Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14254 del 08/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 14254 Anno 2015
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 13538-2011 proposto da:
RAI

RADIOTELEVISIONE

ITALIANA

S1P.A.

C.F.

06382641006, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO
VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio degli
avvocati RENATO SCOGNAMIGLIO e CLAUDIO SCOGNAMIGLIO,
– 2015
1463.

che la rappresentano e difendono

F77773-7NRR7

giusta delega in atti;
– ricorrente contro

COIANTE VALERIA O. F. CNTVLR64D56H501K;

Data pubblicazione: 08/07/2015


– intimata –

Nonché da:
COIANTE VALERIA C.E. CNTVLR64D56H501K, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO 35, presso lo
studio degli avvocati DOMENICO D’AMATI I GIOVANNI NICOLA

difendono unitamente all’avvocato CLAUDIA COSTANTINI,
giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente

incidentale –

contro

RADIOTELEVISIONE

RAI

ITALIANA

S.P.A.

C.F.

06382641006, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO
VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio degli
avvocati RENATO SCOGNAMIGLIO e CLAUDIO SCOGNAMIGLIO,
che la rappresentano e difendono i:M=1==P
aLVoca10
1

giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale

avverso la sentenza n.

10210/2009 della CORTE

D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/06/2010 r.g.n.
7156/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 01/04/2015 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato SCOGNAMIGLIO CLAUDIO;
udito l’Avvocato COSTANTINI CLAUDIA;

D’AMATI, NICOLETTA D’AMATI, che la rappresentano e

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il

rigetto di entrambi i ricorsi.

RG. n. 13538/11
Ud. 1 apr. 2015

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
la RAI – Radiotelevisione Italiana S.p.A. (di seguito: RAI) – i quali
avevano stipulato complessivamente undici contratti a tempo
determinato – era intercorso a decorrere dalla data della stipula
del primo contratto (aprile 1990) un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, essendo illegittimi tutti detti contratti; dichiarava
che la ricorrente, assunta formalmente quale programmista
regista, aveva diritto al trattamento economico e normativo di
redattore ordinario e condannava la RAI a corrispondere alla
lavoratrice, per i soli periodi lavorati, le relative differenze
retributive da liquidare in separato giudizio, con gli accessori
legge; condannava la RAI al risarcimento del danno in favore
della ricorrente, commisurato alle retribuzioni mensili di
redattore ordinario, a decorrere dalla data di messa in mora (30
ottobre 2000) e sino all’effettivo soddisfo, con gli accessori di
legge.
Tale decisione, su impugnazione principale della RAI ed
incidentale della lavoratrice, veniva confermata dalla Corte
d’appello di Roma con sentenza depositata in data 14 giugno
2010.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la
RAI. La lavoratrice ha resistito con controricorso proponendo
ricorso incidentale condizionato. Le parti hanno depositato
memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I ricorsi, in quanto proposti avverso la stessa sentenza,
devono essere riuniti ex art. 335 cod. proc. civ.

Il Tribunale di Roma dichiarava che tra Coiante Valeria e

2

3. Con il primo motivo, denunciando violazione o falsa
applicazione dell’art. 1372 cod. civ., la RAI censura la sentenza
impugnata per avere respinto l’eccezione di risoluzione del
rapporto per mutuo consenso, eccezione che era stata proposta
in primo grado e riproposta in appello.
Rileva che la lavoratrice dopo la cessazione dell’ultimo
del ricorso introduttivo, non comparendo in sede di tentativo di
conciliazione. Tale ritardo, unitamente alla percezione del
trattamento di fine rapporto, non potevano che essere
interpretati come espressione di un definitivo disinteresse a far
valere la nullità del termine apposto ai contratti e, quindi, come
tacito consenso alla definitiva risoluzione del rapporto.
Aggiunge che la Corte di merito si è soffermata sulla
questione relativa alla inidoneità di intervalli brevi tra un
contratto e l’altro ad integrare il contegno concludente risolutivo
del rapporto di lavoro, questione diversa rispetto a quella dedotta
con l’eccezione sopra specificata.
4.

