Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14256 del 28/06/2011

Cassazione civile sez. III, 28/06/2011, (ud. 05/04/2011, dep. 28/06/2011), n.14256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FILADORO Camillo – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22734-2006 proposto da:

C.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, presso CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato CIRIMINNA GIUSEPPE, con studio 90141 in PALERMO, Via

Principe di Villafranca n. 54, giusta delega a 2011 margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

CO.GI. (OMISSIS), R.L.,

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TOMMASO

GULLI 11, presso lo studio dell’avvocato SCHIAVETTI MARIA CHIARA,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIACONIA MAURIZIO giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

R.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5002/2005 del GIUDICE DI PACE di PALERMO,

Sezione 4^ Civile, emessa il 14/05/2005, depositata il 31/05/2005;

R.G.N. 1199/2001;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/04/2011 dal Consigliere Dott. GIULIO LEVI;

Lette le conclusioni, scritte dal Sostituto Procuratore Generale

Antonietta Carestia confermate in camera di consiglio dal P.M. dott.

GOLIA Aurelio che ha chiesto il rigetto del ricorso per manifesta

infondatezza.

Fatto

C.G. proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 5002/2005 emessa il 31.5.2005 dal Giudice di Pace di Palermo, in sede di secondo rinvio dalla S.C., con la quale è stata dichiarata cessata la materia del contendere tra l’odierno ricorrente e Ca.

G., R.L. e R.G. in ordine alla domanda di recesso dal contratto di locazione del locale-magazzino condotto in locazione dal C., in considerazione dell’intervenuto sfratto per morosità ed il rigetto delle domande di restituzione dell’immobile e di risarcimento dei danni proposte dal C..

Resistono con controricorso Co.Gi. e R.L. eccependo l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 bis c.p.c. e, nel merito, la sua infondatezza.

Diritto

Con il primo motivo il ricorrente deducendo violazione dell’art. 394 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 assume che il giudizio di rinvio è un giudizio chiuso e quindi il G.d.P. non poteva prendere in esame l’intervenuto sfratto per morosità al fine di “inibire ad esso ricorrente di rientrare nella detenzione dell’immobile”, trattandosi di fatto sopravvenuto che se del caso doveva essere fatto valere mediante opposizione all’eventuale esecuzione forzata. Assume inoltre che “i documenti relativi allo sfratto per morosità erano stati già irritualmente prodotti nel corso del primo giudizio di rinvio e quindi erano stati esaminati dalla S.C. che, ciò non di meno, con sentenza 1067/2000 aveva cassato la sentenza impugnata, disponendo un nuovo rinvio per la decisione nel merito”. Si osserva che la censura è inammissibile e comunque infondata.

Sotto il primo profilo, infatti, è formulata in termini generici; in particolare non sono stati indicati i documenti irritualmente prodotti nel primo giudizio di rinvio ed il relativo contenuto, nè è chiara la finalità della relativa censura, avendo il G.d.P. accertato l’esistenza di un giudicato esterno incidente sull’oggetto della lite, senza alcuna contestazione sul punto da parte del ricorrente.

Si osserva comunque che in tema di giudizio di rinvio, il principio processuale della rilevabilità del giudicato (sia interno che esterno) – in ogni stato e grado del giudizio – deve essere coordinato con i principi, parimenti processuali, che disciplinano il giudizio di rinvio e, segnatamente, con la prospettata efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio, che riguarda non solo le questioni dedotte dalle parti o rilevate d’ufficio dal giudice – nel giudizio di legittimità – ma anche le questioni che costituiscano il necessario presupposto della sentenza, ancorchè non siano state dedotte o rilevate in quel giudizio. Nel caso con la sentenza n. 1067, n. 2000 la S.C. si è limitata ad escludere l’operatività di una causa di estinzione del giudizio, erroneamente ritenuta dal Giudice conciliatore di Palermo, cassando con rinvio davanti al G.d.P. per l’esame del merito; quindi, l’esistenza del giudicato sull’avvenuta risoluzione del contratto per morosità del locatore non è stata presa in esame dalla S.C., avendo la stesa emesso una pronuncia di carattere meramente processuale.

Si deve altresì escludere, in considerazione della natura di detta pronuncia, qualsiasi efficacia preclusiva per il giudice del rinvio di prendere in esame il giudicato esterno eccepito dai Sig.ri Co. – R..

Ad analoghe conclusioni si deve pervenire anche in ordine alla pronuncia n. 9761/90 della S.C., con la quale si è accertata la carenza di legittimazione dei proprietari ad esercitare il diritto di recesso per necessità, pronuncia che non esclude la successiva risoluzione del contratto per morosità del locatore, trattandosi di una diversa azione.

Il motivo va pertanto rigettato.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in riferimento agli artt. 383 e 394 c.p.c. e con il terzo motivo violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in riferimento all’art. 394 c.p.c. e all’art. 1362 c.c., comma 2, e artt. 1366 e 1585 c.c..

Si osserva che entrambi i motivi sono inammissibili, il primo perchè del tutto generico ed il secondo perchè attinente al merito della controversia.

Anche i restanti motivi sono inammissibili.

In particolare il quarto motivo attiene a questione (esistenza dell’inadempimento) coperta da giudicato; il quinto motivo riguarda le domande di risarcimento danni, ritenute inammissibili dal G.d.P. per violazione dell’art. 418 c.p.c., senza che sul punto sia stata dedotta alcuna censura; il sesto motivo attiene ad una delle domande di risarcimento danni e va dichiarato inammissibile sia per le ragioni già sopra esposte sia perchè si risolve in mere affermazioni di fatto; il settimo motivo è generico e attiene a questione del tutto irrilevante ai fini della decisione.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Il ricorrente va condannato alle spese del giudizio, liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 1.500,00, di cui Euro 1.200,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, il 5 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2011

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