Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14257 del 28/06/2011

Cassazione civile sez. III, 28/06/2011, (ud. 13/04/2011, dep. 28/06/2011), n.14257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MASSERA Maurizio – Presidente –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29866-2005 proposto da:

P.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA SALLUSTIO 9, presso lo studio dell’avvocato SPALLINA

BARTOLO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

VINCENZI ANTONIO, LOMBARDI ROBERTO giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

C.S.;

– intimato –

sul ricorso 31108-2005 proposto da:

C.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA TARO 25, presso lo studio dell’avvocato MAGARAGGIA DEBORA,

rappresentato e difeso dall’avvocato DONI GRAZIA giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SALLUSTTO

9, presso lo studio dell’avvocato SPALLINA BARTOLO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LOMBARDI ROBERTO giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

sul ricorso 743-2006 proposto da;

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARO 25,

presso lo studio dell’avvocato MAGARAGGIA DEBORA, rappresentato e

difeso dall’avvocato DONI GRAZIA giusta delega in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti –

e contro

P.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 305/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

Sezione 1^ Civile, emessa il 3/06/2005, depositata il 18/06/2005;

R.G.N. 625/2003.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2011 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato SPALLINA BARTOLO E VINCENZI ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per la nullità della sentenza

di 2^ grado e rimessione al giudice d’Appello.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

C.S. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Firenze Muginò s.r.l. chiedendo che gli venissero trasferiti i beni – costituiti da fondi agricoli con annesso fabbricato per civile abitazione – che la predetta società aveva acquistato da F. R.. Espose di essere coltivatore diretto, proprietario di terreni confinanti con quelli compravenduti e di essere in possesso di tutti i requisiti previsti dalle L. n. 590 del 1965 e L. n. 817 del 1971 per l’esercizio del diritto di riscatto. Costituitasi in giudizio, la società convenuta contestò l’avversa pretesa. Dedusse che la vendita aveva avuto ad oggetto un antico edificio di cui i terreni costituivano pertinenza, di talchè al più la prelazione poteva riguardare solo quest’ultima. Aggiunse anche che con il contratto del 25 settembre 1990 erano stati alienati a Muginò anche beni immobili di proprietà di Camiciottoli s.n.c, beni che, insieme a quelli della F., contestualmente trasferiti, costituivano un complesso unitario in relazione al quale la domanda di retratto era assolutamente improponibile. In via riconvenzionale la convenuta chiese la condanna dell’attore a rifonderle i danni derivati dalla trascrizione dell’atto di citazione, trascrizione alla quale era conseguita 1’impossibilità di accedere a mutui bancari.

In corso di causa, dichiarato il fallimento di Muginò s.r.l., il giudizio venne riassunto nei confronti della curatela. Avendo poi la procedura venduto i beni in contestazione a P.G., quest’ultima intervenne volontariamente nel processo, quale successore a titolo particolare nel diritto controverso, ex art. 111 c.p.c., comma 3 e, oltre ad opporsi alla pretesa attrice, chiese il rimborso delle spese sostenute per la conservazione e la manutenzione degli immobili acquistati, nonchè il risarcimento dei danni già subiti da Muqinò. Con sentenza del 23 ottobre 2002 il Tribunale di Firenze rigettò la domanda.

Proposto dal soccombente gravame, la Corte d’appello, in data 21 marzo 2005, ha trasferito a C.S. i terreni agricoli venduti dalla F. a Muginò s.r.l. con atto a rogito notar Mengacci, subordinando la cessione al pagamento, in favore di P. G., della somma di Euro 41.316,55, nel termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza.

Per la cassazione di detta pronuncia hanno proposto due distinti ricorsi P.G. e C.S., la prima formulando cinque motivi, il secondo tre.

Nel resistere al ricorso della P., il C. ha peraltro proposto anche ricorso incidentale affidato a un solo mezzo.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi hinc et inde proposti avverse la stessa sentenza.

Il ricorso di P.G. (R.G. 29866/2005).

1.1 Col primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 101 e 102 cod. proc. civ., in relazione all’art. 354 cod. proc. civ. Deduce di essere coniugata in regime di comunione legale e cioè in un regime patrimoniale in cui gli acquisti compiuti da uno dei coniugi, anche separatamente, tornano ope legis a vantaggio dell’altro. Da tanto conseguirebbe, secondo 1’impugnante, che tutte le azioni di natura reale aventi ad oggetto il bene stesso devono essere proposte nei confronti di entrambi i coniugi, che sono litisconsorti necessari. La Corte d’appello, omettendo di assumere i provvedimenti di cui all’art. 354 cod. proc. civ., avrebbe fatto malgoverno delle norme innanzi richiamate.

