Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14259 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. III, 08/07/2020, (ud. 24/02/2020, dep. 08/07/2020), n.14259

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19180/2017 proposto da:

H.G., Q.L., in proprio e in qualità di genitori

– legali rappresentanti del figlio Q.T.A.,

domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato CLAUDIA ORSINI;

– ricorrenti –

contro

ALLIANZ SPA, in persona dei legali rappresentanti, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PRIVATA DI SANTA TERESA 23, presso lo

studio dell’avvocato MAURIZIO HAZAN, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato STEFANO TAURINI;

– controricorrente –

e contro

C.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 413/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 06/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/02/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per la declaratoria di

inammissibilità del 2 e 3 motivo; rigettato il 1 motivo;

udito l’Avvocato CLAUDIA ORSINI;

udito l’Avvocato FEDERICA ROSATI per delega orale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. H.G. e Q.L., anche come legali rappresentanti di Q.T.A., ricorrono, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 413/17, del 6 giugno 2017, della Corte di Appello di Perugia, che – accogliendo il gravame esperito dalla società Allianz S.p.a. avverso la sentenza n. 2771/14, del 2 dicembre 2014, del Tribunale di Perugia – ha, in totale riforma della sentenza impugnata, rigettato ogni loro domanda di condanna, in solido, della società Allianz e di C.G., a risarcire i danni da mancata informativa in ordine ai rischi per la salute dell’allora nascituro Q.T.A., all’esito di ecografia morfologica eseguita su H.G., nonchè sia da lesione del diritto della stessa ad autodeterminarsi in ordine all’interruzione della gravidanza, che da nascita indesiderata.

2. In punto di fatto, gli odierni ricorrenti riferiscono di aver convenuto in giudizio il C., affinchè fosse accertata la sua responsabilità per la mancata informativa, in ordine alla salute del nascituro, all’esito dell’ecografia morfologica eseguita dal predetto sanitario, e per la conseguente mancata possibilità, per la gestante Hovrath, di autodeterminarsi in ordine all’interruzione di gravidanza, con richiesta del risarcimento del danno anche da nascita indesiderata. Nell’iniziale contumacia del C., l’istruttoria consisteva nell’assunzione della prova testimoniale richiesta da parte attrice e nell’interrogatorio formale del convenuto, il quale – all’esito della notificazione della prova per interpello – si costituiva in giudizio, chiedendo (ed ottenendo) di chiamare in manleva la compagnia assicuratrice Allianz. Disposta CTU medico-legale, l’adito giudicante accoglieva la domanda risarcitoria, condannando in solido il convenuto e la terza chiamata, liquidando, in via equitativa, il danno subito dagli attori nella misura di Euro 180.000,00.

Su gravame della società Allianz, il giudice d’appello – in totale riforma della sentenza impugnata – escludeva la responsabilità del C., per l’effetto annullando la condanna risarcitoria comminata a carico del convenuto e della terza chiamata.

A tale esito, esso perveniva sul rilievo che la domanda “fosse basata unicamente sulla responsabilità del medico per errata diagnosi”, in ragione “di una ritenuta rilevabilità della malformazione nel primo trimestre di gravidanza”, di talchè, “già solo per questo, una volta accertata la mancanza di errore” del medico, “per l’impossibilità del rilievo della patologia all’epoca del controllo ecografico” (come attestato dalla CTU), “la conseguenza sarebbe dovuta essere la reiezione della domanda, non l’accoglimento per altra causale, cioè la presunta “superficialità e negligenza” per la rassicurazione circa la normalità della gestazione”, ciò che “costituisce già di per sè un’ultrapetizione”.

In secondo luogo, la Corte territoriale osservava che, “anche a voler escludere l’ultrapetizione”, l’affermazione di responsabilità risultava basata “su elementi da un lato improvati e dall’altro comunque erronei”. Nella specie, infatti, non era stata raggiunta prova – sussistendo, anzi, addirittura “indizi documentali in senso contrario” – che “la H. avesse riferito la propria storia integrale” pregressa al C. (che includeva due aborti spontanei e la nascita di un bimbo malformato, deceduto subito dopo il parto), non risultando, inoltre, chiaro quale “fosse stata la “illusione” sulla normalità della gravidanza resa superficialmente, posto che il medico si era limitato a riferire della normalità dei parametri, circostanza accertatasi come non erronea”, visto che “la crescita disarmonica delle ossa si verifica in periodo successivo rispetto all’epoca gestazionale”.