Con il secondo motivo, denunciando vizio di

motivazione, la RAI ribadisce che la Corte di merito, con riguardo
alla predetta eccezione, ha preso in esame la diversa questione
della rilevanza degli intervalli tra un contratto e l’altro, senza
esaminare quella dedotta da essa ricorrente, e cioè la rilevanza
dell’inerzia dopo la cessazione del rapporto.
5. Con il terzo motivo la RAI rileva che con verbale di
conciliazione in sede sindacale del 3 agosto 1995 intervenuto tra
essa ricorrente e la Coiante le parti avevano dichiarato di voler
definire tutti gli aspetti giuridici afferenti ai pregressi contratti a
termine. La Rai, a saldo e stralcio di ogni diritto e pretesa della
lavoratrice, si era impegnata ad assumere, ed aveva assunto, la
Coiante con contratto a termine dal settembre 1995 sino alla fine
della “produzione” e comunque non oltre il 30 giugno 1996, in
qualità di programmista regista. La Coiante, da parte sua, aveva
rinunciato espressamente alle pretese e ai diritti anzidetti. Era

rapporto aveva lasciato decorrere circa un anno per il deposito

3

dunque evidente che, per effetto di detta conciliazione, era
preclusa alla lavoratrice la possibilità di far valere pretese di
qualsiasi natura in relazione ai pregressi rapporti a termine. La
Corte di merito, pur dando atto che l’unico effetto dispositivo che
poteva riconoscersi al negozio transattivo riguardava i diritti
economici maturati nei limiti e nei termini risultanti dal tenore
primo grado – incorrendo in contraddizione – la sussistenza di
un rapporto a tempo indeterminato a decorrere dal 3 aprile 1990
e, dunque, senza in alcun modo tenere conto dell’effetto
preclusivo del verbale di conciliazione rispetto ai diritti maturati
in precedenza.
6. Con il quarto motivo la RAI, denunciando vizio di
motivazione, ribadisce le medesime argomentazioni svolte con il
precedente motivo.
7. Con il quinto motivo, denunciando vizio di motivazione,
la RAI deduce che la sentenza impugnata ha ritenuto che vi fosse
stato un intento fraudolento alla base della assunzioni a tempo
determinato, posto che, su un organico di programmisti registi
rimasto sostanzialmente invariato nel corso degli anni, era stato
impiegato costantemente un numero di lavoratori a tempo
determinato pari mediamente a circa il doppio.
Sul punto, ad avviso della ricorrente la motivazione è
lacunosa, non avendo tenuto conto che il numero dei
programmisti registi assunti a termine in ciascuna stagione
televisiva dipende dal numero delle produziorpi di volta in volta
organizzate dall’azienda e, quindi, varia percentualmente di anno
in anno nell’ordine del 30 – 40% in aumento o in diminuzione.
8. Con il sesto motivo, denunciando violazione dell’art. 2,
comma 2, L. n. 230/62, in relazione all’art. 2697 cod. civ., la RAI
rileva che l’onere della prova dell’intento fraudolento della stipula
dei contratti a termine grava sul lavoratore che lo deduce.
9. Con il settimo motivo la RAI, denunciando violazione e
falsa applicazione della legge n. 69/63, in relazione all’art. 2575