1.2 Col secondo mezzo la ricorrente lamenta violazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 come modificato dalla L. 11 febbraio 1971, n. 11, artt. 112 e 345 cod. proc. civ., art. 2908 cod. civ., nonchè vizi motivazionali. Evidenzia che in citazione il C. aveva chiesto che venisse accertato il suo diritto di riscattare i beni oggetto della compravendita tra F.R. e Muginò s.r.l. e che solo nell’atto di appello aveva domandato, in subordine, che l’esercizio del diritto di riscatto venisse dichiarato legittimo limitatamente ai terreni, così realizzando una non consentita emendatio libelli.

La sentenza sarebbe pertanto affetta dal vizio di ultrapetizione sia in quanto aveva consentito la modificazione dell’originario petitum, sia in quanto, aderendo alla prospettazione attorea, aveva emesso una pronuncia costitutiva, malgrado l’assenza di un’espressa previsione normativa, in contrasto col disposto dell’art. 2908 cod. civ. e con il carattere dichiarativo costantemente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità alla sentenza che accerta l’avvenuto, valido esercizio del diritto di riscatto.

Aggiunge che la richiesta attrice violava il principio per cui l’esercizio della prelazione agraria deve essere limitata ai fondi agricoli, dovendosi escludere ogni pretesa sui fabbricati, di talchè la dichiarazione potestativa del C., nella parte in cui era estesa anche alla villa gentilizia, configurava una accettazione sottoposta a condizione, come tale, inefficace; che l’offerta di pagamento del prezzo mediante accensione di un mutuo agrario era una condizione impossibile; che la conseguente, mancata produzione della certificazione dell’Ispettorato dell’Agricoltura non solamente precludeva al retraente di avvalersi della proroga annuale per il pagamento del prezzo, come erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale, ma comportava la nullità dell’offerta ex art. 1354 cod. civ..

1.3 Con il terzo motivo l’impugnante torna a denunciare violazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 come modificato dalla L. 11 febbraio 1971, n. 11, nonchè mancanza o insufficienza della motivazione. Ricorda che l’atto in data 25 settembre 1990 aveva avuto ad oggetto l’alienazione a Muginò s.r.l. di beni immobili sia della F. che della società Camiciottoli, beni costituenti, nel loro insieme, un complesso organico dotato di un valore aggiunto superiore a quello costituito dalla somma dei singoli cespiti e, come tale, inseparabile, di talchè anche sotto questo profilo la domanda del C. era infondata.

1.4 Col quarto mezzo si deducono violazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 come modificato dalla L. 11 febbraio 1971, n. 11, anche in relazione all’art. 2697 cod. civ. nonchè vizi motivazionali. Le critiche hanno ad oggetto l’assunto del giudice di merito secondo cui era mancata del tutto la prova che i terreni svolgessero una funzione di mero corredo decorativo dell’abitazione.

Sostiene per contro l’esponente che i fondi oggetto di retratto erano aree adiacenti a una antica villa gentilizia, per lo più interessate da un parco secolare con alberi di alto fusto, insuscettibili di utilizzazione per uso agricolo. Censura anche l’impugnante la riconosciuta sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del diritto di prelazione, motivata sull’erroneo rilievo che essa non era stata contestata dalla convenuta, in contrasto, peraltro, col principio per cui la relativa verifica va effettuata d’ufficio dal giudice.

1.5 Col quinto motivo l’impugnante lamenta violazione dell’art. 1224 cod. civ., sotto il profilo che, detenendo il C. senza titolo una vasta area dei terreni oggetto di retratto sin dal 1996, sulla quota parte del prezzo riferibile a tali porzioni, il decidente avrebbe dovuto riconoscere interessi e/o rivalutazione a partire da quella data. Secondo l’esponente sarebbe altresì errato il rigetto dell’appello incidentale motivato sull’assunto che la P. non era l’erede universale della società fallita e non aveva quindi diritto al risarcimento dei danni pretesamente derivati dalla trascrizione della domanda di retratto, danni che potevano essere fatti valere esclusivamente dalla curatela. Non aveva la Corte territoriale considerato che essa, pur senza essere successore a titolo universale di Muginò s.r.l., era comunque a questa subentrata nei rapporti attivi e passivi connessi al presente giudizio, in base al decreto di trasferimento.

