Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14237 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 25/05/2021, (ud. 08/02/2021, dep. 25/05/2021), n.14237

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. MANCINI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 11988/2014, proposto da:

L.F., rappresentato e difeso, dall’avv.to Pierfrancesco

Rina, in virtù di mandato in atti, con il quale è elettivamente

domiciliato in Roma, Piazzale Clodio n. 8, presso lo studio

dell’avv.to Sergio Falcone;

– Ricorrente –

contro

Agenzia dell’Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, ope legis, dall’Avvocatura Generale

dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– Controricorrente –

Avverso la sentenza n. 156/36/13 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, depositata in data 03/12/2013;

udita la relazione svolta dal Consigliere d’Angioiella Rosita nella

camera di Consiglio del 8 febbraio 2021.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Con sentenza n. 156/36/13, depositata il 03/12/2013, non notificata, la CTR della Lombardia respinse l’appello del contribuente, L.F., avverso la sentenza della CTP di Milano, che aveva a sua volta respinto il ricorso del contribuente, avverso l’avviso di accertamento, per l’anno 2007, con il quale l’Ufficio aveva determinato, con metodo sintetico, ai fini IRPEF e relative addizionali, un maggior reddito imponibile rispetto a quello dichiarato dal L..

Avverso la sentenza della CTR, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso l’Amministrazione finanziaria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

L.F., con il primo motivo di ricorso, deduce il difetto assoluto di motivazione e, comunque, di motivazione apparente, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 132 c.p.c.; con il secondo mezzo, deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, laddove l’Ufficio ha considerato la base del calcolo del reddito su acquisti di beni soggetti ad IVA, nonchè la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per errata valutazione del materiale probatorio offerto dal contribuente.

Il primo mezzo è fondato e va accolto, previo assorbimento del secondo.

La Commissione Tributaria Regionale, dopo aver rilevato che “i primi giudici hanno provveduto a determinare la capacità reddituale del contribuente, individuando i redditi complessivamente dichiarati, nonchè ulteriori entrate di periodo nella disponibilità del ricorrente e delle spese sostenute sia per incrementi patrimoniali che per la gestione die beni rilevanti ex lege” (v. sentenza, pagina 2 secondo cpv.), che, per la CTP, “l’operato dell’Ufficio risulta essere corretto e non può essere dichiarato nullo per mancato svolgimento del contraddittorio, perchè non vi stata alcuna lesione del diritto di difesa” (v. sentenza pagina 2, terzo cpv.) e che, sempre secondo la CTP, “risultano corretti i calcoli praticati dall’Ufficio sul punto che riguarda la legittimità della determinazione della capacità derivante dalla disponibilità di beni e servizi, poichè l’operato dell’Ufficio è basato su calcoli corretti e puntuali”, ha rigettato integralmente l’appello del contribuente motivando sull’unico argomento di condivisione delle motivazioni della sentenza dei giudici di primo grado (“questa Commissione regionale ritiene fondate e condivisibili le motivazioni svolte nella sentenza appellata; in particolare ritiene infondate le doglianze del Contribuente relative alla mancata distinzione tra componenti reddituali del Contribuente quale persona fisica e quelle della ditta individuale di proprietà dello stesso”, ultimo cpv. pag. 2).

Dai passaggi della motivazione appena riportati risulta che il giudice di appello non ha affatto esposto l’iter logico-giuridico della sua decisione, limitandosi ad una generica quanto acritica condivisione della sentenza di primo grado, senza illustrare – neppure sinteticamente – le ragioni per cui ha ritenuto di disattendere i motivi di gravame.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la motivazione per relationem della sentenza di appello è, sì, legittima ma sempre che renda percepibili e comprensibili le ragioni della decisione, in relazione ai motivi di appello proposti; viceversa, nel caso in cui il giudice di merito non compia, o compia inadeguatamente, una disamina logica e giuridica degli elementi dai quali trae il proprio convincimento, rinviando genericamente e acriticamente alle motivazioni di altro giudice o al quadro probatorio acquisito, o, ancora, al nome della normativa ritenuta applicabile senza sussunzione alcuna della fattispecie concreta al precetto generale, incorre nel vizio di omessa o di apparente motivazione con conseguente nullità della sentenza (cfr., Cass. 18/04/2017 n. 9745; Cass. 26/06/2017 n. 15884; Cass., 21/09/2017, n. 22022; Cass., 25/10/2018, n. 27112; Cass., 05/10/2018, n. 24452; Cass., 07/04/2017, n. 9105, tutte che richiamano i parametri minimi di motivazione indicati da Cass., Sez. U., 07/04/2014 n. 8053 e 03/11/2016n. 22232; cfr., altresì, per il vizio di motivazione collegato alla funzione dell’appello, Cass., 10/01/2003, n. 196).

Nella specie, il difetto di motivazione appare ancor più evidente, considerando che sebbene la disciplina del “redditometro” introduca una presunzione legale relativa a favore dell’Amministrazione in base alla quale il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva”, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, è d’altro canto, dovere del giudice di merito valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (cfr. Cass. 01/09/2016, n. 17487; Cass., 21/10/2015, n. 21335, Cass., 20/01/2016, n. 930; sui, confini della prova contraria offerta dal contribuente per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito, Cass. n. 12889 del 2018).

Contrariamente a tali principi la CTR ha completamente omesso di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento per ritenere infondate “le doglianze del contribuente relative alla mancata distinzione tra le componenti reddituali del Contribuente quale persona fisica e quelle della ditta individuale”, senza alcuna disamina (logica e giuridica) di tali doglianze, rendendo, in tal modo, impossibile a questo giudice ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. Egualmente, circa l’eccezione di difetto del contraddittorio preventivo, nulla ha detto sul perchè non fosse applicabile all’accertamento sintetico.

Il ricorso va, dunque, accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR della Lombardia affinchè, all’esito dell’esame della controversia, enunci le ragioni della sua decisione.

La CTR in sede di rinvio è tenuta a provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR della Lombardia cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

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