del verbale, ha ritenuto, attraverso la conferma della sentenza di

.e

cod. civ. e all’art. l della legge n. 644/41, censura la sentenza
impugnata per avere ritenuto che la Coiante avesse svolto
attività giornalistica. Si trattava viceversa di prestazioni rese in
esecuzione delle disposizioni impartite dai responsabili delle
trasmissioni televisive, non caratterizzate da quegli apporti di
tipo soggettivo ed inventivo che caratterizzano l’attività del
giornalista.
10. Con l’ottavo motivo la RAI, denunciando vizio di
motivazione, ribadisce che la Coiante non svolgeva attività
giornalistica, essendo adibita a programmi non rientranti
nell’ambito di una testata giornalistica. Soltanto le testate,
aggiunge, sono preposte alla informazione ed alla compilazione
dei giornali radiofonici o televisivi ed hanno perciò un direttore
responsabile e sono soggette alla registrazione in tribunale.
11. Con il nono motivo, denunciando vizio di motivazione,
la RAI censura la sentenza impugnata laddove “la Corte ha
ritenuto coessenziale alla figura del programmista regista il
nesso tra la sua attività e le finalità di intrattenimento, pur
prevedendo la declaratoria contrattuale, come sopra trascritta,
anche il nesso tra l’attività del programmista e l’attualità”.
12. Con il decimo motivo la RAI, deducendo che dopo il
deposito della sentenza impugnata è intervenuta la legge n. 183
del 2010, art. 32, che ha disciplinato le conseguenze economiche
nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, chiede
l’applicazione di tale normativa.
13. Con l’unico motivo del ricorso incidentale – subordinato
all’accoglimento dei motivi proposti dalla RAI in ordine alla
legittimità del termine -, la lavoratrice, denunciando violazione e
falsa applicazione dell’art. 1, lettera e), L. n. 230/62 nonché vizio
di motivazione, rileva che la sentenza impugnata ha escluso che
i contratti a termine fossero nulli anche per violazione della
disposizione anzidetta, con riferimento al requisito della
specificità.

,

Al riguardo è stata ignorata la giurisprudenza di legittimità,
secondo cui, ai fini della legittimità dell’apposizione del termine
ai sensi della normativa sopra richiamata, è necessario che
ricorrano i requisiti della temporaneità; della specificità del
programma, che deve essere quantomeno unico (anche articolato
in più puntate o ripetuto nel tempo) e presentare una sua
connotazione particolare; della connessione reciproca tra
specificità dell’apporto del lavoratore e specificità del programma
o spettacolo (c.d. vincolo di necessità diretta).
Inoltre la sentenza impugnata non ha spiegato in base a
quali elementi abbia ritenuto che “i programmi contenitori e a
cadenza ripetuta possono essere ritenuti di per sé specifici
perché caratterizzati da necessità peculiari e spesso mutevoli”.
14. Osserva il Collegio che i primi due motivi del ricorso
principale, da trattare congiuntamente perché connessi, non
sono fondati.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che nel giudizio
instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un
unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto
dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai
scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto
per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base
del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo
contratto a termine nonchè del comportamento tenuto dalle parti
e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa
comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente
fine ad ogni rapporto lavorativo. L’onere di provare le circostanze
dalle quali possa ricavarsi siffatta volontà grava sul datore di
lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso del
rapporto.
E’ stato altresì precisato da questa Corte che la
valutazione del significato e della portata del complesso dei
suddetti elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui
conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non

