Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14243 del 14/06/2010

Cassazione civile sez. I, 14/06/2010, (ud. 26/05/2010, dep. 14/06/2010), n.14243

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.R.C. ((OMISSIS)), domiciliata in Roma, via

Rodi 32, presso l’avv. M. Monacelli, che la rappresenta e difende

come da mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero della giustizia, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che per legge la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Firenze, depositato il 24

gennaio 2008, n. 575/07 V.G.;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. NAPPI Aniello;

Udite le conclusioni del P.M., Dott. PRATIS Pierfelice, che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto impugnato la Corte d’appello di Firenze ha rigettato la domanda proposta il 10 ottobre 2007 da N.R.C. per la condanna del Ministero della Giustizia a corrisponderle l’equa riparazione per durata irragionevole di un procedimento penale promosso con sua querela del 2 aprile 2001, definito in primo grado nel 2005 e in appello con sentenza depositata il 17 aprile 2007, dichiarativa di estinzione per prescrizione dei reati di ingiurie e molestie.

Hanno ritenuto i giudici del merito che la persona offesa, anche se querelante, non può essere considerata parte del processo penale fin quando non si costituisca appunto come parte civile. E dunque non ha diritto all’equa riparazione per la durata irragionevole di un procedimento nel quale non riveste la qualità di parte.

3 Ricorre per cassazione N.R.C. e propone un unico complesso motivo d’impugnazione, cui resiste con controricorso il Ministero della giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo d’impugnazione N.R.C. deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6, 1, C.E.D.U. Sostiene che la L. n. 89 del 2001, art. 2 riconosce il diritto all’indennizzo a chiunque abbia “subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. E lamenta l’ingiustificata disparità di trattamento tra persona offesa e indagato nel riconoscimento del diritto all’equa riparazione per durata irragionevole del processo, sostenendo che il diritto va riconosciuto a chiunque sia danneggiato, indipendentemente dall’assunzione della qualità di parte.

Chiede che la questione sia rimessa in via pregiudiziale alla C.E.D.U., in applicazione dell’art. 234 del Trattato dell’Unione Europea.

2. Il ricorso è infondato.

Non v’è dubbio che la L. n. 89 del 2001, art. 2 rinvii alla C.E.D.U. per l’individuazione dei soggetti legittimati alla domanda di equa riparazione. Dispone infatti che la legittimazione spetta a chi abbia subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione “sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, paragrafo 1”.

E’ all’art. 6, 1, della Convenzione che occorre dunque fare riferimento; in particolare alla definizione del diritto alla durata ragionevole come legittima pretesa di qualsiasi persona che attenda da un tribunale la decisione “sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta”.

E in realtà questa definizione del soggetto legittimato a chiedere l’equa riparazione corrisponde alla definizione che dottrina e giurisprudenza danno dei soggetti qualificabili come parti di un procedimento penale.

Viene definito parte, infatti, il soggetto titolare di un diritto di azione da cui derivi per il giudice un dovere di decidere nel merito delle sue domande. E quindi si esclude che rivesta la qualità di parte un soggetto come la persona offesa (Cass., sez. un. pen., 16 dicembre 1998, Messina, m. 212077, Cass., sez. 6, 13 febbraio 2009, Barogi, m. 243836), che pure può svolgere un’attività particolarmente incisiva nella fase procedimentale, in particolare nel procedimento di archiviazione, facendo sorgere per il giudice o anche per il pubblico ministero il dovere di pronunciarsi su talune sue richieste, anche se non sul merito dell’accusa. E’ ad esempio la natura procedimentale, e non di merito, della decisione di archiviazione a escludere che con un tale provvedimento si applichino sanzioni (C. cost., 15 luglio 1993, n. 319); e a precludere di conseguenza il riconoscimento della qualità di parte alla persona offesa, che pure, come s’è detto, può intervenirvi con un ruolo attivo. E’ condivisibile pertanto la giurisprudenza civile di questa corte, che esclude la legittimazione alla domanda di equa riparazione per la persona offesa non costituitasi parte civile nel procedimento penale protrattosi oltre i limiti della durata ragionevole (Cass., sez. 1, 23 gennaio 2003, n. 996, m. 560444, Cass., sez. 1, 20 gennaio 2006, n. 1184, m. 588638, Cass., sez. 1, 27 febbraio 2007, n. 4476, m. 595278).

Quanto alla questione di legittimità costituzionale implicitamente proposta dal ricorrente, va rilevato che è stata già dichiarata “manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 24, 97 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, nella parte in cui attribuisce alla persona offesa dal reato ed al querelante il diritto alla trattazione del processo entro un termine ragionevole e, conseguentemente, la legittimazione a chiedere l’indennizzo previsto dalla medesima legge, solo se abbiano assunto la qualità di parte nel processo penale, vale a dire solo se si siano costituiti parte civile. Invero, mentre i principi di buon andamento ed imparzialità riguardano l’organizzazione e il funzionamento della P.A., il rilievo costituzionale del principio di ragionevole durata del processo attiene alla posizione di chi il processo promuova o subisca, e quindi alla posizione delle sole parti costituite in giudizio” (Cass., sez. 1, 10 febbraio 2006, n. 2969, m. 588803). Mentre è inammissibile la richiesta di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 del Trattato U.E. per la risoluzione di questioni di interpretazione della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, “non potendo ritenersi che le disposizioni della predetta Convenzione costituiscano parte integrante del diritto comunitario” (Cass., sez. 1, 22 marzo 2007, n. 6978, m. 595754, Cass., sez. 1, 19 luglio 2002, n. 10542, m. 555953).

Ne consegue il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi Euro. 1.000 per onorari, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2010

 

 

 

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