Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14257 del 13/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 13/07/2016, (ud. 26/01/2016, dep. 13/07/2016), n.14257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24070/2010 proposto da:

S.L.A.G., in qualita’ di titolare della ditta

individuale SCAT, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEL VIMINALE

43, presso lo studio dell’avvocato FABIO LORENZONI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIO PELLICANI giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 29/2010 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 25/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2016 dal Consigliere Dott. PAOLA VELLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato LORENZONI che ha chiesto

raccoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso affidato a tre motivi, S.L.A.G., quale titolare dell’impresa individuale “SCAT”, ha impugnato la sentenza n. 82/15/10 del 25.2.2010 con cui la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha confermato la decisione della Commissione tributaria provinciale di Milano, la quale aveva respinto il ricorso proposto dal contribuente avverso l’avviso di accertamento recante la liquidazione di una maggiore Iva per l’anno 2001, sulla base del volume d’affari ricostruito induttivamente, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, per non avere il contribuente presentato ne’ la dichiarazione annuale Iva, ne’ i registri Iva acquisti e vendite richiesti con apposito questionario, producendoli solo tardivamente, in sede di accertamento con adesione.

Nella sentenza impugnata si legge: 1) che l’accertamento induttivo era giustificato dalla mancata presentazione della dichiarazione Iva anno 2001, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 1; 2) che il contribuente era stato ritualmente avvertito della inutilizzabilita’ della documentazione che fosse stata prodotta dopo la mancata evasione dell’invito contenuto nel questionario; 3) che il contribuente aveva allegato al ricorso in primo grado i registi Iva acquisti e vendite dell’anno 2001, adducendo, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 32, comma 4, di non aver evaso tempestivamente le richieste dell’Ufficio per motivi di salute, “senza peraltro giustificare in alcun modo questa sua affermazione” e senza piu’ riproporla in sede di appello; 4) che l’eccezione di illegittimita’ costituzionale del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 32, commi 4 e 5 e art. 51, era manifestamente infondata, non sussistendo alcuna disparita’ di trattamento tra chi produca i documenti richiesti nella fase amministrativa e chi non li produca, senza tuttavia dimostrare anche in sede processuale di non averlo potuto fare per una causa a lui non imputabile.

L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

La ricorrente ha prodotto memoria conclusiva, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la “violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, u.c. e art. 55 e s.m.i., nonche’ del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 5 e 5 e s.m.i. – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24, 102, 103, 111 e 113 Cost. – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. – Difetto di motivazione”.

1.1. Lamenta il ricorrente che, nell’affermare che il contribuente non aveva provato “che la causa della tardiva produzione dei Registri I.V.A. acquisti/vendite relativi all’anno 2001, versati in atti in giudizio, sia stata dovuta a causa a lui non imputabile”, la sentenza impugnata avrebbe “ritenuto l’esistenza di un onere della prova gravante sul contribuente ricorrente non previsto dall’ordinamento”, peraltro con una motivazione “assolutamente insufficiente” ed altresi’ trascurando le “decisive prove documentali dedotte dal contribuente”.

2. Con il secondo mezzo si deduce altresi’ la “illegittimita’ costituzionale del combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 51, u.c. e dell’art. 32, commi 5 e 5 e violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, 24, 111 e 113 Cost. – Rigetto dell’eccezione di illegittimita’ costituzionale proposta nel giudizio di appello: violazione e/o falsa applicazione della L. Cost. n. 1 del 1948, art. 1 e s.m.i. e della L. n. 87 del 1953, art. 23 e s.m.i. nonche’ dell’art. 112 c.p.c. – Difetto di motivazione – Riproposizione dell’eccezione di illegittimita’ costituzionale.

