Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14245 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. III, 08/07/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 08/07/2020), n.14245

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13174/2018 proposto da:

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE REGGIO CALABRIA, in persona del

Direttore, legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI N. 36, presso lo studio

dell’avvocato ATTILIO COTRONEO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.C., C.C., in proprio e nella qualità di

amministratore di sostegno di D.A., domiciliati ex lege in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati

e difesi dall’avvocato SALVATORE COSTANTINO;

– controricorrenti –

e contro

D.A., REGIONE CALABRIA;

– intimati –

nonchè da:

REGIONE CALABRIA, in persona del Presidente della Giunta Regionale,

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PIETRO DELLA VALLE 4, presso lo studio dell’avvocato

STEFANO GORI, rappresentata e difesa dall’avvocato ANGELA MARAFIOTI;

– ricorrente incidentale –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE REGGIO CALABRIA, in persona del

Direttore Generale, legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI N. 36, presso lo studio

dell’avvocato ATTILIO COTRONEO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

D.A., D.C., C.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 390/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 27/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/02/2020 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria ricorre per la cassazione della sentenza n. 390/2017 della Corte d’Appello di Reggio Calabria, pubblicata il 27 giugno 2017, articolando cinque motivi, corredati di memoria.

Resistono con controricorso la Regione Calabria che propone altresì ricorso incidentale, basato su tre motivi, illustrati con memoria, nonchè D.C. e C.C., in proprio e nella qualità di amministratore di sostegno di D.A.. Sia l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria sia i coniugi D.C. e C.C. replicano, con autonomo controricorso, al ricorso incidentale. Anche D.C. e C.C. si sono avvalsi della facoltà di depositare memorie.

La ricorrente espone in fatto che D.C. e C.C., in proprio e quali titolari della responsabilità genitoriale nei confronti del minore D.A., convenivano in giudizio la Usl (OMISSIS), ritenuta responsabile sia della condotta negligente dei sanitari sia dell’inadeguatezza dei mezzi strumentali, chiedendone la condanna risarcitoria per tutti i danni patrimoniali e morali conseguenti ai gravi danni verificatisi in occasione del parto avvenuto presso l’ospedale civile di Taurianova.

Il G.I. disponeva la chiamata in giudizio del Direttore generale della AUSL n. (OMISSIS) di Palmi, subentrato nella titolarità dei rapporti giuridici facenti capo alle gestioni pregresse delle USL in virtù della L.R. n. 39 del 1996.

Si costituiva in giudizio la Asl (OMISSIS) di Palmi in persona del Commissario liquidatore che eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, assumendo che le nuove ASL non erano subentrate nei rapporti obbligatori nei quali erano parte le USL, la nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza, censurava la richiesta risarcitoria nel quantum e concludeva per l’assenza di ogni responsabilità del personale medico e della USL.

Il GI ordinava la chiamata in giudizio della Regione Calabria, per uniformarsi alla decisione a Sezioni Unite n. 1989/97 che aveva ritenuto che le funzioni di commissari liquidatori esercitate dai Direttori Generali delle ASL venivano svolte nell’interesse e per conto della Regione succeduta ex lege nei rapporti obbligatori delle soppresse USL.

La Regione Calabria, costituitasi, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, asserendo che essa spettasse agli organismi liquidatori delle ex Usi, contestava la pretesa nell’an e nel quantum.

La causa veniva decisa con sentenza n. 346/05, successivamente impugnata, in via principale, dalla Asl (OMISSIS) di Palmi e, in via incidentale, dagli appellati.

La pronuncia oggetto dell’odierna impugnazione, emessa dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, rigettava l’appello principale e, in parziale accoglimento di quello incidentale proposto dai coniugi D. e C., nella qualità indicata, rideterminava l’ammontare del danno biologico, portandolo ad Euro 1.204.882,00 e condannava al relativo pagamento, in solido, il Direttore generale dell’Asl n. (OMISSIS) di Palmi, nella veste di Commissario liquidatore della (ex) Gestione Stralcio-liquidatoria della soppressa USL 10, e la Regione Calabria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale dell’Azienda Provinciale di Reggio Calabria.

