Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14226 del 14/06/2010

Cassazione civile sez. I, 14/06/2010, (ud. 20/05/2010, dep. 14/06/2010), n.14226

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.C. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA BISSOLATI 76, presso l’avvocato GARGANI BENEDETTO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BASSO ANTONIO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Z.M.C. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LIVORNO 15, presso l’avvocato SPREGA FABIO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MONTANARI

DANILO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1693/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 18/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/05/2010 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato R. CATALANO, delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato D. MONTANARI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI PIETRO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel 2000, B.C. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Verona, la moglie Z.M.C., sposata nel (OMISSIS) e da cui si era legalmente separato nel 1998, chiedendo in via principale l’accertamento della comune proprietà degli immobili poi adibiti a casa coniugale, che, anche dichiarando che il prezzo era stato pagato con i proventi della vendita a terzi di suoi beni personali (art. 179 c.c., comma 1, lett. f)), la convenuta aveva acquistato nel 1990, con due atti pubblici, dei quali l’attore era stato parte, prestando il suo assenso, ai sensi dell’art. 179 c.c., comma 2, e dichiarando, in tesi contrariamente al vero, posto che il prezzo era stato pagato da entrambi e che intendevano solo fruire delle agevolazioni fiscali per la prima casa, che i beni erano esclusi dalla comunione legale (art. 177 c.c., comma 1, lett. a)), regime patrimoniale cui la famiglia era soggetta.

In subordine chiedeva la restituzione dell’apporto economico che aveva fornito per l’acquisto, rinveniente anche dal prestito paterno di L. 60.000.000, ed in ulteriore subordine chiedeva di essere indennizzato ai sensi dell’art. 2041 cod. civ., per la subita perdita patrimoniale.

Con sentenza n. 1729 del 2004, il Tribunale di Verona rigettava le domande del B..

Con sentenza del 23.09 – 18.10.2005, la Corte di appello di Venezia respingeva il gravame del medesimo B. e compensava le spese del grado, in ragione del contrasto giurisprudenziale sulla natura della dichiarazione resa nell’atto dall’altro coniuge non acquirente.

La Corte territoriale osservava e riteneva in sintesi:

– che nell’atto di compravendita immobiliare, stipulato nel (OMISSIS), la Z. aveva dichiarato davanti al notaio che l’acquisto avveniva con denaro proprio derivante dalla vendita di beni personali ed il B., rendendo la dichiarazione di cui all’art. 179 c.c., comma 2, aveva confermato nel rogito la circostanza;

– che, quindi, il B. non solo era stato presente all’atto (ma aveva anche espressamente confermato e non solo non contestato la dichiarazione della moglie circa il carattere personale dell’acquisto;

– che qualsiasi teoria si fosse seguita in ordine alla natura della dichiarazione recettizia, resa nell’atto dall’altro coniuge non acquirente, nella specie il B., ossia se negozio giuridico unilaterale irrevocabile di rinuncia abdicativa all’acquisto, integrante consentita donazione indiretta, o come dichiarazione di scienza priva di contenuto negoziale, ossia atto giuridico in senso stretto d’indole ricognitiva, semplicemente volto ad attestare la veridicità della dichiarazione del coniuge acquirente, implicante secondo un duplice, conseguente, diverso sottoindirizzo, o, come non condivisibile, l’indisponibilità del diritto alla comunione legale, o, come, invece condivisibile, l’efficacia probatoria propria della presunzione iuris et de iure ma non assoluta, circa l’esclusione della contitolarità dell’acquisto, rimuovibile solo per errore di fatto o violenza, ossia nei limiti consentiti per la confessione, cui il riconoscimento era equiparabile, in ogni caso non esistevano elementi concreti per accogliere la domanda dell’attore, il quale, dopo la separazione si era ricordato che la sua dichiarazione non era veritiera che, in particolare, se alla dichiarazione del B. fosse stata attribuita natura di dichiarazione di scienza, essa pur sempre consisteva in una confessione, sicchè avrebbe potuto essere invalidata soltanto se determinata da errore di fatto o da violenza ai sensi dell’art. 2732 cod. civ., ma niente nella domanda del medesimo B. (e neanche nelle sue richieste istruttorie, permetteva di ipotizzare che egli avesse fatto quella dichiarazione davanti al notaio perchè costretto dalla violenza della moglie o di un terzo oppure perchè indotto in errore;

– che doveva, dunque, concludersi nel senso che, in tema di comunione legale dei beni, quando all’acquisto proceda uno solo dei coniugi il consenso dato al riguardo dall’altro purchè nello stesso atto d’acquisto e qualora questo abbia per oggetto beni immobili o beni mobili registrati – impedisce la caduta del bene nella comunione ancorchè non ricorrano le ipotesi specificamente contemplate dall’art. 179 c.c., comma 1, lett. c), d) e f).

Avverso questa sentenza il B. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi, notificato il 23.11.2006 ed illustrato da memoria. La Z. ha resistito con controricorso notificato il 9-10.01.2007. Entrambi i difensori delle parti hanno partecipato alla discussione orale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente in rito va dichiarata l’inammissibilità del controricorso della Z., notificato al B. dopo la scadenza del termine prescritto dall’art. 370 cod. proc. civ., inammissibilità che, peraltro, non precludeva al difensore dell’intimata di partecipare alla discussione orale, come ha fatto (tra le altre, cfr cass. 200609396).

