Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14256 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/05/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 25/05/2021), n.14256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9527-2020 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALESSIO SIMONA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – PUBBLICO MINISTERO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 489/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 11/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. PARISE

CLOTILDE.

 

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con sentenza n. 489/2019 pubblicata l’11-11-19 la Corte D’Appello di Venezia ha respinto l’appello proposto da C.S., cittadino del Gambia, avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia che aveva rigettato la sua domanda avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, all’esito del rigetto della stessa domanda da parte della competente Commissione Territoriale. La Corte d’appello ha ritenuto non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale aveva riferito di essere fuggito dal suo Paese perchè aveva iniziato una relazione omosessuale con altro giovane della sua zona ed aveva subito persecuzioni da parte degli abitanti del suo villaggio e delle Autorità. La Corte territoriale ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale e geo-politica del Gambia, descritta nella sentenza impugnata con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

3. I motivi di ricorso sono così rubricati: 1. “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 342 c.p.c. – falsa applicazione di norme di diritto- violazione del principio tantum devolumm, quantum appellatum “; 2. “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 112 c.p.c. – violazione del principio di corrispondena tra chiesto e pronunciato”. Con il primo motivo il ricorrente deduce che la Corte d’appello ha sostenuto l’inattendibilità della sua vicenda personale sulla base di argomenti nuovi e non evidenziati dal Tribunale, così andando oltre i limiti della materia devoluta alla sua cognizione. Con il secondo motivo deduce di aver allegato nei giudizi di merito di avere diritto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. b), in ragione del rischio di tortura e trattamento disumano in caso di carcerazione, e a suo avviso la Corte di merito aveva omesso ogni pronuncia al riguardo. 4. Il primo motivo è infondato.

4.1. Il perimetro delle questioni devolute con l’appello e, quindi, il giudicato interno non si determinano sul Fatto, ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicchè l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass., Sez. 2 -, Ordinanza n. 10760 del 17/04/2019; Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 12202 del 16/05/2017; Cass., Sez. L, Sentenza n. 2217 del 04/02/2016). Il giudice ha, peraltro, l’obbligo di rilevare d’ufficio l’esistenza di una norma di legge idonea ad escludere, alla stregua delle circostanze di fatto già allegate ed acquisite agli atti di causa, il diritto vantato dalla parte, e ciò anche in grado di appello, senza che su tale obbligo possa esplicare rilievo la circostanza che, in primo grado, le questioni controverse abbiano investito altri e diversi profili di possibile infondatezza della pretesa in contestazione e che la statuizione conclusiva di detto grado si sia limitata solo a tali diversi profili, atteso che la disciplina legale inerente al fatto giuridico costitutivo del diritto è di per sè sottoposta al giudice di grado superiore, senza che vi ostino i limiti dell’effetto devolutivo dell’appello (Cass., Sez. 2 -, Sentenza n. 11287 del 10/05/2018).

4.2. Nella specie la Corte di merito ha esaminato gli stessi fatti già acquisiti al processo, in particolare le dichiarazioni rese dal richiedente avanti alla Commissione Territoriale e quelle rese in sede di audizione giudiziale, ha esaminato le circostanze attinenti alla genuinità del mandato di cattura e quelle relative al colloquio avvenuto presso l’arcigay di Padova, come da documenti prodotti dal ricorrente, e ne ha valutato la rilevanza probatoria, con accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità, ove adeguatamente motivato, e neppure oggetto di censura da parte del ricorrente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

5. Anche il secondo motivo è infondato.

5.1. La Corte di merito si è espressamente pronunciata sull’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. a) e b) (cfr. pag.7 della sentenza impugnata)” facendo discendere, in conformità all’indirizzo di questa Corte sul punto, dalla ritenuta inattendibilità della vicenda personale allegata l’insussistenza della ragione causativa del rischio di danno grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), e così anche il venir meno dell’obbligo di cooperazione istruttoria ufficiosa in ordine al suddetto rischio (tra le tante Cass. n. 3340/2019 e Cass. n. 27336/2018).

6. Nulla va disposto per le spese del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

 

 

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