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 6,L. n. 724 del 1994, L. n. 549 del 1995, art. 2,D.L. n. 630 del 1996, artt. 1 e 2, convertito in L. n. 21 del 1997, nonchè della L. n. 8 del 2003, art. 22 e della L. n. 9 del 2007, art. 31, per avere la Corte territoriale ritenuto infondato il motivo d’appello con cui aveva fatto falere il proprio difetto di legittimazione passiva.

La tesi sottoposta all’attenzione di questa Corte è così sintetizzabile: premesso che le ASL non sono succedute ex lege alle soppresse USL e che la legittimazione sostanziale e processuale relativamente ai rapporti facenti capo alle ex USL spetta alle Regioni o alle Gestioni stralcio, appositamente istituite e rappresentate dai Direttori generali delle ASL in veste di Commissari liquidatori nell’esclusivo interesse della Regione, la Corte d’Appello, non avendo tenuto conto che i Direttori generali delle ASL non agiscono in rappresentanza della ASL, ma nell’esclusivo interesse delle Regione nella veste di Commissari liquidatori delle Gestioni Stralcio, atteso che la gestione liquidatoria ha unicamente finalità amministrativo-contabili, avrebbe fatto cattiva applicazione della giurisprudenza di questa Corte – SU n. 10135/2012 e n. 2208/2013 -pure espressamente richiamata; avrebbe errato, in particolare, non dichiarando il difetto di legittimazione passiva dell’ASL, non individuando nella Regione Calabria il solo soggetto legittimato a rispondere dei debiti della soppressa USL e, quindi, condannando in solido la Regione e la ASL n. (OMISSIS) di Palmi.

Nè avrebbe potuto condurre a conclusione diversa la L.R. Calabria n. 8 del 2003, art. 22, a mente del quale “la legittimazione attiva e passiva per le controversie inerenti la gestione liquidatoria è attribuita alle Aziende Sanitarie competenti per territorio, perchè la legge regionale non può porsi in contrasto con quella nazionale e perchè la sentenza di questa Corte regolatrice, n. 6208/2013, riportata in alcuni passaggi dal giudice d’Appello, ha comunque precisato che essa va interpretata in conformità al principio stabilito dalla L. n. 724 del 1994.

2. Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza gravata per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 111 Cost., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per contraddittorietà della motivazione in ordine alla legittimazione passiva delle ASP: dopo aver individuato nella Regione Calabria il soggetto succeduto ex lege nei rapporti delle disciolte USL la sentenza impugnata ha condannato in solido l’ASL n. (OMISSIS) di Palmi, confermando la legittimazione passiva del Direttore Generale dell’ASL in veste di Commissario liquidatore della Gestione Stralcio liquidatoria, per di più, mai convenuto in giudizio.

2.1. I primi due motivi, in quanto strettamente connessi dal punto di vista logico e giuridico, possono essere esaminati unitariamente.

Ad avviso di questo Collegio sono infondati.

La Corte territoriale ha effettuato una ricostruzione corretta degli arresti giurisprudenziali che hanno affrontato questa tematica, rapportandola in modo del tutto condivisibile agli interventi della normativa regionale e nazionale.

Più volte questa Corte regolatrice, infatti, ha affrontato il problema della legittimazione processuale e sostanziale in ordine ai rapporti obbligatori facenti capo alle ex Usl, confrontandosi, in particolare, con la legislazione regionale della Calabria (Cass. 13/03/2013, n. 6208). In sintesi, il contesto normativo è così ricostruibile:

– Il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (emanato sulla base della L. 23 ottobre 1992, n. 241, di delega per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego e di finanza territoriale) ha realizzato il riordinamento della disciplina in materia sanitaria, con la soppressione delle USL e l’istituzione delle Aziende Unità Sanitarie Locali, aventi natura di “Enti strumentali della Regione, dotati di personalità giuridica pubblica di autonomia organizzativa amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica” (art. 3).

