Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14241 del 07/06/2017

Cassazione civile, sez. VI, 07/06/2017, (ud. 19/05/2017, dep.07/06/2017),  n. 14241

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2281-2015 proposto da:

B.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TRIONFALE 5697,

presso lo studio dell’avvocato DOMENICO BATTISTA, rappresentato e

difeso dagli avvocati MONICA GALASSO e MERCURIO GALASSO;

– ricorrente –

contro

C.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIERO

FOSCARI 40, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO COLAIACOVO, che

la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1014/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata l’08/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/05/2017 dal Consigliere Dott. NAZZICONE LOREDANA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

– che il ricorrente ha proposto ricorso, fondato su quattro motivi, contro la sentenza della Corte d’appello dell’Aquila dell’8 ottobre 2014, che ha respinto l’impugnazione avverso la sentenza del Tribunale di Sulmona, la quale ha dichiarato l’addebito al marito della separazione coniugale e condannato il medesimo a versare alla moglie la somma mensile di Euro 2.400,00, per il mantenimento proprio e dei due figli maggiorenni non autosufficienti, con interessi e rivalutazione dalla domanda;

– che l’intimata si difende con controricorso;

– che è stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380 – bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti;

– che il ricorrente ha depositato la memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

– che il primo motivo, vertente sulla violazione degli art. 112 c.p.c. e art. 151 c.c., è manifestamente inammissibile per difetto di autosufficienza, posto che – nel censurare la decisione impugnata di ultrapetizione per avere essa, nell’assunto del ricorrente, posto a fondamento dell’addebito della separazione ragioni diverse da quelle dedotte dalla moglie – omette del tutto di indicare, a norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le parti degli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato ed il contenuto della predetta deduzione: secondo il consolidato principio (fra le altre, Cass. 15 luglio 2015, n. 14784) secondo cui “il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione”;

– che, inoltre, il motivo si risolve nella inammissibile richiesta alla Corte di rivalutare la vicenda in fatto e le prove in atti, laddove la corte del merito ha ravvisato sia le indebite continue interferenze nel menage coniugale da parte della famiglia del marito, sia le percosse subite dalla moglie nel dicembre 2009, sia la condotta assente e colpevolizzante nei confronti dei figli, condotte desunte dal referto medico e dalle deposizioni di quattro testimoni: delle quali, tuttavia, è inammissibile qualsiasi riconsiderazione nella sede di legittimità;

– che il secondo motivo – il quale deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 155 – quater c.c., ora art. 337 – sexies c.c. – è manifestamente infondato, perchè la circostanza che la prole non conviva con il genitore, per frequentare un corso universitario in altra città, ma si rechi non appena possibile nella residenza familiare, è stata pienamente considerata dalla corte del merito, la quale ha fatto, al riguardo, corretta applicazione del principio, secondo cui tale situazione non esclude il requisito della convivenza, ogniqualvolta permanga il collegamento stabile con l’abitazione del genitore. Questa Corte, invero, ha già chiarito che, in tal caso, la coabitazione può “non essere quotidiana, essendo tale concetto compatibile con l’assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro, purchè egli vi faccia ritorno regolarmente appena possibile” (Cass. 22 marzo 2012, n. 4555; 27 maggio 2005, n. 11320);

– che il terzo motivo è manifestamente inammissibile, in quanto deduce la violazione degli artt. 132 e 342 c.p.c. circa la concessione di interessi e rivalutazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ossia la mancanza di motivazione, mentre non opera nessun riferimento nè alla omessa pronuncia, nè alla nullità della decisione: posta, invero, da un lato, la differenza tra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c., e l’omessa motivazione, nel senso che nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda o un’eccezione introdotta in causa e quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della “domanda” di appello (Cass. 6 febbraio 2015, n. 2197, fra le tante), e, dall’altro lato, il principio, affermato dalle Sezioni unite (Cass., sez. un., 24 luglio 2013, n. 17931), secondo cui il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione: onde, quando si tratti di vizio riconducibile alla fattispecie di cui al dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., il motivo deve recare univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge; che la censura di violazione dell’art. 337 – ter c.c., comma 4, pure accennata nel motivo, di conseguenza è inammissibile, in quanto contraddice l’assunto della omissione della relativa pronuncia;

– che il quarto motivo, con cui si deduce la violazione degli artt. 156 e 2697 c.c., è manifestamente inammissibile, in quanto si pretende dalla S.C., sotto l’egida del vizio di violazione delle menzionate norme, una rivalutazione delle risultanze probatorie circa il reddito del ricorrente;

– che la condanna alle spese di lite segue la soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000,00, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie al 15% ed agli accessori, come per legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone omettersi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il7 giugno 2017

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