Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14243 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 25/05/2021, (ud. 16/02/2021, dep. 25/05/2021), n.14243

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 02408/2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore

pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato (C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, Via dei

Portoghesi 12, è domiciliata;

– ricorrente –

Contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5829/34/2014 della Commissione tributaria

Regionale della Campania, depositata il 15/06/2015;

Udita la relazione svolta nella camera di Consiglio del 16/02/2021

dal Consigliere Dott. Pepe Stefano.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. La (OMISSIS) s.r.l. impugnava il diniego opposto dall’Agenzia dell’entrate all’istanza presentata il 1.3.2012 con la quale richiedeva il rimborso della tassa di concessione governativa versata negli anni di imposta 2008, 2009, 2010 e 2011 relativamente all’abbonamento per la telefonia mobile aziendale stipulato con il gestore Telecom Italia s.p.a. In proposito, la società contribuente contestava l’illegittimità del diniego opposto essendo venuto meno, per effetto della liberalizzazione del settore ad opera del D.Lgs. n. 259 del 2003, il presupposto applicativo della tassa sulle concessioni governative di cui al D.P.R. n. 641 del 1972, tariffa allegata, art. 21.

2. La CTR della Campania, con sentenza n. 5829/34/2014, depositata il 15/06/2015, in parziale riforma della decisione di primo grado, accoglieva l’originario ricorso della contribuente limitatamente alle somme per le quali quest’ultima non era incorsa nella decadenza.

3. Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. La Società è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La ricorrente lamenta che la CTR nell’affermare non dovuta la tassa sulla concessione governativa oggetto dell’istanza di rimborso, non ha tenuto conto di quanto dedotto dall’Amministrazione e, in particolare, della circostanza che la debenza della tassa in esame trovava ragione nel contratto di abbonamento telefonico sottoscritto dalla contribuente assumendo all’uopo rilievo la pronuncia di questa Corte n. 23052 del 2012. In ragione ciò, la sentenza della CTR sarebbe, sul punto, priva di motivazione.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 151 del 199, art. 3 e del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, così come interpretati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 9560 del 2014 secondo cui – anche alla luce della norma interpretativa di cui al D.L. n. 4 del 2014, art. 2, comma 4, conv. con modif. in L. n. 50 del 2014 – la tassa oggetto del presente giudizio risulta non in contrasto con la normativa comunitaria e, pertanto, dovuta.

3. I due motivi, da trattarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione, sono fondati.

La sentenza della CTR fonda la non debenza della tassa di concessione governativa relativa all’abbonamento per la telefonia mobile sottoscritto dalla contribuente sulla base dell’ordinanza interlocutoria (Cass. n. 12052 del 2013), con la quale questa Corte aveva rimesso alle Sezioni Unite l’esame della questione avente ad oggetto una istanza di rimborso proposta da diversi enti locali afferente alla tassa di concessione governativa per l’utilizzo di apparecchiature radiomobili terrestri.

L’istanza in esame si fondava sull’intervenuta abrogazione, per effetto dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 259 del 2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), il quale aveva liberalizzato il settore delle radiocomunicazioni e soppresso le autorizzazioni amministrative precedentemente richieste. Le amministrazioni comunali avevano, infatti, sottoscritto vari contratti di abbonamento al servizio di telefonia mobile e avevano pagato, tramite il gestore telefonico, non solo il costo dell’abbonamento, ma anche la predetta tassa di concessione governativa.

In particolare, l’ordinanza interlocutoria – dopo aver richiamato la sentenza n. 23052 del 2012 (riportata nel ricorso dalla ricorrente) che aveva affermato il principio la sopravvivenza della tassa di concessione governativa sugli abbonamenti telefonici cellulari, anche dopo l’entrata in vigore del Codice delle comunicazioni elettroniche – ha posto in dubbio tale affermazione affermando che “la disciplina dei telefoni cellulari è contenuta non nel D.Lgs. n. 259 del 2003 (codice delle comunicazioni elettriche), ma nel D.Lgs. n. 269 del 2001, testo che non subordina l’uso del telefono ad alcuna licenza amministrativa. Ne consegue che la tassa sui telefoni prevista dal D.P.R. n. 641 del 1972, Tariffa allegata, art. 21, deve ritenersi abrogata non perchè sia stata soppressa della norma che prevede la suddetta licenza (il codice postale, art. 318, è stato infatti trasfuso nel codice delle comunicazioni elettroniche, art. 160), ma perchè ne è mutato l’ambito di applicazione, in quanto oggi è subordinato al rilascio di licenza l’uso delle sole stazioni radioelettriche diverse dai telefoni, mentre non lo è l’uso di questi ultimi”.