*._

6

sussistono vizi logici o errori di diritto (cfr., per tutti tali principi,
Cass. n. 16932/11; Cass. n. 5887/11; Cass. n. 23319/10; Cass.
n. 23057/10: Cass. n. 16424/10; Cass. n. 2279/10).
Nella specie, la ricorrente deduce che la Corte di merito ha
affrontato la questione della inidoneità di intervalli brevi tra un
contratto e l’altro ad integrare il contegno concludente risolutivo
dedotta nel ricorso di primo grado e riproposta in sede di
gravame.
Ma, dalla trascrizione dei motivi di appello, operata in
ricorso, non si evince alcuna censura alla sentenza impugnata
nel senso prospettato dalla ricorrente, risultando viceversa
richiamati solo taluni principi enunciati dalla giurisprudenza al
riguardo. Da qui il rigetto dei motivi in esame.
15. Il terzo e il quarto motivo del ricorso principale sono
fondati.
La Corte di merito ha ritenuto che dal verbale di.
conciliazione in sede sindacale stipulato in data 3 agosto 1995
non risultava una chiara volontà, da parte della lavoratrice, “di
rinunciare alla pretesa di conversione dei vari contratti a t. d. in
un unico contratto a tempo indeterminato”. D’altra parte, ha
aggiunto, la rinuncia del lavoratore può avere ad oggetto solo i
diritti già acquisiti e non anche i diritti non ancora maturati,
come quelli concernenti la continuità del rapporto o la
prosecuzione del medesimo pur dopo l’avvenuta conciliazione,
rispetto ai quali la transazione è colpita da nullità assoluta per
violazione di norme imperative.
Tali assunti non possono essere condivisi.
Questa Corte ha affermato (cfr. Cass. 18 agosto 2004 n.
16168), che la disposizione dell’art. 2113, primo comma, cod.
civ., che stabilisce l’invalidità delle rinunzie e transazioni aventi
per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da
disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi
concernenti i rapporti di cui all’art. 409 cod. proc. civ., trova il

del rapporto di lavoro, questione questa diversa rispetto a quella

7

suo limite d’applicazione nella previsione di cui all’ultimo comma
del citato art. 2113 . cod. civ., che fa salve le conciliazioni
intervenute ai sensi degli artt. 185, 410 e 411 cod. proc. civ.,
ossia quelle conciliazioni nelle quali la posizione del lavoratore
viene ad essere adeguatamente protetta nei confronti del datore
di lavoro per effetto dell’intervento in funzione garantista del
superamento della presunzione di condizionamento della libertà
d’espressione del consenso da parte del lavoratore. In tali ipotesi,
peraltro, mentre la rinunzia, in quanto negozio unilaterale non
recettizio, sortisce l’effetto dell’estinzione dei diritti patrimoniali
connessi al rapporto di lavoro e già acquisiti al patrimonio del
lavoratore, anche in assenza del beneficiario, la transazione, in
quanto contratto, richiede l’incontro delle volontà di tutte le parti
interessate e la contestuale sottoscrizione del verbale di
conciliazione.
Ed ancora (cfr. Cass.~. 23 ottobre 2013 n. 24024), “In
materia di atti abdicativi di diritti del lavoratore subordinato, le
rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di
lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti
collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede
sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l’assistenza
prestata dai rappresentanti sindacali – della quale non ha valore
equipollente quella fornita da un legale – sia stata effettiva, così
da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto
rinunci e in quale misura, nonché, nel caso di transazione, a
condizione che dall’atto stesso si evinca la questione controversa
oggetto della lite e le “reciproche concessioni” in cui si risolve il
contratto transattivo ai sensi dell’art. 1965 cod. civ.”.
Nella specie, come risulta dal verbale di conciliazione
trascritto in ricorso, le parti hanno voluto “definire tramite
conciliazione in sede sindacale tutti gli aspetti giuridici afferenti
ogni questione inerente l’attività tutta svolta dalla sig.ra Coiante
in favore della Rai fino alla data di sottoscrizione del presente

