Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1426 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. III, 20/01/2017, (ud. 02/12/2016, dep.20/01/2017),  n. 1426

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12076-2014 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO

N. 32, presso lo studio dell’avvocato FABIO ACCARDO, rappresentato e

difeso dagli avvocati GIUSEPPE MUNNO, ALBERTO D’ANGELO giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.G.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VOLUSIA,

26, presso lo studio dell’avvocato MICHELE MERLA, rappresentato e

difeso dagli avvocati LAURA CASACCIA, FRANCO LEONE giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 86/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 16/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2016 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito l’Avvocato ALBERTO D’ANGELO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE MUNNO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO GIANFRANCO che ha concluso per il rigetto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. D.G.B. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Sulmona T.G. chiedendo dichiarazione di risoluzione per inadempimento del contratto di affitto di azienda di data 1 giugno 1996 avente ad oggetto il “(OMISSIS)” e condanna al risarcimento del danno. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda e proponendo domanda riconvenzionale di condanna al risarcimento del danno conseguente all’inadempimento degli obblighi contrattuali ed in subordine la risoluzione per mutuo consenso del contratto come da verbale di consegna delle chiavi di data 16 ottobre 1996.

2. Il Tribunale adito accolse la domanda, condannando il convenuto al pagamento della somma di Lire 200.000.000.

3. Avverso detta sentenza propose appello T.G.. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello.

4. Con sentenza di data 16 aprile 2013 la Corte d’appello di L’Aquila rigettò l’appello. Osservò la corte territoriale che agli atti del procedimento penale, promosso nei confronti di entrambe le parti per il mancato rilascio delle licenze, vi era il rapporto dei carabinieri di data 7 novembre 1996, dal quale risultava che il guasto elettrico del 30 settembre 1996 era stato causato da una interruzione temporanea della corrente elettrica, mentre la documentazione necessaria per il rilascio dell’autorizzazione sanitaria risultava depositata presso il Comune fin dal 1994 ed inviata in data 17 ottobre 1996 alla USL per il parere favorevole. Aggiunse che le ragioni che avevano determinato il recesso non riguardavano le inadempienze lamentate dall’appellante, le quali erano relative ad eventi verificatisi dopo che questi in data 20 settembre 1996 aveva comunicato l’intenzione di recedere dal contratto “per gravi motivi personali” con decorrenza 30 settembre 1996, come l’interruzione di energia elettrica o gli eventi temporaleschi, da cui sarebbe emersa la non potabilità dell’acqua (circostanza dubbia, stante il funzionamento del bar da giugno e settembre, e poi da ottobre dopo la consegna delle chiavi ad opera dello stesso D.G.), o ancora situazioni come la mancanza di autorizzazioni (peraltro regolarmente richieste) evidenziatesi a seguito della missiva con cui il D.G. aveva dichiarato di non accettare la risoluzione anticipata. Osservò quindi il giudice di appello che al verbale di consegna delle chiavi poteva riconoscersi solo il valore di atto consequenziale alla cessazione del rapporto, senza alcuna valenza transattiva e che, quanto al danno, di cui l’appellante aveva contestato la sola determinazione, affermando che non risultava provata la sua inadempienza nel pagamento dei canoni, la condanna trovava fondamento non nella morosità, ma nella individuazione di un criterio per il risarcimento del danno determinato dalla risoluzione anticipata, criterio individuato nell’ammontare dei canoni che sarebbero stati dovuti fino alla naturale scadenza del contratto.

5. Ha proposto ricorso per cassazione T.G. sulla base di sette motivi. Resiste con controricorso la parte intimata. E’ stata depositata memoria di parte. Sono state depositate note scritte dopo le conclusioni del Pubblico Ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo si denuncia mancata o errata applicazione degli artt. 1453, 1578 e 1617 c.c., nonchè L. n. 287 del 1991, art. 3, L. n. 283 del 1962, art. 2 e D.P.R. n. 327 del 1980, art. 25 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che la corte territoriale non ha valutato che, nonostante quanto falsamente dichiarato in contratto dal D.G., l’azienda non era in possesso di licenze e autorizzazioni (non era sufficiente che fossero state richieste, occorreva che fossero state anche rilasciate) e che il locatore era quindi inadempiente.

1.1 Il motivo è inammissibile. Per un verso il ricorrente censura, sotto le spoglie di una denuncia per violazione di legge, l’accertamento in fatto del giudice di merito, che è profilo sindacabile nella presente sede di legittimità solo nelle forme della denuncia del vizio motivazionale. Per l’altro il motivo di ricorso non incide sulla ratio decidendi, la quale è nel senso che il conduttore era receduto dal contratto per ragioni indipendenti dalle lamentate inadempienze, sicchè resta privo di decisività.