– La L. 23 dicembre 1994, n. 724, con l’art. 6, comma 1, ha disposto che “in nessun caso è consentito alle Regioni far gravare sulle Aziende di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni, nè direttamente, nè indirettamente, i debiti e i crediti facenti capo alle gestioni pregresse delle Unità Sanitarie Locali. A tal fine le Regioni dispongono apposite gestioni a stralcio, individuando l’ufficio responsabile delle medesime”.

– La L. 28 dicembre 1995, n. 549, con l’art. 2, comma 14, ha stabilito che “per l’accertamento della situazione debitoria delle Unità Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere al 31 dicembre 1994, le Regioni attribuiscono ai Direttori Generali delle istituite Unità Sanitarie Locali le funzioni di Commissari Liquidatori delle soppresse Unità Sanitarie Locali comprese nell’ambito delle rispettive aziende. Le Gestioni a Stralcio di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 1, sono trasformate in Gestioni Liquidatorie”.

– Le Aziende Ospedaliere in Calabria sono state previste dalla L.R. 12 novembre 1994, n. 26 (“Istituzione delle Unità Sanitarie Locali ed Aziende ospedaliere”).

Dal complesso normativo sopra indicato, emerge l’esclusione di ogni ipotesi di successione in universum ius delle ASL alle preesistenti USL e l’obbligo delle Regioni di assumere a proprio carico, mediante apposite “Gestioni Stralcio”, i debiti pregressi delle USL, sorti prima del 31.12.1994.

Le predette “Gestioni Stralcio” sono rimaste di pertinenza delle Regioni, conservando la natura di organi regionali, anche quando hanno subito la trasformazione in “Gestioni Liquidatorie”, con conseguente attribuzione ai direttori generali delle aziende sanitarie locali delle funzioni di commissari liquidatori.

Ciò non ha determinato, secondo un orientamento giurisprudenziale costante, la legittimazione a resistere delle Regioni per i debiti pregressi delle disciolte USL, ma quella delle “Gestioni Liquidatorie”, che, sebbene prive di personalità giuridica ed ancorchè operanti come propaggini dell’ente Regione, esprimono una propria autonomia funzionale, amministrativa e contabile nonchè una propria capacità processuale – sia pure limitata alla gestione delle vicende come quelle per cui è causa – per il tramite dei direttori generali delle ASL, nella qualità di commissari liquidatori (ex plurimis: Cons. Stato 14/06/2017, n. 2922; Cons. Stato. 08/03/2016, n. 458; Cons. Stato 10/02/2004 n. 486).

Va di conseguenza ribadito quanto più volte affermato da questa Corte (sent. n. 2676 del 11/02/2004) e cioè che “nei rapporti obbligatori facenti capo alle disciolte UU.SS.LL. sono succedute le Gestioni Stralcio, dotate di autonomia amministrativa e contabile nonchè di soggettività ed autonomia processuale, sicchè, in relazione ai suddetti rapporti attivi e passivi l’Azienda Sanitaria Locale della Regione è priva di legittimazione sostanziale e processuale”; sostanzialmente nello stesso senso si veda già Sez. Un., Sentenza del 30/11/2000, n. 1237, secondo cui “a norma della L. n. 724 del 1994, art. 6 (prevedente che in nessun caso le Regioni possono far gravare sulle neo costituite aziende unità sanitarie locali i debiti già facenti capo alle soppresse unità sanitarie locali), sì è realizzata una successione “ex lege” della Regione nei rapporti obbligatori già di pertinenza delle USL, attraverso la creazione di apposite gestioni stralcio, fruenti della soggettività dell’ente soppresso (prolungata durante la fase liquidatoria) e rappresentate dal direttore generale delle neo costituite AUSL, che, in veste di commissario liquidatore, agisce nell’interesse della Regione”.

