Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14248 del 07/06/2017

Cassazione civile, sez. VI, 07/06/2017, (ud. 27/04/2017, dep.07/06/2017),  n. 14248

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26275-2015 proposto da:

FRANCO VAGO S.P.A. – C.F. 06280060150, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VICO GIAMBATTISTA 22, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO

FRUSCIONE, che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente

agli avvocati RAFFAELLA VIANELLO e MARCO TURCI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, – C.F. (OMISSIS), in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 971/1/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di GENOVA, depositata il 23/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2017 dal Consigliere Dott. ROBERTO GIOVANNI

CONTI.

Fatto

FATTI E MOTIVI DELLA DECISIONE

La Franco Vago spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi contro la sentenza della CTR Liguria meglio indicata in epigrafe che ha confermato la legittimità degli atti di contestazione per irrogazione sanzioni in dipendenza dell’utilizzazione irregolare del deposito ai fini dell’esenzione dell’IVA all’importazione.

L’Agenzia delle dogane si è costituita con controricorso.

Con il primo motivo (indicato sub 2.1) si prospetta la violazione degli artt. 2 e 10 dir. CEE 77/388, 2 dir. CEE 2006/112/CE, 2 Reg. CEE 1553/1989, D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 17, 19, 23, 25, 60 e 67 nonchè l’illegittima duplica d’imposta.

Con il secondo motivo (indicato come 2.2) si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, L. n. 212 del 2000, art. 10, D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 13 e 20 e violazione del principio della proporzionalità della sanzione.

Con il terzo motivo – indicato come 2.3 – la ricorrente deduce la violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 4, lett. b) D.M. n. 419 del 1997, artt. 2, 3 e 4, D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 5 bis art. 16 Dir. CEE 388/1977, art. 157 Dir. CEE 2006/112 e da artt. 98 a 101 Reg. CEE n. 2913/1992.

I primi tre motivi meritano un esame congiunto e sono fondati nei limitati termini sotto specificati.

Va premesso che nel presente giudizio si discute unicamente delle sanzioni irrogate alla parte contribuente e non del diritto dell’erario a pretendere l’IVA non versata all’atto dell’ingresso dei beni in dogana. Ne consegue che l’affermazione, espressa dalla CTR, circa il fatto che l’importatore aveva assolto successivamente l’IVA all’atto dell’immissione della merce in libera pratica col sistema della c.d. autofatturazione non poteva che assumere rilievo, ai fini di escludere il pagamento del tributo non versato – non oggetto di contenzioso nel presente giudizio -, senza tuttavia incidere sul comportamento dell’importatore che non ha versato, come invece era tenuto a fare, l’IVA all’atto dell’introduzione dei beni senza immetterli materialmente nel deposito fiscale.

Questo è il senso da attribuire all’orientamento già espresso da questa Corte – cfr. Cass. n. 17815/2015 – alla cui stregua rimane fermo l’obbligo di immissione materiale dei beni in deposito – e la conseguente sanzione in caso di violazione ascrivibile all’importatore che abbia operato immettendo virtualmente i beni in deposito- pur escludendosi il pagamento del tributo IVA dovuto per l’importazione in caso di successiva autofatturazione. Ne consegue che rispetto al caso di specie la ricorrente è, per l’un verso, priva di interesse a prospettare le violazioni esposte nei motivi di censura con riguardo agli effetti dell’assolvimento dell’IVA in autofatturazione, nemmeno ravvisandosi una violazione della CTR nella parte in cui ha ritenuto dovute le sanzioni a carico della Franco Vago per effetto dell’immissione virtuale dei beni in deposito.

E’ stato infatti già chiarito che in tema di depositi fiscali, previsti dal D.L. 30 n. 331 del 1993, art. 50 bis convertito, con modificazioni, nella L. n. 427 del 1993, l’irregolare inserimento dei beni in deposito fiscale – c.d. deposito virtuale – non determina il venir meno della sanzione applicabile all’importatore che si avvalga in modo irregolare del sistema di sospensione del versamento dell’IVA senza immettere materialmente la merce nel deposito, dovendosi la stessa individuare, in assenza di disposizioni sanzionatorie speciali per l’omesso o ritardato versamento del tributo, non rinvenibili nè nel D.P.R. n. 43 del 1973 nè nel Reg. CEE n. 2913 del 1992 (codice doganale comunitario), nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13 che è norma di carattere generale, essendo l’IVA all’importazione un tributo interno – cfr. Cass. n. 16109/2015 -.

E’ invece fondata la censura esposta nel motivo 2.2 non risultando che la CTR si sia uniformata ai principi espressi da questa Corte in tema di quantificazione della sanzione D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 13 eventualmente irroganda in tema di proporzionalità, alla stregua dei principi espressi dalla sentenza Equoland-Corte giust. 17 luglio 2014, C-272/13-v. Cass.16109/2015 (p.12.8)-.

Il motivo 2.4, con il quale si prospetta la violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, comma 7 è inammissibile perchè privo di autosufficienza, non risultando dal ricorso nè il contenuto delle contestazioni della Franco Vago nè i verbali di constatazione, nemmeno evincendosi dove e quando tali atti siano stati depositati nel giudizio di merito.

Il motivo 2.5, con il quale si prospetta la violazione dell’art. 444 c.p.p. e l’errata valutazione della sentenza di patteggiamento nonchè la violazione del principio del ne bis in idem, è infondato.

Sul punto è sufficiente rinviare al contenuto delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo Kiwari c. Finlandia del 10.2.2015 e Grande Stevens c.Italia del 4.3.2014, in quanto la parte ricorrente, per avvalersi dei principi ivi espressi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di c.d. bis in idem – peraltro di recente ridimensionati, quanto alla materia fiscale, da Corte dir. uomo, Grande Camera, 15 novembre 2016, n. 24130/11-avrebbe dovuto dimostrare, a monte, l’identità anche solo sostanziale del fatto contestato in sede fiscale con quello oggetto della sentenza di patteggiamento relativa al reato di falso. Aspetto totalmente tralasciato dalla parte ricorrente.

La censura prospettata, inoltre, è inammissibile laddove ipotizza un’errata ponderazione del contenuto della sentenza di patteggiamento, non incidendo il tema di indagine sollecitato dalla ricorrente sulla questione della sanzione dovuta per l’irregolare inserzione della merce in deposito, nemmeno poi contestandosi la ratio della decisione rispetto agli effetti della sentenza di patteggiamento esposta dalla CTR, correlata all’autonoma valutazione dei fatti vagliati dal giudice penale da parte del giudice tributario.

In conclusione, in accoglimento dei primi tre motivi di ricorso nei limiti di cui alla motivazione sopra espressa, inammissibili i motivi 2.4 e 2.5, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR Liguria.

Il giudice del rinvio dovrà pertanto conformarsi ai principi espressi da questa Corte in tema di quantificazione della sanzione ex art.13 d.lgs.n.471/1997eventualmente irroganda da Cass.16109/2015 (p.12.8) in tema di proporzionalità, alla stregua dei principi espressi dalla sentenza Equoland-Corte giust. 17 luglio 2014, C-272/13-, altresì provvedendo sulle spese del giudizio.

PQM

 

Accoglie nei termini di cui in motivazione i primi tre motivi di ricorso, inammissibili i motivi 2.4 e 2.5.

Cassa la sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della CTR Liguria anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017

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