A sostegno del ricorso il B. denunzia:

1. “Violazione o falsa applicazione di norma di diritto”, avendo la Corte territoriale erroneamente ritenuto che l’art. 179 c.c., comma 2, consenta di escludere la caduta in comunione dei beni immobili acquisiti da uno dei coniugi in virtù della presenza all’atto dell’altro coniuge, ancorchè non ricorrano le ipotesi specificamente previste dall’art. 179 c.c., comma 1, lett. c), d) ed f).

2. “Violazione o falsa applicazione di norma di legge”, avendo la Corte territoriale erroneamente, ed in contraddizione con quanto in precedenza affermato, ritenuto che la dichiarazione/presenza all’atto del coniuge non acquirente costituirebbe prova (quale confessione o presunzione) della sussistenza dei requisiti posti dall’art. 179 c.c., comma 1, o comunque della proprietà esclusiva del coniuge che ha effettuato l’acquisto dell’immobile.

3. “Omessa, contraddittoria insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, dal momento che le (opposte) interpretazioni dell’art. 179 c.c., comma 2, sono errate, non fondate su un’adeguata motivazione ed assunte senza prendere in alcuna considerazione le sue tesi difensive.

4. “Omessa insufficiente (contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, non avendo la Corte di merito considerato che i documenti prodotti in giudizio provavano, come anche ammesso dalla difesa avversaria (memoria 20.06.2002 sul ricorso al mutuo), che l’acquisto non era avvenuto con l’uso del corrispettivo della vendita di beni personali.

5. “Nullità della sentenza” per non avere la Corte in alcun modo pronunciato sulle ulteriori domande, di merito ed istruttorie, proposte dall’attore appellante, incorrendo così nel vizio di omessa pronuncia.

6. “Omessa insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” per non avere la Corte in alcun modo motivato sull’eventuale implicito rigetto delle ulteriori domande subordinate.

I primi due motivi del ricorso, che essendo connessi consentono trattazione unitaria, devono essere disattesi; al relativo rigetto segue anche l’assorbimento del quarto motivo del gravame.

Con la recente sentenza n. 22755 del 2009, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato i seguenti condivisi principi di diritto, cui va data continuità:

1) Nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la partecipazione all’atto dell’altro coniuge non acquirente, prevista dall’art. 179 c.c., comma 2, si pone come condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l’effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall’art. 179 c.c., comma 1, lett. c), d) ed f), con la conseguenza che l’eventuale inesistenza di tali presupposti può essere fatta valere con una successiva azione di accertamento negativo, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente sia intervenuto nel contratto per aderirvi.

2) Nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la dichiarazione resa nell’atto dall’altro coniuge non acquirente, ai sensi dell’art. 179 c.c., comma 2, in ordine alla natura personale del bene, si atteggia diversamente a seconda che tale natura dipenda dall’acquisto dello stesso con il prezzo del trasferimento di beni personali del coniuge acquirente o dalla destinazione del bene all’uso personale o all’esercizio della professione di quest’ultimo, assumendo nel primo caso natura ricognitiva e portata confessoria di presupposti di fatto già esistenti, ed esprimendo nel secondo la mera condivisione dell’intento del coniuge acquirente. Ne consegue che Fazione di accertamento negativo della natura personale del bene acquistato postula nel primo caso la revoca della confessione stragiudiziale, nei limiti in cui la stessa è ammessa dall’art. 2732 cod. civ., e nel secondo la verifica dell’effettiva destinazione del bene, indipendentemente da ogni indagine sulla sincerità dell’intento manifestato.

La vicenda in esame s’inquadra nel primo dei due casi contemplati nel principio di diritto sub 2), poichè in fatto risulta che la Z. aveva dichiarato davanti al notaio che l’acquisto avveniva con denaro proprio derivante dalla vendita di beni personali. La dichiarazione resa nell’atto dal B., ai sensi dell’art. 179 c.c., comma 2, in ordine alla natura personale del bene, ha, quindi, assunto natura ricognitiva e portata confessoria di presupposti di fatto già esistenti. Pertanto, non avendo il medesimo B. agito per l’invalidazione ai sensi dell’art. 2732 cod. civ. della dichiarazione in argomento, la veridicità delle sue affermazioni non può porsi in discussione. Conseguentemente, poichè il dispositivo dell’impugnata sentenza è conforme al diritto, la stessa deve essere confermata, sulla base di più puntuali argomentazioni tratte dal dictum delle Sezioni Unite di questa Corte.

Inammissibile, inoltre, prima che assorbito, si rivela il terzo motivo del ricorso. Esso investe immediatamente la regola di diritto applicata nel caso concreto, e ciò tramite l’affermazione dell’attribuzione ad essa da parte dei giudici di merito di un contenuto non aderente al testo e contraddittorio, doglianza che avrebbe dovuto essere ricondotta al vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3, il quale ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della decisione (“id est”: del processo di sussunzione), e non dedotta come vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto (cfr. tra le altre, Cass. 200722348).

Privi di pregio si rivelano, infine, il quinto ed il sesto motivo del ricorso, tra loro strettamente connessi, dal momento che entrambi concernono le “ulteriori domande d’appello” già disattese dal primo giudice, ed il cui rigetto anche da parte della Corte distrettuale logicamente ed implicitamente, anche quanto all’iter argomentativo, necessariamente seguiva la conferma dell’attribuita valenza dirimente alla dichiarazione del B. circa l’avvenuto pagamento del corrispettivo dell’acquisto con il prezzo del trasferimento di altri beni già personali della moglie. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con compensazione per intero delle spese del giudizio di legittimità, date le peculiarità della vicenda e la natura delle questioni controverse, su cui solo di recente si sono espresse le Sezioni Unite di questa Corte, risolvendo il relativo contrasto giurisprudenziale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2010

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