terzo (autorità giudiziaria, amministrativa o sindacale) diretto al

8

verbale, onde prevenire l’insorgere di liti ed eliminare ogni
possibile controversia”; le parti medesime sono state avvertite
circa la non impugnabilità della transazione ai sensi degli artt.
2113 cod. civ., 411 e 412 cod.proc. civ.; la sig.ra Coiante ha
rinunciato ad ogni diritto e pretesa inerenti ai pregressi rapporti
di lavoro a tempo determinato stipulati con la RAI, mentre
determinato la lavoratrice dal 1° settembre 1995 e comunque
non oltre il 30 giugno 1996 formalmente in qualità di
programmista regista.
Diversamente da quanto affermato dalla sentenza
impugnata, non si evince dAlla transazione in questione una
chiara volontà della lavoratrice di rinunciare alla conversione dei
rapporti, non foss’altro perché non vi erano, al momento della
stipula del verbale, elementi per ritenere che tale conversione
fosse scontata, richiedendosi a tal fine un accertamento
giudiziale di esito incerto.
Né, per le stesse ragioni, può ritenersi che la lavoratrice
avesse maturato i conseguenti diritti di natura economica.
Sostiene la lavoratrice che il verbale di conciliazione venne
imposto dalla RAI come condizione ineludibile per la
prosecuzione del rapporto; che la volontà della medesima venne
dunque coartata; che il verbale venne sottoscritto dalla
lavoratrice senza la effettiva assistenza di un rappresentante
sindacale, essendole stato presentato, all’atto della firma, un
rappresentante sindacale appartenente ad una sigla alla quale
non era stata conferita alcuna delega; che esisteva in RAI la
prassi in base alla quale, dopo talune assunzioni a termine, la
prosecuzione del rapporto, sempre con contratti a termine, fosse
subordinata alla stipula di un verbale di conciliazione.
Ma di tutte queste circostanze non v’è traccia nella
sentenza impugnata né risulta che siano state dimostrate in
giudizio o che la lavoratrice abbia chiesto invano di provarle.

questa si è impegnata ad assumere – ed ha assunto – a tempo

Discende da tutto quanto precede che i motivi in esame
devono essere accolti, con la conseguenza che, cassata sul punto
l’ impugnata sentenza, i contratti a termine anteriori alla data di
stipula del verbale di conciliazione (3 agosto 1995), in quanto
oggetto della transazione, non potevano essere posti in
discussione né, tanto meno, essere ritenuti illegittimi dalla Corte
16. Il quinto e il sesto motivo, che vanno esaminati con
riguardo ai contratti successivi alla transazione e che vanno
anch’essi trattati congiuntamente in ragione della loro
connessione, sono infondati.
Quanto al primo di tali motivi, la RAI, nel dare atto che il
giudizio della Corte di merito circa l’illegittimità dei contratti a
termine era basato su circostanze di fatto non censurabili in
questa sede, sostiene, incorrendo in contraddizione, che la
motivazione della sentenza impugnata è lacunosa, non avendo
tenuto conto che il numero dei programmisti registi assunti a
termine in ciascuna stagione televisiva dipende dal numero delle
produzioni di volta in volta organizzate dall’azienda e, quindi,
varia percentualmente di anno in anno nell’ordine del 30 – 40%
in aumento o in diminuzione.
Ma di tutte tali circostanze nulla risulta, onde la censura si
risolve in una affermazione contraria rispetto a quella contenuta
nella sentenza impugnata, che in difetto di prova al riguardo è
priva di efficacia.
Quanto al sesto motivo, relativo all’onere della prova
dell’intento fraudolento della stipula dei contratti, per respingere
la censura è sufficiente rilevare che tale prova è stata ritenuta
raggiunta dalla Corte di merito, onde non è d’uopo accertare a
carico di chi fosse il relativo onere.

i

17. Parimenti infondati sono il settimo e l’ottavo motivo,
anch’essi connessi.
La Corte di merito ha accertato, confermando la sentenza di
primo grado, che la Coiante – come peraltro risultava

di merito.

lo

documentato – ha svolto attività giornalistica, anche sul luogo
degli avvenimenti, consistita nella raccolta, selezione ed
elaborazione critica delle notizie, ed ha condannato la RAI al
pagamento delle relative retribuzioni a decorrere dal 30 ottobre
2000.
La RAI contesta tale affermazione, deducendo che la
principi enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimità e
che nella specie “si trattava… .non già di notiziari informativi….di
rubriche o programmi di testate giornalistiche, ma di programmi
di rete del tutto incompatibili con l’espletamento di attività
giornalistica”.
Ma, con riguardo al primo profilo, i principi enunciati dalla
giurisprudenza, trascritti in ricorso, qualificano l’attività
giornalistica proprio nei termini espressi dalla sentenza
impugnata (“….raccolta, elaborazione e commento della notizia
destinata a formare oggetto di comunicazione di massa…”),
mentre, in ordine al secondo aspetto, la censura tende
inammissibilmente, sotto il profilo del vizio di motivazione, a
contestare le valutazioni e gli accertamenti di fatto svolti dal
giudice di merito, non sindacabili in questa sede.
18. Infondato è altresì il nono motivo, atteso che anche qui
si censurano inammissibilmente le valutazioni e gli accertamenti
eseguiti dal giudice di merito, il quale ha ritenuto che la Coiante,
assunta formalmente quale programmista regista, svolse attività
giornalistica nei termini sopra indicati.
19. La. Rai ha chiesto, con l’ultimo motivo, l’applicazione
dello ius superveniens,