I ricorsi di C.S. (R.G. 31108 del 2005 e 743/2006).

2.1 Col primo motivo del ricorso autonomamente proposto dal C. (R.G. 31108/2005), di contenuto praticamente sovrapponibile all’unico motivo fatto valere nel controricorso notificato in risposta alla impugnazione della P. (R.G. 743/2006), il retraente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia nonchè violazione della L. n. 590 del 1965, art. 8ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Le critiche hanno ad oggetto il mancato accoglimento della domanda di prelazione agraria con riferimento al fabbricato, avendo lo stesso, ad avviso del giudice di merito, natura di civile abitazione. Secondo l’esponente la Curia fiorentina avrebbe fatto malgoverno della copiosa documentazione versata in atti, dalla quale si evinceva che il complesso immobiliare, costituente il nucleo centrale della Fattoria di (OMISSIS), conteneva edifici certamente rurali, e che non vi erano elementi sufficienti per disconoscere la medesima natura anche al fabbricato padronale: segnatamente questo, dotato di una parte interrata e di un piazzale destinati, rispettivamente, al ricovero e alla sosta di attrezzi agricoli, era definito complesso immobiliare promiscuo nell’atto a rogito notar Calabrese De Feo del 1 ottobre 1982, mentre nel luglio 1992 Muginò aveva presentato richiesta di concessione edilizia proprio al fine di ottenere il cambio di destinazione d’uso dell’immobile da rurale a urbano.

2.2 Col secondo mezzo l’impugnante denuncia violazione della L. n. 590 del 1965, art. 8. Sostiene che impropriamente l’operatività di tale norma era stata dal decidente estesa al fabbricato in esame, laddove nella fattispecie si trattava di un immobile non interessato, al momento della domanda di retratto, da nessun provvedimento di piano regolatore approvato o da approvare.

2.3 Col terzo motivo lamenta violazione del D.L. n. 557 del 1993, convertito nella L. n. 133 del 1994. Evidenzia che tale disciplina – la quale indica i requisiti in presenza dei quali un edificio può essere definito rurale e quindi destinatario di benefici fiscali, espressamente escludendo quelli di categoria A8, ai quali apparteneva l’immobile in contestazione – è in vigore solo dal gennaio 1994, il che significa che all’epoca dell’esercizio del retratto, nulla ostava a che un fabbricato di categoria A8 potesse essere considerato rurale.

3 Nel suo controricorso P.G. ha eccepito in limine l’improcedibilità del ricorso principale del C. perchè esso, notificato il 22 novembre 2005, è stato depositato il 19 dicembre successivo, ben oltre, dunque, il termine di venti giorni di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1.

Di tale eccezione è opportuno occuparsi immediatamente, al fine di sgombrare il campo dal sospetto dell’operatività di una sanzione processuale che precluderebbe l’esame delle censure ivi formulate dal retraente.

4.1 L’eccezione è infondata.

Con riferimento al deposito del ricorso in cancelleria, disciplinato dall’art. 369 cod. proc. civ. – adempimento che arieggia quella che nelle fasi di merito è la costituzione dell’attore – questa Corte ha a più riprese ribadito che, nel caso in cui il ricorso per cassazione sia inviato per posta, ai fini del rispetto del termine di deposito di cui all’art. 369 cod. proc. civ., è sufficiente che il plico sia spedito prima dello spirare del termine di venti giorni decorrenti dalla notifica, a nulla rilevando che esso pervenga nella cancelleria della Corte successivamente alla predetta scadenza.

L’affermazione si giova del rilievo che l’art. 134 disp. att. cod. proc. civ., come modificato dalla L. 7 febbraio 1979, n. 59, art. 3 dopo aver stabilito, al primo comma, che gli avvocati possono provvedere al deposito del ricorso o del controricorso nonchè degli atti indicati negli artt. 369 e 370 c.p.c. mediante l’invio per posta, in plico raccomandato, al cancelliere della Corte di cassazione, espressamente sancisce al comma 5 che il deposito si ha per avvenuto, a tutti gli effetti, alla data di spedizione dei plichi con la posta raccomandata (confr. Cass. civ. sez. un. 21 giugno 1995, n. 7013; Cass. civ. 26 giugno 2007, n. 14759; Cass. civ. 3 marzo 2010, n. 5071).