2. Con il secondo motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed in relazione agli artt. 1453, 1578 e 1617 c.c., nonchè L. n. 287 del 1991, art. 3, L. n. 283 del 1962, art. 2 e D.P.R. n. 327 del 1980, art. 25. Lamenta il ricorrente che la corte territoriale ha omesso l’esame del rapporto di polizia giudiziaria del 28 settembre 1999, dal quale risultava la gestione del locale in assenza di autorizzazione sanitaria.

3. Con il terzo motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed in relazione agli artt. 1453, 1578 e 1617 c.c., nonchè L. n. 287 del 1991, art. 3, L. n. 283 del 1962, art. 2 e D.P.R. n. 327 del 1980, art. 25. Osserva il ricorrente che il giudice di appello aveva omesso l’esame della nota della locale USL del 4 dicembre 1996 relativa a sopralluogo effettuato in data 15 novembre 1996, avente ad oggetto il mancato collegamento dell’esercizio alla rete idrica comunale, da cui si evinceva che l’inadempimento risaliva ad epoca antecedente la comunicazione di recesso dal contratto da parte del T. e che aveva altresì omesso l’esame delle comunicazioni del 27 settembre 1996 e 12 ottobre 1996, successive a quella del 20 settembre 1996 con cui si comunicava la volontà di recedere dal contratto, nelle quali il conduttore evidenziava la circostanza dell’acqua non potabile e la non conformità dell’impianto elettrico.

3.1. I motivi secondo e terzo, da valutare unitariamente, sono inammissibili. Anche tali motivi sono privi di decisività per le ragioni indicate a proposito del primo motivo. In secondo luogo va rammentato che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053). Il ricorrente lamenta l’omesso esame di documenti relativi a fatti storici (l’esistenza o meno di autorizzazione sanitaria, la presenza di acqua potabile e la non conformità dell’impianto elettrico) che sono stati presi in considerazione dal giudice (anche in modo indiretto, come per il guasto elettrico). Infine privo di decisività è il documento di data 4 dicembre 1996 in quanto relativo a sopralluogo effettuato in data 15 novembre 1996, e dunque in epoca successiva al verbale di consegna delle chiavi di data 16 ottobre 1996.

4. Con il quarto motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed in relazione all’art. 1965 ss. c.c.. Osserva il ricorrente che il richiamo nel verbale di consegna delle chiavi alla comunicazione di data 27 settembre 1996, con cui il T. aveva lamentato il mancato ricevimento dell’autorizzazione sanitaria ed il carattere viscido e saponoso dell’acqua potabile a seguito di eventi temporaleschi, costituiva riconoscimento da parte del D.G. dei suoi inadempimenti, con valenza transattiva del verbale di riconsegna.

4.1. Il motivo è inammissibile in quanto mirante ad una rivisitazione di quanto accertato sul piano del fatto da parte del giudice di merito, denunciandosi in definitiva non l’omesso esame di fatto decisivo e controverso, ma un errato apprezzamento delle circostanze di fatto.

5. Con il quinto motivo si denuncia violazione degli artt. 1218 e 1227 c.c., nonchè degli artt. 112 e 113 c.p.c., art. 1591 c.c. e L. n. 392 del 1978, art. 27 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Premette il ricorrente che al locatore non spettava alcun risarcimento stante l’inadempimento verificatosi. Osserva quindi che eccessivo ed incongruo era l’importo del risarcimento, corrispondente peraltro a dieci anni di locazione (per i sei anni di durata normativa sarebbero spettate Lire 118.800.000), e che il riconoscimento del detto importo violava i principi in materia (in mancanza della prova di un danno ulteriore, spettano solo i canoni dovuti fino al momento del rilascio dell’immobile; al locatore spettano i danni che dimostri di aver subito per l’anticipata restituzione dell’immobile, salvo che il conduttore non dimostri che l’immobile è stato ugualmente utilizzato dal locatore).

5.1. Il motivo è parzialmente fondato. La censura è inammissibile nella parte in cui il ricorrente si duole dell’avvenuto riconoscimento del risarcimento nonostante l’inadempimento del locatore. Essa non coglie la ratio decidendi, la quale, come si è detto, è nel senso che il conduttore era receduto dal contratto per ragioni indipendenti dalle lamentate inadempienze. Per il resto la censura attiene alla determinazione del danno mediante il riferimento all’ammontare dei canoni che sarebbero stati corrisposti fino alla naturale scadenza del contratto.