Ne consegue che la legittimazione processuale attiva e passiva e, in particolare la legittimazione ad impugnare la sentenza resa nei confronti di una USL, spetta non già alla AUSL subentrante, bensì alla USL soppressa, la cui soggettività continua nella gestione stralcio per tutta la fase liquidatoria, ovvero in concorso alla Regione nella sua qualità di successore a titolo particolare nei rapporti delle ex USL (Cass. 13/03/2013, n. 6208; Cass. 26/01/2010, n. 1532), precisandosi che il direttore generale della AUSL è organo di rappresentanza della gestione stralcio (Cass. 04/08/2009, n. 17913).

In conclusione, dei debiti della soppressa USL (OMISSIS) risponde la Regione Calabria, ma non era precluso convenire in giudizio il direttore della ASL n. (OMISSIS) non in proprio, ma quale titolare della gestione stralcio della disciolta USL: che è quanto nella specie è avvenuto (cfr. in tal senso Cass. 21/07/2016, n. 15000).

3. Con il terzo motivo la ricorrente imputa al giudice a quo la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

La censura riguarda il mancato accoglimento, per riscontrata aspecificità, del motivo di appello relativo alla liquidazione del danno patrimoniale che sarebbe avvenuta, da parte del Giudice di prime cure, in assenza dell’assolvimento del relativo onere probatorio da parte dei richiedenti. Secondo la Azienda Sanitaria Provinciale sarebbe stato oggettivamente impossibile argomentare in maniera più specifica sul motivo di impugnazione, perchè era stato contestato che il danno fosse stato provato e non esistevano in atti elementi di valore indiziario da confutare specificamente ed analiticamente nè la Corte d’Appello avrebbe dovuto ignorare la giurisprudenza di legittimità che richiede che il danno patrimoniale sia rigorosamente provato.

Va ribadito che, per giurisprudenza consolidata il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, che si fonda sull’esigenza di astensione da parte del giudice di legittimità dalla ricerca del testo completo degli atti processuali attinenti al vizio denunciato e sulla responsabilità in capo al ricorrente in ordine alla redazione dell’atto introduttivo del giudizio, vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito; ne consegue che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., conseguente alla declaratoria di inammissibilità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati. (Cass. 10/01/2012, n. 86).

La Azienda Provinciale Ospedaliera si è limitata a indicare (p. 12 e p. 14) di avere rilevato la mancanza di prova tout court del danno patrimoniale a p. 9, dal 4 capoverso fino alla prima parte del 6, dell’atto di appello. Ribadito che questa Corte non è tenuta a procedere ad un esame dei fascicoli d’ufficio o di parte ove tali atti siano, si rileva che la ricorrente continua ad insistere sull’assenza di elementi anche di natura indiziaria circa la ricorrenza del danno patrimoniale che il danneggiato aveva l’onere di offrire, in contrasto con le risultanze di causa, ed a confermare indirettamente con le proprie argomentazioni – a p. 14 afferma “ogni ulteriore argomentazione sarebbe stata oggettivamente impossibile, proprio perchè, sul danno patrimoniale, mancava la prova in radice e non esistevano in atti neanche elementi, aventi quantomeno un valore indiziario, da contestare specificamente ed analiticamente. L’unica contestazione che l’Azienda ricorrente poteva sollevare era esattamente quella relativa alla totale assenza di prova che imponeva il rigetto della domanda” – per un verso, la genericità del motivo di appello, per altro verso, la sua infondatezza, tenuto conto della avvenuta dimostrazione della necessità dell’assistenza, del prolungarsi nel tempo di essa nonchè della possibilità, come già rilevato, di ricorso alla valutazione equitativa per sopperire alla difficoltà di prova del quantum.

La censura si rileva, dunque, inammissibile.

4. Con il quarto motivo la ricorrente rileva la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 1223 e 1226 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nonchè violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione agli artt. 1223 e 1226 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 11 Cost., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Questo motivo, quanto all’avvenuto riconoscimento del danno patrimoniale per spese di assistenza personale e di cura, non è scrutinabile per il mancato accoglimento del motivo precedente.