A ciò aggiungasi che il principio della scissione del momento perfezionativo della notifica per il notificante e per il destinatario, enunciato dalla Corte costituzionale con la sentenza 26 novembre 2002, n. 477, ribadito ed esteso con la successiva pronuncia 23 gennaio 2004, n. 28, e poi recepito dal legislatore con la riscrittura dell’art. 149 cod. proc. civ., ancorchè ivi incongruamente limitato alle sole notificazioni a mezzo posta, si pone ormai tendenzialmente, con l’avallo della più avveduta dottrina, come criterio generale dell’ordinamento processuale civile, operante con riferimento a tutti gli atti processuali, nonchè a quelli di imposizione tributaria (confr. Cass. civ. 28 febbraio 2011, n. 4919, in materia di notificazione a mezzo del servizio posta eseguita dal difensore della parte ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 1 nonchè Cass. civ. 10 giugno 2008, n. 15298, in materia di avviso di rettifica di imposta).

4.2 Venendo al caso di specie, dall’esame degli atti, direttamente effettuato dal collegio, in applicazione del principio per cui il giudice di legittimità è giudice anche del fatto tutte le volte in cui venga in rilievo l’applicazione di una norma processuale, emerge che il ricorso del C., notificato il 22 novembre 2005 venne spedito per il deposito il 1 dicembre successivo, entro, e non oltre, quindi, la scadenza del termine indicato dalla legge, laddove la data indicata dalla resistente – il giorno 19 – è quella in cui, giunto il plico a destinazione, l’incombente potè essere espletato dal cancelliere.

In definitiva non sussistono i presupposti per la declaratoria di improcedibilità del ricorso.

5.1 E’ opportuno partire dall’esame del primo motivo del ricorso della P., in ragione del carattere pregiudiziale della questione con esso sollevata.

La censura, volta a far valere la nullità del giudizio di primo e di secondo grado per la non integrità del contraddittorio, e quindi per violazione dell’art. 102 cod. proc. civ., va disattesa.

Non è qui in discussione che, ove l’acquirente dell’immobile oggetto di retratto sia coniugato in regime di comunione legale, il riscatto deve essere esercitato anche nei confronti del coniuge, il quale, benchè non partecipe del contratto di compravendita, è comunque beneficiario dell’acquisto, ex art. 177 c.c., lett. a), e quindi litisconsorte necessario nel relativo giudizio.

Questo principio, ribadito anche di recente dalle sezioni unite (confr. Cass. civ. 22 aprile 2010, n. 9523; Cass. civ. sez. un. 23 aprile 2009, n. 9660), non giova tuttavia alla ricorrente – al cui marito, una volta che la stessa era intervenuta in giudizio, avrebbe dovuto essere esteso il contraddittorio – perchè il vizio processuale derivante dalla omessa citazione di alcuni litisconsorti necessari può essere dedotto per la prima volta in sede di legittimità solo alla duplice condizione che gli elementi posti a fondamento del rilievo emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nelle precedenti fasi, senza quindi la necessità dello svolgimento di ulteriori attività istruttorie – precluse nel giudizio di cassazione – e che sulla questione non si sia formato il giudicato. La preclusione alla produzione, nel giudizio di cassazione, di nuovi documenti per dimostrare la necessità di integrazione del contraddittorio nei precedenti gradi del processo, nasce dall’opzione esegetica secondo cui le ipotesi di nullità della sentenza che consentono, ex art. 372 cod. proc. civ. , di acquisire mezzi di prova precostituiti in sede di legittimità sono limitate a quelle derivanti da vizi propri dell’atto per mancanza dei suoi requisiti essenziali di sostanza e di forma, con esclusione, dunque, delle nullità originate in via riflessa o mediata, da vizi del processo, e cioè da anomalie nel funzionamento dello stesso, quantunque idonee in astratto a spiegare effetti invalidanti sulla sentenza (confr. Cass. civ. 9 agosto 2007, n. 17581; Cass. civ. 19 settembre 2006, n. 20260; Cass. civ. 6 novembre 2006, n. 23628).