3. Avverso la pronuncia della Corte perugina ricorrono per cassazione la H. ed il Q. (anche nella già ricordata qualità di genitori di Q.T.A.), sulla base – come detto di tre motivi, chiedendo che questa Corte non solo cassi la sentenza impugnata, ma decida anche nel merito.

3.1. Con il primo motivo – proposto a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

Si censura la sentenza impugnata per aver presupposto “un’inesistente” extrapetizione, con ciò “pronunciando in senso riduttivo in ordine alla domanda stessa”. La Corte territoriale avrebbe, infatti, limitato il proprio campo di osservazione alla sola responsabilità del sanitario “per non aver diagnosticato la sindrome specifica” da cui è risultato affetto Q.T.A. e non pure “per non avere correttamente valutato gli evidenti fattori di rischio” della gravidanza, ed in particolare “per non avere conseguentemente interpretato i risultati dell’esame ed informato i genitori”, sebbene costoro si fossero rivolti a lui “proprio per effettuare una scelta consapevole in ordine alla interruzione o meno della gravidanza in considerazione degli esiti delle precedenti”.

Si assume, infatti, che “l’oggetto della domanda” fosse “duplice”, ipotizzandosi la responsabilità non solo per l’errore diagnostico, ma per la “sottovalutazione” – in occasione di un “esame di secondo livello, più approfondito rispetto al mero esame ecografico”, qual è l’ecografia morfologica – di “evidenti fattori di rischio quali l’età della paziente, l’essere detta paziente alla sua quarta gravidanza e l’aver avuto una gravidanza portata a termine, ma con la certificata morte del bambino, subito dopo la nascita, per gravi malformazioni”.

3.2. Con il secondo motivo – proposto a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – si deduce omesso esame di un fatto storico la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali.

Si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto “improvato” che la H. avesse riferito al medico la propria storia integrale pregressa, avendo la Corte territoriale rilevato che “nella raccolta dei dati anamnestici” risultava “la sola circostanza che al momento dell’esame morfologico la paziente fosse alla sua seconda gravidanza”. Per contro, anche a voler prescindere dagli esiti della prova testimoniale acquisita “prima della rimessione in termini e della costituzione del convenuto e del chiamato”, la circostanza che la donna fosse alla quarta gravidanza risultava dal certificato dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in disparte il rilievo che “del tutto apodittica”, nonchè “in contrasto con la comune esperienza”, risulterebbe la conclusione che, in occasione di un esame di secondo livello, l’interessata non abbia “riferito tutto sulle precedenti esperienze”.

3.3. Con il terzo motivo – proposto, come il precedente, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – si deduce omesso esame di un fatto storico la cui esistenza risulta dal testo della sentenza o dagli atti processuali.

Si censura la sentenza impugnata per aver fondato “la propria decisione in via subordinata” (rispetto all’affermata extrapetizione), ovvero quella consistita nell’escludere la “superficialità e negligenza” del sanitario, ritenendo che “la crescita disarmonica delle ossa”, ovvero un segno caratteristico della patologia che è risultata affliggere il ragazzo, “si verifica in periodo successivo rispetto all’epoca gestazionale durante la quale era stato eseguito l’esame morfologico” e che, comunque, “l’esecuzione nell’imminenza di altro esame” non avrebbe consentito la diagnosi della “specifica malattia”.

Nondimeno, la Corte territoriale non avrebbe considerato come la stessa annotazione apposta dal Dott. C. all’esito dell’esame rilevasse un “discostamento” dai parametri di normalità, ignorando, altresì, il rilievo, formulato dal consulente di parte, che la non univocità di tale discostamento (giacchè “alcuni parametri erano superiori alla media, pur non arrivando ai limiti massimi, mentre altri erano inferiori”) costituiva “un campanello d’allarme per ulteriori approfondimenti”.