2.1. Nel riproporre la questione di illegittimita’ costituzionale disattesa dal giudice d’appello, il ricorrente aggiunge che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, conferisce a quest’ultimo il potere di ammettere nuove prove, ove ritenute necessarie ai fini della decisione, “superando cosi’ le rigidita’ del regime delle preclusioni incidenti sul diritto delle parti alla prova”, nella specie peraltro operanti anteriormente all’attivazione della fase giurisdizionale.

3. Il terzo mezzo attiene infine alla “violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, u.c. e art. 55 e s.m.i., nonche’ del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 4 e 5 e s.m.i. – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonche’ del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58 e s.m.i. – Difetto di motivazione”.

3.1. Osserva il ricorrente che il giudice d’appello, pur ritenendo implicitamente ammissibili i documenti prodotti dal ricorrente in allegato alla memoria presentata in vista dell’udienza del 26 ottobre 2009, “ha pero’ totalmente trascurato di prestare attenzione agli stessi”, i quali erano asseritamente nuovi “e diversi da quelli richiesti dall’Agenzia” (fatture registrate nei registri Iva vendite ed acquisti 2001; dichiarazioni periodiche Iva; versamenti Iva 2001, dichiarazione Iva 2001 relativa all’anno 2000).

4. Tutti i motivi sono affetti da ragioni di inammissibilita’.

5. Invero, essi prospettano congiuntamente mezzi di impugnazione eterogenei (error in iudicando e vizio motivazionale), senza che, nell’ambito della formulazione unitaria del motivo, sia agevole delimitare in modo netto i vari profili di censura, con l’effetto di riversare impropriamente su questa Corte il compito di individuare, all’interno dell’unica esposizione, i segmenti riconducibili alle distinte ipotesi di impugnazione disciplinate dal codice di rito.

5.1. Al riguardo, costituisce ius receptum di questa Corte il principio per cui “il giudizio di cassazione e’ un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso”, ciascuno dei quali assume – “anche prima della riforma introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006” – “una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica, con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticita’ dal legislatore”, non risultando percio’ ammissibile una censura che cumuli, in un unico motivo, “una molteplicita’ di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati” (ex multis, Cass. sez. 3, n. 18202/08; sez. 5, n. 19959/2014; conf., da ultimo, sez. 6-5, ord. nn. 6735/16, 7656/16 e 12926/16). Devono quindi ritenersi inammissibili motivi articolati in plurime censure, in modo tale che ne risulti assegnato alla Corte di legittimita’ il compito (che non le spetta) di interpretare, enucleare, integrare ed esplicitare i profili d’impugnazione (ex plurimis, Cass. nn. 1906 e 9470 del 2008, nn. 9793 e 12248 del 2013, nn. 19959, 25332 e 26018 del 2014, nn. 5964 del 2015; conf. da ultimo, sent. nn. 3605, 3606, 3843, 5696, 7215 e 7857 del 2016).

6. In ogni caso, sul tema che attraversa trasversalmente i tre motivi del ricorso, si osserva quanto segue.

7. Il D.P.R. n. 600 del 1973, prevede all’art. 32 che “le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di cio’ l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta”, (comma 4), e che “le cause di inutilizzabilita’ previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile” (comma 5).

8. In primo luogo, come piu’ volte rilevato da questa Corte, lo stesso tenore letterale della norma esprime una efficacia automatica della sanzione di inutizzabilita’ della documentazione prodotta tardivamente, in presenza dei presupposti ivi indicati, “in quanto la comminatoria e’ direttamente ed oggettivamente riferita agli stessi e non e’ stabilito alcun ulteriore meccanismo di attivazione di parte, al contrario di quanto avviene per la deroga all’inutilizzabilita’ che deve essere fatta valere dal contribuente, con le modalita’ ivi previste, entro il termine per il deposito dell’atto introduttivo di primo grado”; di conseguenza, “l’omessa o intempestiva risposta e’ legittimamente sanzionata con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa” (da ultimo, Cass. n. 5734/16). D’altro canto e’ pacifica la ritualita’ della sequenza procedimentale avviata dall’amministrazione, mediante la formulazione dell’apposito avviso circa le conseguenze della mancata ottemperanza alla richiesta (v. Cass. nn. 22126/13).