In merito alla censura relativa al fatto che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto di quanto spettante ed ottenuto dalla vittima a titolo di indennità di accompagnamento, nè dei benefici previsti dalla legislazione regionale in materia di assistenza domiciliare, applicabili d’ufficio, in base al principio iura novit curia, se i presupposti di applicabilità risultano dagli atti e dell’erogazione delle cure e delle terapie da parte del servizio sanitario nazionale, si dimostra inammissibile.

Va premesso che non è stato dimostrato che vi fossero in atti gli elementi necessari affinchè il giudice, in applicazione del principio iura novit curia, provvedesse d’ufficio in tal senso.

Perciò, deve ritenersi che siano stati prospettati argomenti nuovi che richiederebbero nuove indagini ed accertamenti di fatto – il diritto della vittima ai benefici spettanti a titolo di indennità di accompagnamento e di assistenza domiciliare, agli emolumenti previdenziali ed assistenziali – non compiuti dal giudice di merito (Cass. 13/9/2007, n. 19164); il che è sufficiente a rendere il motivo inammissibile perchè i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo deducibili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito nè rilevabili d’ufficio. Non essendovi cenno di tali questioni nella sentenza impugnata che, invece, ha rigettato il motivo di appello per genericità ed aspecificità, il ricorrente, in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso e a pena di inammissibilità dello stesso, aveva l’onere non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche di riportare dettagliatamente in ricorso gli esatti termini in cui la questione era stata posta da lui in primo e secondo grado e di indicare in quali atti del giudizio precedente lo avesse fatto (Cass. 10/05/2005, n. 9765; Cass. 18/10/2013, n. 23675).

Le altre censure mosse alla sentenza impugnata non sono ammissibili: a) il denunciato travisamento della CTU, ove provato, porterebbe alla revocazione della sentenza, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, configurando un’ipotesi di travisamento dei fatti processuali, ma non ne giustificherebbe la cassazione, come preteso (cfr. ex multis Cass. 08/02/2019, n. 3867); b) la denunciata violazione dell’art. 116 c.p.c. – concepibile solo: a) se il giudice di merito valuti una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria; b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola – non è stata argomentata in alcun modo.

Per concludere, il motivo è inammissibile.

5. Con il quinto ed ultimo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 preleggi, artt. 1226,2056 e 2059 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Tenuto conto che all’epoca dei fatti non esistevano parametri uniformi di liquidazione del danno non patrimoniale, che ogni Tribunale aveva elaborato delle proprie tabelle applicate con elasticità, il Giudice di prime cure liquidando il danno biologico in Euro 400.000,00 ed il danno morale in Euro 300.000,00 non sarebbe incorso in errore e che la controparte non aveva contestato il criterio equitativo, ma solo la quantificazione inferiore rispetto alle tabelle in uso presso il Tribunale e rispetto a quelle in uso presso altri uffici giudiziari, la Corte territoriale avrebbe dovuto solo verificare se il Tribunale era o meno obbligato ad attenersi alle tabelle in uso o se poteva determinare equitativamente il danno nella sua discrezionalità; invece, violando il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ed il principio tempus regit actum, dato che il Tribunale non avrebbe potuto utilizzare un criterio di liquidazione all’epoca di fatto inesistente, si era reputata investita dell’intero tema del criterio utilizzato in prime cure per la determinazione del danno biologico e, modificando i criteri liquidativi utilizzati dal primo giudice, aveva d’ufficio applicato le tabelle di Milano.

Il motivo è infondato.

Non ricorre la dedotta violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato perchè gli appellanti incidentali avevano sottoposto all’attenzione della Corte d’appello la questione della sottostima della liquidazione del danno non patrimoniale, a sostegno della quale avevano addotto il confronto con le tabelle di altri Tribunali, compreso quello di Teramo.

La Corte d’Appello ha perciò applicato un sistema liquidatorio, quello delle tabelle milanesi, coerente con i principi cui deve informarsi la valutazione equitativa del danno biologico che garantisca un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto ed anche l’uniformità di giudizio dinanzi a casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici vengano liquidati in misura diversa sol perchè esaminati da differenti uffici giudiziari Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale – e al quale la S.C., in applicazione dell’art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c. – salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono (cfr. Cass. 07/06/2011, n. 12408).

