Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14227 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 25/05/2021, (ud. 14/01/2021, dep. 25/05/2021), n.14227

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26437/2017 R.G. proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Mariacarmela

Siniscalchi, elettivamente domiciliato in Roma, via Oslavia 12

presso l’avv. Caraffa Federica;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate – Riscossione, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, elettivamente domiciliata in

Roma, via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Napoli,

n. 3274/48/17, depositata il 7 aprile 2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 gennaio

2021 dal relatore Dario Cavallari.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.A. ha impugnato, davanti alla CTP Napoli, una iscrizione ipotecaria su beni di sua proprietà.

La CTP di Napoli, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 7769/16/32, ha accolto il ricorso.

Equitalia Sud spa ha proposto appello che la CTR Napoli, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 7769/16/32, ha accolto.

A.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

L’Agenzia delle Entrate Riscossione ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, rappresentato dal suo trasferimento di residenza da (OMISSIS) a (OMISSIS), circostanza che avrebbe comportato la nullità della notifica degli atti sottesi all’iscrizione ipotecaria.

La doglianza è infondata, difettando tale fatto di decisività.

Infatti, ai fini della nullità della notifica, non basta che il destinatario, il quale sostenga di aver trasferito la residenza in altro comune, produca una certificazione del comune di nuova residenza, dalla quale risulti l’iscrizione nei registri anagrafici di quel comune in data precedente a quella della notifica, atteso che, ai sensi dell’art. 44 c.c., comma 1, e art. 31 disp. att. c.c., il trasferimento della residenza, per potere essere opposto ai terzi in buona fede, deve essere provato con la doppia dichiarazione fatta al comune che si abbandona ed a quello di nuova residenza. In particolare, in base alle norme regolamentari sull’anagrafe della popolazione (D.P.R. n. 136 del 1958, art. 16 e, successivamente, D.P.R. n. 223 del 1989, art. 18), la cancellazione dall’anagrafe del comune di precedente iscrizione e l’iscrizione nell’anagrafe del comune di nuova residenza devono avere sempre la stessa decorrenza, che è quella della data della dichiarazione di trasferimento resa dall’interessato nel comune di nuova residenza, sicchè la suddetta certificazione anagrafica non fornisce la prova dell’avvenuta tempestiva dichiarazione al comune abbandonato (Cass., Sez. 1, n. 17752 del 30 luglio 2009).

Nella specie, il ricorrente non ha neppure dedotto l’esistenza della menzionata doppia dichiarazione, con la conseguenza che non può ritenersi che il fatto del trasferimento di residenza, di per sè, sarebbe stato decisivo per la decisione della CTR.

Peraltro, si rileva che le notifiche, nel caso in esame, si sono perfezionate, tramite deposito presso la Casa comunale o ricezione ad opera del portiere.

2) Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58 poichè la CTR aveva disposto l’acquisizione di nuove prove in assenza dei presupposti di legge.

La doglianza è infondata.

Infatti, nell’ambito del processo tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58 fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti posti dall’art. 345 c.p.c., ma tale attività processuale va esercitata – stante il richiamo operato dall’art. 61 del citato D.Lgs. alle norme relative al giudizio di primo grado – entro il termine previsto dall’art. 32, comma 1, stesso decreto, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza, con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 24, comma 1, dovendo, peraltro, siffatto termine ritenersi, anche in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria e, quindi, previsto a pena di decadenza, rilevabile d’ufficio dal giudice pure nel caso di rinvio meramente interlocutorio dell’udienza o di mancata opposizione della controparte alla produzione tardiva (Cass., Sez. 5, n. 29087 del 13 novembre 2018).

Nella specie, il ricorrente non ha neppure dedotto il mancato rispetto dei termini e delle formalità summenzionate.

3) Il ricorso è respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite alla società controricorrente, che liquida in Euro 5.000,00, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 5 Sezione Civile, tenuta, con modalità telematiche, il 14 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

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