4. La società Allianz ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, di infondatezza.

Rileva la controricorrente come la sentenza impugnata si fondi su una duplice “ratio decidendi”, atteso che, al dichiarato vizio di ultrapetizione, segue, comunque, l’affermazione che la sentenza del primo giudice, laddove aveva riconosciuto la responsabilità del sanitario, risultava basata su elementi “improvati” ed “erronei”.

Orbene, poichè avverso la seconda di tali “rationes” si indirizzano due motivi di ricorso (il secondo ed il terzo) che sono, secondo la società Allianz, del tutto inammissibili, perchè tendono – al pari, del resto, del primo – ad una rivalutazione del materiale istruttorio, l’atto di impugnazione dovrebbe ritenersi inammissibile per difetto di interesse, atteso che la declaratoria di inammissibilità dei motivi secondo e terzo renderebbe superfluo vagliare il primo, perchè la decisione della Corte territoriale resterebbe sorretta proprio da tale seconda “ratio decidendi”.

In ogni caso, i motivi secondo e terzo sarebbero inammissibili anche per un’altra ragione, giacchè entrambi non chiariscono il dato testuale o extratestuale dal quale risultino i fatti dei quali sarebbe stato omesso l’esame, il “come” e il “quando” della loro discussione tra le parti e, soprattutto, la loro decisività, senza tacere che, laddove, in particolare, il secondo motivo fa riferimento a documenti che attesterebbero la storia clinica della gestante (nessun rilievo potendo assumere le prove testimoniali assunte prima della rimessione in termini del convenuto contumace, pena la violazione del principio del contraddittorio), sarebbe pure privo di autosufficienza.

In ogni caso, la controricorrente nega che sussistano i presupposti, nella denegata ipotesi di accoglimento del ricorso, per una decisione nel merito, giacchè tale esito pregiudicherebbe il suo diritto a svolgere, nel giudizio di rinvio, quelle difese di merito idonee, comunque, a comportare il rigetto della domanda tesa a far accertare la responsabilità del sanitario e la condanna dello stesso, in solido con il proprio assicuratore, al risarcimento dei danni.

5. Il C. è rimasto, invece, solo intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso è inammissibile, in relazione a ciascuno dei suoi motivi.

6.1. Al riguardo, occorre muovere dal riconoscimento della correttezza del rilievo svolto dalla controricorrente, secondo cui la sentenza impugnata risulta sorretta da una duplice, concorrente, “ratio decidendi”.

La Corte territoriale, infatti, in accoglimento del proposto gravame, ha, per un verso, ravvisato un vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c., ritenendo che il primo giudice non avesse rispettato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo accolto la domanda risarcitoria “per altra causale” (omessa informazione sui rischi della gestazione, in considerazione della peculiare storia clinica, pregressa, della H.) rispetto a quella fatta valere dagli attori (mancata diagnosi della malformazione del feto).

Nondimeno, il rigetto della domanda, oltre che per la ritenuta esistenza di un vizio processuale, è stato corroborato dal giudice di appello dall’affermazione che, comunque, l’ipotizzata responsabilità del sanitario risultava basata “su elementi da un lato improvati e dall’altro comunque erronei”.

Orbene, avverso la prima delle due “rationes”, di natura processuale, si indirizza il primo motivo dell’odierno ricorso, i restanti due, invece, essendo diretti a confutare la seconda.

Tuttavia, l’inammissibilità proprio dei motivi secondo e terzo (per le considerazioni che si illustreranno appena di seguito), rendono inammissibile anche il primo, alla stregua dell’affermazione secondo cui “ove la sentenza di merito sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rilievo di inammissibilità del motivo” (o dei motivi, come nel caso che occupa) “di ricorso per cassazione diretto a censurare solo una di esse consentito in applicazione del principio della “ragione più liquida” rende irrilevante l’esame degli altri motivi” (ovvero, come nel caso che occupa, del restante motivo) “atteso che in nessun caso potrebbe derivarne l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile” (Cass. Sez. 3, ord. 21 giugno 2017, n. 15350, Rv. 644814-01; in senso conforme Cass. Sez. 3, ord. 13 giugno 2018, n. 15399, Rv. 649408-01).