Sotto altro profilo, come chiarito proprio di recente da questa Corte, il criterio di liquidazione del danno non patrimoniale attraverso le tabelle rappresenta “soltanto la espressione della misura monetaria della perdita di validità biologica ritenuta più adeguata a garantire il ristori dell’effettivo danno patito, rispetto ad altri criteri affidati alla c.d. discrezionalità pura cui il giudice avrebbe potuto ricorrere al momento di procedere alla aestimatio” (Cass. 11/11/2019, n. 28990).

Quindi, non è fondato l’argomento basato sul principio tempus regit actum: “il criterio di liquidazione equitativa non è elemento costitutivo della fattispecie risarcitoria scrutinata nella dimensione sostanziale dell’illecito civile. Il diritto al risarcimento del danno ha per oggetto un credito di valore che richiede di essere determinato nel suo ammontare attraverso l’attività di liquidazione volta a trasporre in valuta – ossia in una espressione monetaria – quello che viene stimato essere il valore non patrimoniale del bene- salute leso. Ne segue che il valore del credito che entra a far parte del patrimonio del danneggiato, non è predeterminato nel suo ammontare, occorrendo necessariamente fare ricorso al potere di equità integrativa del giudice” (Cass. 11/11/2019, n. 28990).

Ricorso incidentale della Regione Calabria

6. Con il primo motivo la Regione Calabria deduce la violazione degli artt. 100,110 e 334 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Secondo la Regione Calabria, essendo stato l’appello principale proposto in proprio dall’ASL n. (OMISSIS) in persona del Direttore Generale pro tempore che non era stata parte nel relativo giudizio di primo grado e non avendo essa per legge alcuna legittimazione nè sostanziale nè processuale in materia di poste creditorie e debitorie dell’ex Usl (OMISSIS), l’appello principale avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile e gli appelli incidentali della Regione Calabria e di D. e C. inefficaci, poichè entrambi tardivi.

7. Con il secondo motivo la Regione imputa alla sentenza gravata la violazione degli artt. 100 e 334 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

L’ASI n. (OMISSIS) in proprio non aveva alcun interesse alla pronuncia dato che il legislatore regionale aveva previsto che le sopravvenienze attive e passive delle precedenti gestioni liquidatorie erano confluite in una apposita gestione a stralcio, perciò il Giudice d’Appello avrebbe dovuto dichiarare carente l’interesse ad agire dell’appellante principale ed inefficaci gli appelli incidentali tardivi.

8. Con il terzo ed ultimo motivo la Regione censura la decisione di merito per violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Pur avendo la giurisprudenza di legittimità riconosciuto che la mancata applicazione delle tabelle può essere fatta valere in sede di legittimità come vizio di violazione di legge, è necessario, pena la violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., che la parte lo abbia chiesto espressamente. Perciò, non avendo D.C. e C.C. specificamente lamentato la mancata liquidazione del danno secondo le tabelle di Milano, essendo stato fatto riferimento ad esse solo a titolo esemplificativo, per dimostrare l’insufficienza della liquidazione operata dal Tribunale di Palmi in quanto non in linea con le tabelle vigenti presso lo stesso tribunale e comunque inferiore alla cifra risultante dalla media degli importi calcolati in applicazione delle tabelle in uso presso vari tribunali, e non al fine di invocarne l’applicazione, il giudice di appello avrebbe dovuto verificare se il criterio equitativo puro avesse tenuto nel debito conto le circostanze del caso concreto oppure se la liquidazione dovesse essere insufficiente in ragione della particolari gravità della fattispecie oggetto di esame, mentre, invece, aveva imposto l’applicazione delle tabelle di Milano, aggiornate al 2014, facendo erronea applicazione del principio iura novit curia e travalicato i limiti della domanda.