9. Va dunque data continuita’ al principio per cui, “in tema di accertamento fiscale, l’invito da parte dell’Amministrazione finanziaria, previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 4, a fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealta’, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarieta’ della materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente, per favorire la definizione delle reciproche posizioni, si’ da evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa. Tale inutilizzabilita’ consegue automaticamente all’inottemperanza all’invito, non e’ soggetta alla eccezione di parte e puo’ essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado di giudizio. Il contribuente puo’ conseguire una deroga all’inutilizzabilita’ solo ove ricorrano le condizioni di cui al D.P.R. 29 settembre, n. 600, art. 32, comma 5” (in termini, Cass. n. 5734/16 cit.).

10. In secondo luogo, con riguardo alla possibilita’, per il contribuente, di derogare alle preclusioni sancite dal D.P.R. n. 600/73, art. 32, comma 5, depositando in sede contenziosa – in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado – le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio, e dichiarando contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile, e’ stato precisato che tale dichiarazione, pur essendo necessaria, “non e’ sufficiente al fine indicato, nel senso che la parte contribuente ha l’onere di dimostrarne la veridicita’”, sicche’ il legittimo impedimento del contribuente, oltre ad essere invocato, deve anche essere specificamente provato (v. Cass. sent. n. 9974/15).

11. In ogni caso, e’ stato chiarito che, dinanzi alla preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa (e neppure in primo grado), non trova applicazione il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, che consente alle parti nuove produzioni documentali nel corso del giudizio tributario di appello, rispetto a documenti sui quali si e’ gia’ prodotta la decadenza per effetto della norma speciale (Cass. sent. n. 10489/14, 9974/15 e n. 5734/16).

12. Quanto poi alla mancata considerazione degli ulteriori documenti prodotti dal contribuente, il terzo motivo di ricorso per un verso difetta di compiuta autosufficienza, per altro verso investe il merito della causa, in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui spetta in via esclusiva al giudice di merito la selezione degli elementi del suo convincimento (Cass. nn. 26860/14 e 962/15; conf. da ultimo Cass. ord. n 12926/16), non potendo il ricorso per cassazione costituire il mezzo per accedere ad un terzo grado di giudizio di merito (Cass. s.u. n. 7931/13; Cass. nn. 12264/14 e 3396/15), la revisione dei fatti essendo incompatibile con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudizio di legittimita’ (Cass. nn. 959, 961 e 14233 del 2015).

13. Infine, circa la questione di legittimita’ costituzionale riproposta in questa sede, questa Corte ha gia’ avuto occasione di sostenerne l’infondatezza – anche per quanto in tal senso non gia’ affermato da Corte Cost. n. 181/07 (“e’ manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 4, sollevata in riferimento all’art. 53 Cost., comma 1” – poiche’ “la norma denunciata si ispira al principio di realizzare un equo contemperamento tra esigenze della difesa – dato che il contribuente e’ abilitato alla produzione successiva nel caso in cui si sia trovato a non poter adempiere alle richieste dei verificatori per causa a lui non imputabile – e tutela dell’azione amministrativa – in quanto la prescrizione dell’esibizione, quando l’amministrazione ne faccia richiesta, e’ posta a presidio, prima, del buon funzionamento della pubblica amministrazione e, poi, della funzione giurisdizionale, in quanto la facolta’ accordata non puo’ esercitarsi in danno della ragionevole durata del processo -, sicche’ essa mostra in definitiva di aderire tanto al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., quanto ai principi della difesa e del giusto processo tutelati dagli artt. 24 e 111 Cost.” (da ultimo, v. Cass. sent. n. 8811/16).

14. In conclusione, il ricorso va respinto, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte respinge il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, che liquida in Euro 5.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2016

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