6.1.1. Invero, i motivi secondo e terzo di ricorso, sebbene logicamente subordinati al primo (che investe la “ratio” della sentenza impugnata di natura processuale) sono da scrutinare – come detto prioritariamente, in ossequio al principio della “ragione più liquida”.

Il base, infatti, a tale principio – applicabile pure nel giudizio di legittimità – la decisione va adottata “sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c.” (così, da ultimo, Cass. Sez. 5, ord. 9 gennaio 2019, n. 363, Rv. 652184-01; Cass. Sez. 5, sent. 11 maggio 2018, n. 11458, Rv. 648510-01).

Ciò detto, l’inammissibilità dei motivi in esame dipende, innanzitutto (come ha rilevato, esattamente, la controricorrente) dalla violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), visto che i ricorrenti non si dovevano limitare a dedurre quale fosse il fatto “omesso”, ma anche (ciò che non risulta avvenuto) il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulterebbe esistente, e, soprattutto, il “come” e il “quando” tale fatto fosse stato oggetto di discussione processuale, prima ancora che la sua – asserita – “decisività” (cfr., Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8054, Rv. 629831-01; in senso conforme, tra le più recenti, Cass. Sez. 3, sent. 11 aprile 2017, n. 9253, Rv. 643845-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 10 agosto 2017, n. 19987, Rv. 645359-01).

Il tutto, peraltro, non senza rilevare che il “fatto” il cui esame si assume omesso con il secondo motivo di ricorso (fatto da identificare non nella pregressa – e travagliata – storia puerperale della gestante, che in sè non sarebbe decisivo, ma nella conoscenza che, di essa, avrebbe avuto il Dott. C.) è stato, in realtà, valutato dalla Corte perugina, la quale – con giudizio qui insindacabile, perchè attinente alla valutazione delle risultanze istruttorie – l’ha ritenuto “non provato”.

Occorre, pertanto, dare continuità al principio secondo cui l’eventuale “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4) – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01; Cass. Sez. 3, ord. 30 ottobre 2018, n. 27458).

Ulteriore ragione di inammissibilità, quanto in particolare al terzo motivo di ricorso, va poi individuata nel fatto che esso si risolve in una censura di omesso esame delle valutazioni tecniche formulate dal consulente di parte, e dunque, nella contestazione della sentenza impugnata, di fatto, per aver recepito acriticamente quella d’ufficio, censura che non rispetta, nuovamente, il disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

Difatti, “la contestazione del vizio motivazionale elevata nei confronti della motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni della CTU non può limitarsi al rilievo di una insufficienza dell’indicazione delle ragioni del detto recepimento”, dovendo il ricorrente indicare “il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività””, ciò che questa Corte ha ritenuto debba escludersi qualora, come avvenuto anche nel caso in esame, nella “articolazione delle censure” non venga specificatamente indicato in quale parte la CTU “non si sia fatta carico di esaminare e confutare i rilievi di parte, limitandosi la ricorrente a giustapporre le proprie valutazioni (…) alle conclusioni dei consulenti”, senza che siano “precisati i passaggi della consulenza nella quale siano mancati l’esame e la confutazione dei rilievi di parte” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 26 luglio 2017, n. 18391, non massimata).

6.1.2. Quanto, invece, al primo motivo di ricorso, l’inammissibilità dello stesso, come detto, discende dalla carenza di interesse al suo scrutinio (da ultimo, Cass. Sez. 5, ord. 11 maggio 2018, n. 11493, Rv. 648023-01; in senso analogo, “ex multis”, Cass. Sez. 3, sent. 14 febbraio 2012, n. 2108, Rv. 621882-01), visto che l’autonoma “ratio decidendi” censurata attraverso i motivi secondo e terzo, dichiarati inammissibili, risulta idonea a sorreggere la sentenza impugnata quand’anche fosse travolta l’altra “ratio”, contro cui il presente motivo si indirizza.

7. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra tutte le parti dello stesso, a norma dell’art. 92 c.p.c., comma 2, in ragione degli alterni esiti dei giudizi di merito.

8. A carico dei ricorrenti sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 24 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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