9. Prima di scrutinarne i motivi vanno affrontate le eccezioni di inammissibilità del ricorso incidentale sollevate dalla Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria: a) per violazione del principio del contraddittorio, in ragione della omessa impugnazione della sentenza nei confronti di D.A., litisconsorte necessario, divenuto maggiorenne nelle more del giudizio di appello; b) per la novità degli argomenti, quanto ai primi due motivi.

9.1. L’eccezione sub lett. a) non merita accoglimento.

La censura non considera:

a) che se più attori agiscono in un unico processo ai sensi dell’art. 103 c.p.c., comma 1 – come è avvenuto nella specie, in cui più danneggiati, i coniugi D. e C. e il figlio, dapprima rappresentato ex lege dai primi, in quanto titolari della responsabilità genitoriale, e successivamente, una volta divenuto maggiorenne, rappresentato dal suo amministratore di sostegno, individuato nella madre – per il ristoro dei danni da ciascuno subiti – le cause, connesse, sono scindibili ed il litisconsorzio che si instaura tra di esse è facoltativo.

In tal casi occorre distinguere tra proposizione del ricorso e notifica dello stesso. Costituisce principio consolidato quello secondo cui “in un giudizio svoltosi con pluralità di parti in causa scindibile, la proposizione del ricorso per cassazione nei confronti di talune soltanto delle parti processuali non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti delle altre parti del giudizio di merito non destinatarie dell’impugnazione, non assumendo alcun rilievo la circostanza che il ricorso sia stato notificato anche a queste ultime: la notificazione prevista dall’art. 332 c.p.c., non contiene infatti una vocatio in ius, ma ha valore di semplice litis denuntiatio, volta a far conoscere ai destinatari l’esistenza di un’impugnazione, al fine di consentire loro di proporre impugnazione in via incidentale nello stesso processo, qualora la stessa non sia esclusa o preclusa” (Cass. n. 9002/2007).

Nel caso di specie, la ASL (OMISSIS) di Palmi riconosce che il ricorso incidentale è stato proposto “nei confronti di D.C. e C.C., in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sul figlio, D.A.”, perciò ciò che lamenta non è la proposizione del ricorso incidentale nei confronti di solo alcune parti processuali – ipotesi che, comunque, avrebbe dato luogo al passaggio in giudicato della sentenza nei confronti di D.A. – ma la mancata notificazione del ricorso incidentale personalmente nei confronti di D.A., divenuto maggiorenne.

Tanto premesso, la questione sottoposta all’attenzione di questa Corte va risolta sulla scorta dei seguenti principi:

a) la ratio delle norme dettate in tema di esatta individuazione del soggetto processuale, destinato ad assumere la veste di parte nel giudizio è quella di garantire al medesimo la conoscenza (o la conoscibilità) della potenziale instaurazione di un giudizio civile a suo carico ed essa resta senz’altro soddisfatta se al requisito della sola legale conoscibilità si sostituisce quello della avvenuta, effettiva conoscenza da parte dell’interessato della vicenda processuale che lo riguarda. E ciò sotto l’aspetto soggettivo, mentre sotto quello della sistematica e delle vicende dell’atto processuale, che pure assume rilievo perchè in questa sede si discute della sua valida o meno proposizione e valida o meno notificazione, a parere del Collegio, è opportuno rilevare che in via generale l’efficacia sanante di un atto invalido (nella specie, di natura processuale) sia un principio immanente dell’ordinamento, in quanto strettamente connesso al principio di conservazione di ogni atto giuridico, e sia ispirato ad una visione, ormai positivizzata a livello costituzionale (art. 111 Cost., comma 1), che rafforza la finalità con cui nel codice di procedura civile sono indicate le norme in tema di esatta individuazione del soggetto processuale, che è chiamato ad assumere la veste di parte nel giudizio;

b) si può affermare, quindi, che, alla luce del c.d. giusto processo, la voluntas legis circa le ipotesi anche giurisprudenziali di sanabilità, per quanto possibile, di un atto invalido, deve essere interpretata nel senso che il legislatore, ormai, ha superato una visione formalistica del contraddittorio, intervenendo su di esso con la prospettiva di assicurare, avanti al giudice, che esso si svolga tra le parti che effettivamente dimostrino di avervi interesse e che al riguardo non è più rilevante la astratta conoscibilità o non conoscibilità della instaurazione del giudizio, qualora si verifichi la avvenuta, effettiva conoscenza da parte del soggetto erroneamente pretermesso della vicenda processuale che lo interessa (Cass. 21/11/2011, n. 24450).