rilevando che dopo il deposito della

sentenza impugnata è intervenuta la legge n. 183 del 2010, art.
32, che ha disciplinato le conseguenze economiche nei casi di
conversione del contratto a tempo determinato.
La richiesta deve essere rigettata.
Come più volte affermato da questa Corte, per poter
applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia

sentenza impugnata non avrebbe correttamente applicato i

11
2

introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del
t

rapporto controverso, è necessario non solo che quesfultima sia
in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di
censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di
legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di
ricorso (cfr. Cass. 17974/11; Cass. 9583/11 cit; Cass.
che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla
disciplina sopravvenuta, sia ammissibile secondo la disciplina
sua propria (v., fra le altre, Cass. 80/11; Cass. 9583/11; Cass.
17974 / 11 cit.) .
Nella specie non risulta d112 sentenza impugnata che la
RAI, nel proporre appello avverso la sentenza di primo grado,
abbia formulato specifici motivi sulle conseguenze economiche
della ritenuta illegittimità del termine.
Risulta, viceversa, che la sentenza di primo grado è stata
impugnata, con appello incidentale, dalla Coiante e che la
relativa censura è stata respinta.
In assenza dunque di una censura sulle conseguenze
economiche, la richiesta di applicazione dello ius superveniens
non può trovare ingresso in questa sede.
20. Resta assorbito il ricorso incidentale proposto dalla
lavoratrice, in quanto subordinato all’accoglimento dei motivi
relativi alla legittimità dell’apposizione del termine.
21. In conclusione, assorbito il ricorso incidentale, vanno
accolti il terzo e il quarto motivo del ricorso principale, mentre
vanno respinti tutti gli altri motivi dello stesso ricorso.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la

,

causa, in relazione alle censure accolte, va decisa nel merito,
previa declaratoria che tra le parti è intercorso un rapporto di
lavoro a tempo indeterminato a decorrere dal 1° settembre 1995,
e cioè dalla data del primo contratto successivo al verbale di
conciliazione, con condanna della RAI – come già disposto dalla
sentenza di primo grado, confermata in appello – al pagamento

10547/06; Cass. 4070/04), ma anche che il motivo di ricorso

12

. .’
Ò

delle retribuzioni a favore della Coiante, commisurate a quelle
del redattore ordinario, a decorrere dal 30 ottobre 2000, con gli
,

accessori di legge.
Avuto riguardo all’esito finale della lite, vanno confermate le
statuizioni sulle spese adottate dai giudici di merito, mentre
vanno compensate tra le parti le spese del presente giudizio.
P . Q .M .
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il terzo e il quarto motivo del
ricorso principale e rigetta gli altri. Dichiara assorbito il ricorso
incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, dichiara che tra le parti
è intercorso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a
decorrere dal 10 settembre 1995 e condanna la RAI al pagamento
delle retribuzioni maturate a favore di Coiante Valeria, a
decorrere dal 30 ottobre 2000, quale redattore ordinario, con gli
accessori di legge. Conferma le statuizioni sulle spese adottate
dai giudici di merito e compensa tra le parti le spese del presente
giudizio.
Così deciso in Roma in data 1 aprile 2015.

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