5.2 Il collegio condivide in pieno siffatta lettura del contesto normativo di riferimento, lettura che blinda entro i limiti di una immediata e diretta percepibilità i vizi la cui dimostrazione può avvalersi della prova documentale prodotta per la prima volta in cassazione. Dirimente è in proposito il rilievo che un’interpretazione più aperta veicolerebbe rilievi e prove non liquidi, in contrasto con quella preclusione allo svolgimento di ulteriori attività istruttorie che è consustanziale al giudizio di legittimità.

Nella fattispecie, per quanto emerge dagli scritti difensivi delle parti, le prove assunte nel giudizio di merito non offrivano elementi dai quali potesse evincersi che l’acquirente versava in regime di comunione legale al momento della compravendita, nè tale questione risulta in alcun modo trattata nella sentenza di prime cure e in quella ci appello.

Ne consegue che la documentazione ora versata in atti non può essere esaminata dal collegio, nè, conseguentemente, può essere rilevato il difetto di integrità del contraddittorio.

Il motivo è respinto.

6.1 L’esigenza di rispettare l’ordine logico delle questioni impone a questo punto di trattare le doglianze fatte valere in via incidentale dal retraente, sia con autonomo ricorso, sia nel corpo del controricorso.

Tali censure, che nell’esposizione dei motivi si trovano sintetizzate ai paragrafi 2.1, 2.2 e 2.3 e che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, hanno ad oggetto il mancato accoglimento della domanda con riferimento al fabbricato, ritenuto, dalla Corte territoriale, non soggetto a retratto in ragione del suo carattere di immobile urbano.

Esse sono prive di pregio per le ragioni che seguono.

Mette conto evidenziare che, nel motivare il suo convincimento il giudice di merito, dichiaratamente prescindendo dalle previsioni del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 139, in quanto rilevanti ai soli fini catastali e fiscali, ha evidenziato che la natura di immobile urbano dell’edificio in contestazione era espressamente riconosciuta nel contratto nel quale il C. aveva dichiarato di volere subentrare ed era stata del resto ribadita anche in citazione. Ha aggiunto che la pretesa sussistenza di un vincolo funzionale tra costruzione e attività agricola, assolutamente necessario perchè il primo potesse costituire oggetto di retratto, era stata affermata, ma non dimostrata.

6.2 Ora, i rilievi formulati dall’impugnante a tale apparato argomentativo sono sostanzialmente affidati alle risultanze degli atti di provenienza citati nel contratto F. – Muginò s.r.l. e Camiciottoli s.n.c. – Muginò s.r.l., a rogito notar Mengacci del 1990, nonchè a una richiesta di cambio di destinazione d’uso del fabbricato da rurale a urbano, asseritamente presentata da Muginò nel luglio del 1992, e cioè a documenti di cui neppure viene predicata la produzione in giudizio, e in relazione ai quali non è comunque indicata l’allocazione nel fascicolo d’ufficio e in quello di parte, come pur sarebbe stato necessario, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

Si ricorda, in proposito, che chi intende dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere, riguardante il cd. contenente, va adempiuto indicando esattamente in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere assolto trascrivendo o riassumendo il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile (Cass. civ. 4 settembre 2008, n. 22303).

6.3 A ciò aggiungasi che, per quanto riportato dall’impugnante incidentale, il caseggiato oggetto della domanda di retratto è indicato, nei vari rogiti che se ne sono occupati, come fabbricato padronale, è cioè nettamente distinto dai locali di fattoria e dagli annessi rustici pur menzionati nei relativi atti il che, implicando l’assenza del necessario vincolo pertinenziale tra edificio e fondo rustico (confr. Cass. civ. 15 maggio 2009, n. 11314;

Cass. civ. 13 febbraio 1998, n. 1558), comporta, alla luce delle allegazioni dello stesso retraente, l’assenza di un contrasto disarticolante tra soluzione giuridica adottata e contesto fattuale di riferimento.

7 Infine neppure è troppo chiara l’utilità delle argomentazioni volte a confutare l’applicabilità alla fattispecie dedotta in giudizio della L. n. 590 del 1965, art. 8 o a chiarire l’area di operatività del D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito nella L. n. 133 del 1994. Trattasi, invero, di norme estranee alla ratio deciderteli del provvedimento impugnato, di talchè le argomentazioni formulate sul punto, in quanto ad essa non riferibili, risultano eccentriche e aspecifiche.