Ne consegue che è ammissibile il ricorso incidentale notificato non al minorenne nel frattempo divenuto maggiorenne, bensì ai suoi genitori nella qualità di esercenti la responsabilità genitoriale, la nullità scaturente da tale vizio di notifica risultando sanata mediante il controricorso con cui D.C. e C.C., in proprio e nella qualità di amministratore di sostegno di D.A., si sono difesi rispetto al ricorso incidentale. Tale difesa dimostra l’avvenuta, effettiva conoscenza del ricorso incidentale anche da parte di D.A.. In una ipotesi non dissimile – Cass. 18/04/2006, n. 8930 – questo Collegio ha ritenuto ammissibile l’impugnazione (nella specie, si trattava di una citazione in appello) proposta nei confronti di minore d’età divenuto maggiorenne nel corso del precedente giudizio, nonostante il gravame fosse stato notificato non a quest’ultimo personalmente, bensì ai suoi genitori nella qualità di esercenti la potestà, ritenendo la nullità scaturente da tale vizio di notifica sanata mediante costituzione in giudizio dell’interessato.

9.2. Va accolta, invece, l’eccezione di inammissibilità dei primi due motivi di ricorso incidentale per la novità delle questioni sollevate.

Nè dalla sentenza impugnata, che pure ha ricostruito in maniera puntuale e circostanziata il contenuto dell’appello incidentale proposto dalla Regione Calabria (cfr. p. 2., p. 11 ss.), nè dalla ricostruzione formulata nel ricorso incidentale (p. 4) si deduce la sottoposizione alla Corte d’Appello della questione del difetto della legittimazione ad impugnare la sentenza di prime cure da parte dell’Asl (OMISSIS) di Palmi e di quella, collegata, relativa alla carenza della ricorrente principale ad impugnare la sentenza di prime cure con conseguente inammissibilità dell’appello principale ed inefficacia di quelli incidentali tardivi.

Quand’anche la questione fosse stata esaminabile, essa sarebbe risultata infondata, essendo stato chiarito a p. 4 della sentenza, che la chiamata in causa dell’AUSL N. (OMISSIS) da parte del GI, provvedimento del 14 ottobre 1998, era stata disposta in persona del direttore generale quale commissario liquidatore e legale rappresentante della gestione stralcio-liquidatoria della soppressa Usl e l’ASL (OMISSIS), costituendosi in giudizio, aveva espressamente dichiarato che il legale rappresentante si identifica con il commissario liquidatore, il quale è anche Direttore generale della Asl. In aggiunta, la Delib. 4 aprile 2006, n. 065/DG, del Direttore generale con cui era stata decisa la costituzione in giudizio faceva espresso riferimento al Dirigente dell’U.O. della ex Gestione liquidatoria.

Del resto, la giurisprudenza richiamata ha confermato “la legittimazione sostanziale e processuale degli organi ordinari delle ASL in rappresentanza delle gestioni liquidatorie ed in concorso con la legittimazione spettante alla Regione, conformemente ai principi della legge statale di riferimento (Cass. n. 6208/2013).

10. Il motivo numero tre è infondato, per le stesse ragioni per cui è stato ritenuto immeritevole di accoglimento il motivo numero cinque del ricorso principale che proponeva la medesima censura e pressochè con le medesime argomentazioni.

11. Pertanto, sia il ricorso principale che quello incidentale devono essere rigettati.

12. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale.

Compensa le spese tra l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria e la Regione Calabria.

La ricorrente principale e quella incidentale sono condannate ciascuna per proprio conto a pagare le spese in favore di D.A. e C.C., nella qualità indicata, liquidate in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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