficienza della motivazione resta integrata solo a fronte di una totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero di una palese illogicita’ del tessuto argomentativo, ma non anche per eventuali divergenze valutative sul significato attribuito dal giudice agli elementi delibati, non essendo il giudizio per cassazione un terzo grado di merito (ex plurimis, Cass. s.u. n. 24148/13; Cass. nn. 12779/15 e 12799/14).

8. Nel caso di specie, come visto, la commissione tributaria regionale ha dato esaurientemente conto delle ragioni in base alle quali ha confermato il giudizio di legittimita’ dell’atto impositivo gia’ espresso dalla commissione provinciale, con particolare riguardo ai criteri valutativi dell’OMI ed alla inidoneita’ della prova contraria fornita dal contribuente, risultando percio’ incensurabile in questa sede una siffatta delibazione fattuale, tanto piu’ considerando l’orientamento per cui anche una stima di parte, effettuata da un organismo tecnico interno all’amministrazione finanziaria, “puo’ essere posta dal giudice di merito a fondamento, eventualmente anche esclusivo, del proprio convincimento”, alla sola condizione che sia dia “conto delle ragioni di tale scelta, anche in relazione al tenore delle contestazioni del contribuente” (in termini, da ultimo, Cass. n. 10225/16 cit.).

9. Sotto altro profilo, non pare influente il richiamo all’abrogazione delle disposizioni introdotte dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, commi 2 e 3, convertito dalla L. n. 248 del 2006, che avevano attribuito, ai fini degli accertamenti in tema d’imposte dei redditi e d’IVA, valore di presunzioni legali di maggiori ricavi, in caso di cessioni d’immobili, al valore normale dell’immobile che risultasse superiore al prezzo dichiarato; infatti, l’eventuale rettifica di valore ai fini dell’imposta di registro – la cui base imponibile e’ data, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 2, dal valore venale in comune commercio (di fatto coincidente con la richiamata nozione di valore normale) – “e’ basata su metodo di stima comparativa, all’interno del quale il ricorso ai valori immobiliari OMI si colloca nel quadro di “ogni altro elemento di valutazione”, cui fa riferimento, in via residuale, il citato art. 51, comma 3, quanto all’indicazione dei criteri di stima, liberamente valutabile dal giudice di merito” (cfr., da ultimo, Cass. n. 7271/16).

10. Solo a titolo di completezza si fa presente che esulano dal perimetro del presente giudizio le recenti disposizioni del D.Lgs. n. 147 del 2015, il cui art. 5, comma 3, prevede che del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 58, 68, 85 e 86 e del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 5, 5-bis, 6 e 7, “si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonche’ per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non e’ presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347”.

11. In conclusione, il ricorso va respinto, e l’amministrazione ricorrente condannata alla rifusione delle spese processuali del presente giudizio di legittimita’, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la societa’ ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 10.500,00 oltre spese prenotate a debito.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2016

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