Le Sezioni Unite hanno risolto il dubbio interpretativo sopra riportato con la sentenza n. 9560 del 2014 e ha affermato il principio secondo cui “In tema di radiofonia mobile, l’abrogazione del D.P.R. 28 marzo 1973, n. 156, art. 318, ad opera del D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, art. 218, non ha fatto venire meno l’assoggettabilità dell’uso del “telefono cellulare” alla tassa governativa di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, tariffa allegata, art. 21, in quanto la relativa previsione è riprodotta nel D.Lgs. n. 259 cit., art. 160. Va, infatti, esclusa – come anche desumibile dalla norma interpretativa introdotta con il D.L. 24 gennaio 2014, n. 4, art. 2, comma 4, conv. con modif. in L. 28 marzo 2014, n. 50, che ha inteso la nozione di stazioni radioelettriche come inclusiva del servizio radiomobile terrestre di comunicazione – una differenziazione di regolamentazione tra “telefoni cellulari” e “radio-trasmittenti”, risultando entrambi soggetti, quanto alle condizioni di accesso, al D.Lgs. n. 259 cit. (attuativo, in particolare, della direttiva 2002/20/CE, cosiddetta direttiva autorizzazioni), e, quanto ai requisiti tecnici per la messa in commercio, al D.Lgs. 5 settembre 2001, n. 269 (attuativo della direttiva 1999/5/CE), sicchè il rinvio, di carattere non recettizio, operato dalla regola tariffaria deve intendersi riferito attualmente all’art. 160 della nuova normativa, tanto più che, ai sensi del medesimo D.Lgs., art. 219, dalla liberalizzazione del sistema delle comunicazioni non possono derivare “nuovi o maggiori oneri per lo Stato”, e, dunque, neppure una riduzione degli introiti anteriormente percepiti. Nè, in ogni caso, l’applicabilità di siffatta tassa si pone in contrasto con la disciplina comunitaria attesa l’esplicita esclusione di ogni incompatibilità affermata dalla Corte di giustizia (CGCE, 12 dicembre 2013 in C-335/2013)”.

Detta sentenza – dopo aver escluso l’incompatibilità della tassa di concessione governativa sui telefoni cellulari con il diritto comunitario ha esaminato il quadro normativo di riferimento e così rilevato:

a) L’abrogazione del Codice postale (D.P.R. n. 156 del 1973), art. 318 (Licenza di esercizio) non comporta alcuna conseguenza, in quanto il contenuto di tale norma (“Presso ogni singola stazione radioelettrica di cui sia stato concesso l’esercizio deve essere conservata l’apposita licenza rilasciata dall’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni. Per le stazioni riceventi del servizio di radiodiffusione il titolo di abbonamento tiene luogo della licenza”) risulta integralmente trasfuso – salva la sostituzione, necessitata dalla liberalizzazione del settore, del riferimento alla concessione con il riferimento alla licenza – nel D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 160 (Licenzia di esercizio) “1. Presso ogni singola stazione radioelettrica per la quale sia stata conseguita l’autorizzazione generale all’esercizio deve essere conservata l’apposita licenza rilasciata dal Ministero. 2. Per le stazioni riceventi del servizio di radiodiffusione il titolo di abbonamento tiene luogo della licenza”,

b) Allo stesso modo deve escludersi che vi sia stata un’abrogazione tacita del D.M. n. 33 del 1990 (Regolamento concernente il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione), integrato con il D.M. n. 512 del 1993, che ha incluso i telefoni cellulari nell’ambito delle stazioni radioelettriche soggette licenza d’uso, stabilendo altresì l’equivalenza tra licenza d’uso e abbonamento (cfr. art. 3: “Spetta alla società concessionaria SIP provvedere al rilascio all’utente del documento che attesta la sua condizione di abbonato al servizio; tale documento, che sostituisce a tutti gli effetti la licenza di stazione radio (…)”.

