Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14241 del 14/06/2010

Cassazione civile sez. I, 14/06/2010, (ud. 26/05/2010, dep. 14/06/2010), n.14241

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27448/2007 proposto da:

D.M.F. (c.f. (OMISSIS)), P.N.

(C.F. (OMISSIS)), DE.MI.FR. (C.F.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA

AUGUSTO IMPERATORE 22, presso l’avvocato POTTINO GUIDO MARIA, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZAULI CARLO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositato il

13/09/2007, n. 526/06 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2010 dal Consigliere Dott. DI PALMA Salvatore;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per l’accoglimento del secondo

motivo del ricorso con decisione nel merito.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che F. e Di.Mi.Fr. e P. N., con ricorso del 31 ottobre 2007, hanno impugnato per cassazione – deducendo otto motivi di censura, illustrati con memoria -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Ancona depositato in data 13 settembre 2007, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso dei predetti ricorrenti – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali, esistenziali e psico-biologici ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1 -, in contumacia del Ministro della giustizia, ha condannato il resistente a pagare a ciascun ricorrente la somma di Euro 2.500,00 a titolo di equa riparazione, oltre gli interessi dalla data del decreto al salde – che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura complessiva di Euro 105.000,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 15 settembre 2006, era fondata sui seguenti fatti: a) i D.M. e la P. avevano proposto – con citazione notificata l’11 marzo 1996 – domanda di risarcimento dei danni da incidente stradale, in cui aveva perso la vita la loro figlia e sorella Fr., dinanzi al Tribunale di Ravenna; b) il Tribunale adito aveva deciso la causa con sentenza del 12 maggio 2001; c) il giudizio di appello, introdotto con citazione notificata il 5 settembre 2001, era stato sospeso, per la querela di falso proposta dagli appellanti; d) il giudizio avente ad oggetto tale querela di falso era stato deciso con sentenza del 15 novembre 2006, mentre il giudizio d’appello sulla causa principale era ancora pendente alla data del 15 settembre 2006, di proposizione della domanda di equa riparazione;

che la Corte d’Appello di Ancona, con il suddetto decreto impugnato – dopo aver determinato in tre anni e due anni, rispettivamente per il giudizio di primo grado e per il giudizio di appello, il periodo di tempo necessario per la definizione secondo ragionevolezza del processo presupposto, ed aver detratto ulteriori due anni per il giudizio di querela di falso -, ha determinato il periodo eccedente la ragionevole durata di tale processo in tre anni ed ha liquidato equitativamente, a titolo di equa riparazione per danno non patrimoniale in favore di ciascun ricorrente, la somma di Euro 2.500,00, osservando inoltre che, quanto al lamentato danno biologico, la relativa domanda non risultava provata, e, quanto al lamentato danno esistenziale, questo doveva ritenersi compreso nel riconosciuto danno non patrimoniale.

Considerato che con gli otto motivi di censura – i quali possono essere esaminati per gruppi di questioni -, vengono denunciati come illegittimi, anche sotto il profilo del vizio di motivazione del decreto impugnato: a) l’aver fatto coincidere l’inizio del processo presupposto con la data indicata quale udienza di comparizione (21 maggio 1996), anzichè con quella di notificazione dell’atto di citazione (11 marzo 1996); b) l’aver determinato il periodo di irragionevole durata del processo presupposto in tre anni, anzichè in cinque anni ed otto mesi, previa illegittima detrazione di due anni relativamente al giudizio per la querela di falso; c) l’aver applicato un parametro di liquidazione dell’indennizzo senza una specifica motivazione, tale comunque da risultare ingiustificatamente inferiore a quello indicato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo; d) l’aver determinato l’indennizzo in concreto, tenendo illegittimamente conto dell’esito del giudizio presupposto; e) l’aver erroneamente omesso di considerare, ai fini della determinazione dell’indennizzo, il lamentato danno esistenziale, quale componente autonoma del danno non patrimoniale; f) l’aver omesso di pronunciare o, comunque di considerare, ai fini della determinazione dell’indennizzo, il lamentato danno psicologico o psico-biologico;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito precisati;

che, in particolare, la censura sub a) è fondata, perchè questa Corte ha già ripetutamente affermato che, in tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo civile, nel caso di giudizio introdotto con atto di citazione, il dies a quo, in relazione al quale valutare la durata del processo, è costituito dal momento in cui si notifica l’atto di citazione (cfr., ex plurimis, l’ordinanza n. 23323 del 2007);