8 Infondate sono altresì le censure con le quali la P. si duole del rigetto dell’appello incidentale concernente il rigetto della domanda di risarcimento danni a suo tempo avanzata da Muginò s.r.l., segnatamente svolte nel quinto motivo del ricorso principale.

E’ infatti di immediata evidenza che la titolarità attiva del rapporto dedotto in giudizio pertiene a Muginò, non essendo mai stata neppure allegata la cessione del credito risarcitorio pretesamente derivato alla società prima acquirente del bene dalla trascrizione della domanda di retratto. E’ d’altra parte priva di qualsivoglia base giuridica la tesi, sottesa alla linea difensiva dell’impugnante, di una ambulatorietà del credito in ragione del trasferimento del cespite.

9 Deve invece ritenersi fondato il secondo motivo di ricorso della P..

E’ pacifico in causa che la domanda di retratto fu articolata, nell’atto introduttivo del giudizio, con riferimento a tutti i beni venduti da F.R., col contratto in data 25 settembre 1990, a Muginò s.r.l. e che solo nel corso del giudizio venne avanzata la richiesta subordinata di dichiarare legittimo l’esercizio del retratto almeno relativamente ai terreni agricoli. Siffatta modifica della domanda era tuttavia inammissibile. E invero, in materia di contratti agrari, il diritto di riscatto di cui alla legge 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 una volta esercitato, con l’atto introduttivo del giudizio, non è più suscettibile, in prosieguo, di variazioni di sorta, nè con riguardo all’estensione del terreno, nè con riferimento al prezzo offerto, essendo preclusa alla parte non soltanto una vera e propria matatio libelli, ma anche la mera emendatio, poichè le nozioni di matatio ed emendatio libelli, proprie del processo, non sono trasferibili alle dichiarazioni negoziali (confr. Cass. civ. 16 maggio 2001, n. 6743; Cass. civ. 22 gennaio 2004, n. 1103).

Non a caso è pacifico in dottrina e in giurisprudenza che l’esercizio del diritto di riscatto tende alla sostituzione (con effetto ex tunc), del titolare del diritto di prelazione nella posizione dell’acquirente del bene, attraverso una pronunzia di mero accertamento del già avvenuto trasferimento (confr. Cass. civ. n. 1103 del 2004 cit.; Cass. civ. sez. un. 22 aprile 2010, n. 9523).

Ciò in quanto il riscatto agrario – che integra un diritto potestativo del soggetto pretermesso – si esercita mediante la dichiarazione negoziale unilaterale recettizia comunicata all’acquirente del fondo, dichiarazione che, si ripete, produce l’effetto di sostituire a questi – in quel momento, ma con effetto dalla data della conclusione del contratto di compravendita – il titolare del diritto di riscatto.

10 Corollario di tale prospettiva, basata sull’ assoluta tipicità della fattispecie regolata dalla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, è, sul piano dei diritti e delle facoltà processuali delle parti, l’inapplicabilità della disciplina relativa alla precisazione e modificazione delle domande, eccezioni e conclusioni di cui all’art. 183 cod. proc. civ., posto che, una volta proposto l’atto introduttivo del giudizio, il diritto di riscatto non è più soggetto a variazione di sorta.

A fortiori, poi siffatta possibilità di modificare l’oggetto e i termini della richiesta deve ritenersi preclusa al giudice, stante il principio di cui all’art. 132 cod. proc. civ., a meno che dall’interpretazione della domanda non emerga che questa ha non solo ad oggetto il riscatto di una determinata e puntualmente descritta porzione di terreno ma contiene anche una pretesa subordinata, relativa ai (soli) fondi per i quali in sede di giudizio dovesse essere accertata la sussistenza dei presupposti per il valido esercizio del diritto.

11 Da quanto sin qui detto consegue che, accolto il secondo motivo di ricorso, assorbite le ulteriori censure proposte, la sentenza impugnata deve essere cassata.

Poichè alla decisione della causa nel merito non osta la necessità di ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, pronunciando ex art. 384 cod. proc. civ., rigetta la domanda.

La difficoltà delle questioni induce il collegio a compensare integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il primo e per quanto di ragione il quinto motivo del ricorso principale; accoglie il secondo, assorbiti gli altri; rigetta i ricorsi incidentali di C. S.; cassa in relazione al motivo accolto e, pronunciando nel merito, rigetta la domanda del C.; dichiara compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2011

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