c) Il Codice postale, art. 318, e il D.M. n. 33 del 1990, art. 3, costituivano la base normativa su cui il legislatore, con il D.L. n. 51 del 1991, art. 3, conv. con modif. con la L. n. 202 del 1991, ha assoggettato alla tassa di concessione governativa l’uso del telefono cellulare, inserendo nel D.P.R. n. 641 del 1972, Tariffa allegata, la voce 131 (ora abrogata ed il cui disposto è attualmente riprodotto nell’art. 21 della stessa Tariffa); voce che, appunto, includeva tra gli atti soggetti alla tassa di concessione governativa la “licenza o documento sostitutivo della stessa per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione (D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 318 e D.L. 13 maggio 1991, n. 151, art. 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 202): per ogni mese di utenza: a) utenze residenziali, b) utenze affari”;

d) Il quadro normativo non è cambiato con l’adozione dei decreti legislativi, attuativi delle direttive comunitarie di settore, n. 269 del 2001 (“Attuazione della direttiva 1999/5/CE riguardante le apparecchiature radio, le apparecchiature terminali di telecomunicazione ed il reciproco riconoscimento della loro conformità”) e n. 259 del 2003 (“Codice delle comunicazioni elettroniche”).

In particolare, disattendendo le argomentazioni sviluppate nell’ordinanza interlocutoria dalla Sezione tributaria di questa Corte n. 12052 del 2013, le Sezioni Unite hanno chiarito che la disciplina dei telefoni cellulari non risiede in via esclusiva nel D.Lgs. n. 269 del 2001, così come la disciplina delle apparecchiature radio ricetrasmittenti non risiede in via parimenti esclusiva nel D.Lgs. n. 259 del 2003, giacchè il primo (come la direttiva n. 5/99 CE, alla cui attuazione il decreto tende) si occupa delle specifiche tecniche sia per la radio che per i telefoni, mentre il secondo (come le direttive alla cui attuazione il decreto tende, segnatamente le direttive “accesso” e “autorizzazioni”) si occupa delle reti e delle relative autorizzazioni di esercizio sia per la radio che per i telefoni.

e) Il Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al D.Lgs. n. 259 del 2003, laddove dispone, nell’art. 219, che “dall’attuazione del Codice non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato” – implicitamente esclude (costituendo la soppressione di un’entrata un maggior onere che deriverebbe a carico del bilancio dello Stato) la possibilità di attribuire allo stesso Codice portata abrogativa della tassa di concessione governativa sugli abbonamenti al servizio di telefonia cellulare.

Sulla scorta delle argomentazioni fin qui sintetizzate, le Sezioni Unite hanno quindi affermato che “un’interpretazione delle norme del D.Lgs. n. 259 del 2003 da cui si facesse discendere un’attuale inapplicabilità della tassa di concessione governativa sui telefonini prevista nel vigente sistema (che, come si è visto, culmina nella previsione di cui al D.L. n. 151 del 1991, art. 3) sarebbe incompatibile con la disposizione di cui al medesimo codice, art. 219, e, quindi non rappresentativa dell’effettiva realtà normativa”.

Ciò posto le Sezioni Unite, preso altresì atto della norma di interpretazione autentica dettata dal D.L. n. 4 del 2014, art. 2, comma 4, convertito in legge con la L. n. 50 del 2014, hanno affermato il principio di diritto sopra indicato; principio per effetto del quale deve affermarsi l’applicabilità agli abbonamenti per il servizio di telefonia cellulare della tassa di concessione governativa come disciplinata dal D.P.R. n. 641 del 1972, tariffa allegata, art. 21.

4. Dai principi sopra indicati discende l’accoglimento del ricorso il quale non richiede ulteriori accertamenti in punto di fatto, potendo la controversia essere decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente.

5. Le spese del merito possono dichiararsi compensate in ragione del contrasto giurisprudenziale sopra riportato risolto solo in corso di giudizio; nulla sulle spese di legittimità in assenza di attività difensiva da parte della contribuente.

PQM

La Corte:

– Accoglie il ricorso.

– Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente.

– Compensa le spese delle fasi di merito.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

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