L’ammontare del danno risarcibile costituisce valutazione del giudice di merito che deve tuttavia tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto. Risulta nella specie accertato che a partire dall’ottobre 1996, all’esito della consegna delle chiavi del locale, il bar è stato gestito dal D.G.. L’identificazione del danno risarcibile nell’ammontare dei canoni che sarebbero stati corrisposti fino alla naturale scadenza del contratto non tiene conto della circostanza dell’utilizzazione dell’azienda da parte del locatore. Ed invero è stato affermato che il conduttore che per gravi motivi recede dal contratto di locazione di immobile destinato a una delle attività indicate nella L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 27 e 42 prima della scadenza del termine di durata, senza il preavviso prescritto dal citato art. 27, u.c., è tenuto al risarcimento dei danni che il locatore provi di aver subito per l’anticipata restituzione dell’immobile a meno che dimostri che l’immobile è stato egualmente utilizzato dal locatore direttamente o indirettamente (Cass. 22 agosto 2007, n. 17833). Più in generale è stato affermato che in ipotesi di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, intervenuto il rilascio del bene locato, la mancata percezione da parte del locatore dei canoni che sarebbero stati esigibili fino alla scadenza convenzionale o legale del rapporto, ovvero fino al momento in cui il locatore stesso conceda ad altri il godimento del bene con una nuova locazione, non configura di per sè un danno da “perdita subita”, nè un danno da “mancato guadagno”, non ravvisandosi in tale mancata percezione una diminuzione del patrimonio del creditore – locatore rispetto alla situazione nella quale egli si sarebbe trovato se non si fosse verificato l’inadempimento del conduttore, stante il carattere corrispettivo del canone rispetto alla privazione del godimento; un danno correlato alla mancata percezione del canone dopo il rilascio può, invece, configurarsi se, per le concrete condizioni in cui si trova l’immobile, la restituzione del bene non abbia consentito al locatore di poter esercitare, nè in via diretta nè in via indiretta, il godimento di cui si era privato concedendo il bene in locazione, commisurandosi in tal caso la perdita al tempo occorrente per il relativo ripristino quale conseguenza dell’inesatto adempimento dell’obbligazione di rilascio nei sensi dell’art. 1590 c.c. (Cass. 10 dicembre 2013, n. 27614).

Il danno da mancata percezione dei canoni successivi al rilascio, fino alla naturale scadenza del contratto, non è quindi di per sè risarcibile. Esso postula un’attenta ricognizione delle circostanze del caso, avendo riguardo all’utilizzazione diretta o indiretta (come nel caso di nuova locazione) dell’immobile (o dell’azienda come nel caso di specie) che possa avere fatto il locatore. Il giudice di merito, facendo applicazione puramente e semplicemente del criterio dell’ammontare dei canoni che sarebbero stati corrisposti fino alla naturale scadenza del contratto, senza valutare il complesso delle circostanze del caso, ed in particolare il dato dell’utilizzo diretto dell’azienda da parte del locatore dopo il rilascio, ha violato il suddetto principio di diritto.

6. Con il sesto motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 1575, 1578 e 1617 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva il ricorrente che la corte territoriale ha omesso di pronunciare in ordine al motivo di appello avente ad oggetto il mancato accoglimento della domanda riconvenzionale di accertamento dell’avvenuto recesso per inadempimento del locatore.

6.1. Il motivo è infondato. Il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello è configurabile allorchè manchi completamente l’esame di una censura mossa al giudice di primo grado, mentre non ricorre nel caso in cui il giudice d’appello fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda (Cass. 14 gennaio 2015, n. 452; 25 settembre 2012, n. 16254). Il giudice di appello ha confermato la sentenza di primo grado che ha riconosciuto la responsabilità del conduttore per inadempimento contrattuale. Trattasi di statuizione incompatibile con la domanda riconvenzionale, mirante al riconoscimento della responsabilità del locatore. Non ricorre pertanto il vizio di omessa pronuncia.

7. Con il settimo motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., L. n. 392 del 1978, artt. 11 e 41 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva il ricorrente di avere impugnato il rigetto della domanda riconvenzionale di condanna alla restituzione del deposito cauzionale e che la Corte d’appello aveva omesso di pronunciare.

7.1. Il motivo è infondato. In materia di appello affinchè un capo di sentenza possa ritenersi validamene impugnato, non è sufficiente che nel gravame sia manifestata una volontà in tal senso, occorrendo, al contrario, l’esposizione di una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico-giuridico (fra le tante da ultimo Cass. 15 giugno 2016, n. 12280). Il motivo di appello, così come risulta indicato ín ricorso, consiste nella mera affermazione che il D.G. deve essere tenuto alla restituzione del deposito cauzionale, come da fattura di Lire 6.000.000 riconosciuta dallo stesso D.G. che aveva dichiarato di avere trattenuto la somma a titolo di risarcimento danni. Il motivo è carente di una parte argomentativa che miri a contrapporsi ad una statuizione di segno contrario, limitandosi alla generica volontà di conseguire la restituzione del deposito cauzionale. In mancanza di un motivo di appello ritualmente formulato mancava l’obbligo del giudice di appello di pronunciare.

PQM

La Corte accoglie il quinto motivo per quanto di ragione e rigetta per il resto il ricorso; cassa la sentenza impugnata nei limiti dell’accoglimento del ricorso e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di L’Aquila, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 2 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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