che anche la censura sub b) è fondata, perchè i Giudici a quibus hanno operato l’ulteriore detrazione di due anni dalla irragionevole durata del processo presupposto – in riferimento al giudizio di querela di falso – senza alcuna motivazione al riguardo e, quindi, arbitrariamente, avendo anzi precisato che si trattava di querela proposta in via incidentale nel corso del giudizio d’appello e, pertanto, ritenuta “rilevante” dai giudici dell’appello ai fini della decisione sul gravame;

che la censura sub c) è parimenti fondata, perchè nella liquidazione del danno non patrimoniale per l’irragionevole durata del processo, l’ambito della valutazione affidato al giudice del merito è segnato dal rispetto della CEDU, per come essa vive nelle decisioni della Corte EDU concernenti casi simili a quelli portati all’esame del Giudice nazionale, il quale deve tener conto dei criteri al riguardo applicati da detta Corte (che liquida circa mille Euro d’indennizzo per ogni anno preso in considerazione), ma nondimeno conserva un margine di valutazione che gli consente di discostarsi dalle liquidazioni effettuate dalla stessa Corte, in relazione alla natura ed alle caratteristiche di ogni singola controversia, purchè provveda a motivare adeguatamente le ragioni di tale eventuale scostamento (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 24356 del 2006);

che, sempre in riferimento alla censura sub e), i Giudici a quibus si sono notevolmente discostati dal consolidato orientamento di questa Corte che, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado e quello di due anni per il giudizio d’appello, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni (orientamento che, nella specie, condurrebbe ad una liquidazione di Euro 4.250,00, oltre agli ulteriori sei mesi di irragionevole ritardo), ed hanno liquidato – peraltro senza sostanzialmente motivare al riguardo – la somma di Euro 833,00 circa per ciascun anno di irragionevole durata;

che la censura sub d) è parimenti fondata, perchè i Giudici a quibus si sono immotivatamente discostati dal consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la circostanza che la causa di merito abbia avuto esito negativo, sia pure prevedibile, è irrilevante ai fini del riconoscimento del danno non patrimoniale, giacchè l’esito favorevole della lite non condiziona il diritto alla ragionevole durata del processo, nè incide di per sè sulla pretesa indennitaria della parte che abbia dovuto sopportare l’eccessiva durata della causa, salvo che essa si sia resa responsabile di lite temeraria o, comunque, di un vero e proprio abuso del processo, l’esito sfavorevole del giudizio potendo tuttavia incidere riduttivamente sulla misura dell’indennizzo, allorchè la domanda sia stata proposta in un contesto tale da renderla, se non temeraria, comunque fortemente aleatoria (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 24107 del 2009), valutazione, quest’ultima, del tutto assente nel decreto impugnato;

che, invece, le censure sub e) e sub f) sono infondate, perchè i Giudici a quibus si sono uniformati all’altrettanto consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale, in tema di equa riparazione per la durata irragionevole del processo, il danno biologico derivato da tale durata non può ritenersi presuntivamente sussistente, essendo necessaria la prova della sua esistenza e del nesso di causalità tra la irragionevole durata del processo e il danno, mentre il pregiudizio esistenziale costituisce una voce del danno non patrimoniale e non un autonomo titolo di danno (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 6294 del 2007 e 19354 del 2005);

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alle censure accolte;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che, nella specie, sussiste il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, perchè il processo presupposto è iniziato l’11 marzo 1996 e non si era ancora concluso alla data del deposito del ricorso per equa riparazione, avvenuto il 15 settembre 2006, sicchè, fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado e quello di due anni per il giudizio di appello, il periodo eccedente va determinato in cinque anni e sei mesi circa;

che, in conformità ai criteri per la liquidazione equitativa dell’indennizzo, elaborati e normalmente seguiti da questa Corte in analoghe fattispecie – Euro 750,00 per i primi tre anni di eccessiva durata ed Euro 1.000,00 per ogni anno successivo – si ritiene equo liquidare, a titolo di danno non patrimoniale, la somma di Euro 4.750,00 per i cinque anni e sei mesi di irragionevole protrazione del processo presupposto de quo, oltre gli interessi dalla domanda di equa riparazione (15 settembre 2006);

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4, e B, paragrafo 1, allegate al Decreto del Ministro della giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – in complessivi Euro 1.624,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 574,00 per diritti (Euro 380,00 + Euro 97 per ciascuna delle altre due parti ricorrenti) ed Euro 1.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

PQM

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro della giustizia a pagare a ciascuna parte ricorrente la somma di Euro 4.750,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore delle parti ricorrenti, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.624,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 574,00 per diritti ed Euro 1.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Carlo Zauli e Guido Pottino, dichiaratisene antistatari, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 1.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli stessi avv. Carlo Zauli e Guido Pottino, dichiaratisene antistatari.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 26 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2010

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