Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14252 del 13/07/2016
Cassazione civile sez. trib., 13/07/2016, (ud. 24/06/2015, dep. 13/07/2016), n.14252
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –
Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COOPERATIVA DI TRASFORMAZIONE DI PRODOTTI AGRICOLI MERCADANTE s. cop.
a r. l. in liquidazione, rappresentata e difesa dall’avv. Vito A.
Martelli e dall’avv. Agostino De Zordo, presso il quale e’
elettivamente domiciliata in Roma al Viale Umberto Tupini n. 133;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso
la quale e’ domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12;
– ccntroricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Puglia n. 52/8/07, depositata il 17 ottobre 2007;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24
giugno 2015 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco;
udito l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per la
controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GIACALONE Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilita’ ed in
subordine il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Cooperativa di trasformazione prodotti agricoli Mercadante s. a r.l. in liquidazione propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia che, rigettandone l’appello, ha confermato la fondatezza della pretesa avanzata con la cartella, notificata il 20 novembre 2004, di pagamento di IRPEG e ILOR per il 1996 emessa in base all’avviso di accertamento ad essa notificato il 30 dicembre 2002 e non impugnato.
L’Agenzia delle entrate ed il Ministero dell’economia e delle finanze resistono con controricorso.
In data 5 giugno 2015 il procuratore della ricorrente ha depositato visura alla Camera di commercio di Bari dalla quale risulta che la scoop. a r l. Mercadante e’ stata cancellata dal registro delle imprese il 4 marzo 2015.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio anzitutto rileva che nel giudizio di cassazione, che e’ dominato dall’impulso di ufficio, non sono applicabili le comuni cause interruttive previste dalla legge in generale, sicche’ la cancellazione dal registro delle imprese della societa’ ricorrente in data successiva alla proposizione del ricorso ed alla stessa costituzione in giudizio della societa’, come nella specie, non determina l’interruzione del processo (Cass. n. 3223 del 2014).
Con il primo motivo la ricorrente denuncia “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5″ l’insufficienza e la contraddittorieta’ della motivazione con la quale sarebbe stata rigettata l’eccezione relativa alla disparita’ di trattamento nell’accesso al condono di cui della L. n. 289 del 2002, art. 15, in ragione della data di notifica dell’avviso di accertamento.
Il motivo e’ inammissibile, in quanto, pur essendo espressamente formulata la censura come denuncia di un vizio di motivazione essa non contiene la “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”, secondo quanto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c..
Neppure in essa e’ ravvisabile un quesito di diritto accedente alla denuncia di una violazione di legge, in quanto la ricorrente si limita a porre una mera questione giuridica, per quanto non lineare, e non si duole della violazione di legge o della sua erronea applicazione da parte del giudice d’appello.
Con il secondo motivo, denunciando vizio di motivazione, assume che dovrebbe considerarsi illegittimo, alla luce della sent. n. 280 del 2005 della Corte costituzionale, il ruolo di cui alla cartella di pagamento impugnata, emessa nella vigenza del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, ritenuto incostituzionale nella versione in cui non prevedeva un termine decadenziale per la notifica al contribuente della cartella di pagamento.
Anche il secondo motivo e’ inammissibile in quanto, pur essendo espressamente formulata la censura come denuncia di un vizio di motivazione, essa non contiene la “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”, secondo quanto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c..
E’ appena il caso di rilevare, in proposito, che alla cartella esattoriale emessa a seguito di accertamento tributario divenuto definitivo, cane nella specie, “non e’ applicabile, in via analogica, il termine perentorio di notifica, decorrente dalla dichiarazione del contribuente, stabilito nel D.L. n. 106 del 2005, art. 1, coma 5 bis, lett. c), convertito, con modificazioni, della L. n. 156 del 2005, art. 1, in quanto tale previsione normativa, emanata in ossequio alla sentenza n. 280 del 2005 della Corte costituzionale, riguarda esclusivamente le cartelle relative alle liquidazioni, fondate su un’attivita’ di verifica meramente formale, eseguita ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, mentre in caso di accertamento definitivo, essendo la cartella preceduta da un’attivita’ istruttoria da compiere in termini decadenziali predeterminati, non si determina quella indefinita soggezione temporale alla verifica del fisco che la Corte costituzionale ha inteso censurare con la predetta sentenza” (Cass. n. 26055 del 2015).
Mentre, infatti, il detto D.L. n. 106 del 2005, con la disposizione dell’art. 1, comma 5 ter, della lett. c), ha introdotto nella disciplina a regime, novellando del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 1, il termine, per la notifica della cartella del “31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento e’ divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio”, nel caso in esame, che ha riguardo ad un’epoca successiva all’estate del 2001, epoca nel corso della quale era divenuto definitivo per mancata impugnazione l’avviso di accertamento, a seguito della modifica recata del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 1, con il D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193, art. 1, era stato soppresso ogni termine per la notifica della cartella ad opera del concessionario, “al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti del quale si procede”, di guisa che a quelle fattispecie rimaneva applicabile l’ordinario termine di prescrizione (Cass. n. 1388 del 2011, n. 6148 del 2009, cit., nonche’ Cass. n. 26055 del 2015 cit., in motivazione).
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle stese del giudizio, liquidate in Euro 7.500, oltre alle spese prenotate a debito.
Cosi’ deciso in Roma, il 24 giugno 2015.
Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2016