Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14223 del 14/06/2010

Cassazione civile sez. I, 14/06/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 14/06/2010), n.14223

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6721/2005 proposto da:

S.P.A. ALTIFORNI E FERRIERE DI SERVOLA IN AMMINISTRAZIONE

STRAORDINARIA (C.F. (OMISSIS)), in persona del Commissario pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO 38,

presso l’avvocato DEL VECCHIO SERGIO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LEBAN SERGIO, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

ECOTRADE S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), già ECOTRADE s.r.l., in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA FRANCESCO CARRARA 24, presso l’avvocato MANCINI QUIRINO,

rappresentata e difesa dall’avvocato CONTE GIUSEPPE, giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 88/2004 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 10/02/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/04/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato GABRIELE CIANCI, con delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato ALBERTO MASSIMO ROSSI, con

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento dei motivi primo,

secondo e terzo con l’assorbimento del quarto motivo del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Ecotrade s.r.l. (poi trasformata in s.p.a.), creditrice nei confronti della Altiforni e Ferriere di Servola s.p.a. (nel prosieguo A.F.S.) del corrispettivo per fornitura di loppa da altoforno, otteneva decreto ingiuntivo (successivamente divenuto irrevocabile) per lire 157.587.507, oltre accessori, realizzando – mediante esecuzione presso terzi – l’effettivo pagamento della somma, assegnatale con decreto pretorile del 30.7.1992 e riscossa in data 27.8.1992. Peraltro, essendole stata richiesta in seguito la restituzione del relativo importo da parte del Commissario della Amministrazione straordinaria cui la A.F.S. era stata sottoposta, ai sensi della L. n. 95 del 1979, con D.M. 23 luglio 1992, pubblicato sulla G.U. del 7.8.1992, sul presupposto che nei confronti di questa non erano appunto ammissibili azioni esecutive individuali, la Ecotrade s.r.l. conveniva in giudizio la A.F.S. dinnanzi al Tribunale di Trieste chiedendo che il decreto ministeriale fosse dichiarato inapplicabile perchè in contrasto con la normativa comunitaria, cosi accertata l’infondatezza della pretesa restitutoria. La Altiforni e Ferriere di Servola s.p.a. in amministrazione straordinaria resisteva alla domanda, chiedendo – in via riconvenzionale – la restituzione della somma.

Con sentenza n. 900/93 del 1/23.10.1993 il Tribunale, previa declaratoria di legittimità e conformità all’ordinamento comunitario del decreto ministeriale de quo e della normativa di riferimento, rigettava la domanda attorea e accoglieva invece la spiegata riconvenzionale, condannando la Ecotrade srl a pagare alla convenuta la capitale somma di L. 157.587.507, oltre agli interessi legali dal 27.8.1992 al saldo effettivo.

Tìsale decisione, a seguito del gravame proposto dalla Ecotrade, veniva confermata dalla Corte di Appello di Trieste, con sentenza n. 45/96 del 22.12.1995/27.1.1996, La Ecotrade interponeva,quindi,ricorso per Cassazione, la quale – con ordinanza dd. 10.2.1997, emessa ai sensi dell’art. 177 del Trattato C.E. -investiva la Corte di Giustizia delle Comunità Europee sulla pregiudiziale questione concernente la possibile riconducibilità della legge n. 95/1979 nell’ambito di applicazione dell’art. 92 e segg., del Trattato in materia di aiuti di Stato alle imprese, anche in considerazione del fatto che la L. n. 544 del 1981, art. 4, dispone che “.. le azioni esecutive individuali…non possono essere iniziate ne proseguite dopo l’emanazione del provvedimento che dispone l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria”.

Con pronunzia del 1.12.1998 la Corte di Giustizia delle Comunità ha statuito il principio che “.. l’applicazione a un’impresa ai sensi dell’art. 80 del Trattato CECA di un regime quale quello introdotto dalla L. 3 aprile 1979, n. 95, e derogatorio alle regole normalmente vigenti in materia di fallimento da luogo alla concessione di un Stato, vietato dall’art. 4, lett. c) del CECA, allorchè è dimostrato che questa impresa:

– è stata autorizzata a continuare la sua attività economica in circostanze in cui una tale eventualità sarebbe stata esclusa nell’ambito della applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento, oppure ha beneficiato di uno o più vantaggi, quali una garanzia di Stato, un’aliquota di imposta ridotta, un’esenzione dall’obbligo di pagamento di ammende e altre sanzioni pecuniarie o una rinuncia effettiva, totale o parziale, ai crediti pubblici, dei quali non avrebbe potuto usufruire un’altra impresa insolvente nell’ambito di applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento”.

All’esito di tale pronunzia, la Corte Suprema di Cassazione – con sentenza n. 9681/99 dd. 31.3./11.9.1999 – accoglieva il ricorso della Ecotrade, cassando la sentenza della Corte di Appello di Trieste e rinviando la causa a quest’ultima, in diversa sezione, per il nuovo esame.

Nel riassumere il processo con atto di citazione notificato il 20.6.2000, la Ecotrade s.p.a. chiedeva che, in riforma della sentenza del Tribunale di Trieste, venisse dichiarato non applicabile nella fattispecie il regime di cui alla L. 34 del 1979, n. 95 e, in particolare, il D.M. 7 agosto 1992, n. 237, con cui è stata disposta la apertura della amministrazione straordinaria della Altiforni e Ferriere di Servola s.p.a., riconoscendo pertanto a questa non dovute le somme a suo tempo incassate dalla Ecotrade a seguito di procedimento esecutivo, e che – previo rigetto della domanda riconvenzionale – la A.F.S. venga condannata a restituire le somme indebitamente riscosse, nella misura di L. 250.568.799, oltre ad interessi e rivalutazione e spese di tutti i gradi del giudizio.

La Altiforni e Ferriere di Servola s.p.a. in amministrazione straordinaria, ritualmente costituitasi in giudizio, chiedeva il rigetto dell’impugnazione e la conferma della sentenza di primo grado.

Con sentenza depositata in data 10.02.04, recante il n. 88/04, la Corte di Appello di Trieste, in totale riforma della pronuncia in primo grado, dichiarava l’infondatezza della pretesa restitutoria avanzata della AFS, previa disapplicazione del D.M. 23 luglio 1992, disponente l’assoggettamento di detto imprenditore alla procedura di Amministrazione Straordinaria prevista dalla L. n. 95 del 1979, e respingeva, per l’effetto, la domanda riconvenzionale azionata dalla APS, pronunciandone condanna alla restituzione della somma capitale di Euro 129.407, 98, riscossa in forza della riformata sentenza.

Con atto notificato il 10.03.05, AFS ha proposto ricorso per cassazione avverso la detta sentenza, articolando quattro motivi ai quali Ecotrade ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la procedura ricorrente deduce che erroneamente il giudice di rinvio ha ritenuto che l’intera attivazione della procedura di amministrazione straordinaria comportasse un aiuto di Stato anzichè solamente il momento attuativo di eventuali singole agevolazioni ed inoltre che la preclusione all’esperimento di azioni esecutive individuali non comporta un vantaggio diverso da quello previsto per la procedura fallimentare.

Con il secondo motivo ripropone sotto il profilo della carenza motivazionale il mancato esame del collegamento tra le finalità agevolataci di talune caratteristiche dell’amministrazione straordinaria e la preclusione all’esercizio di azioni esecutive individuali.

Con il terzo motivo contesta che la legge Prodi si discosterebbe in generale dalle altre esecuzioni collettive integrando nel suo complesso un aiuto di Stato.

Con il quarto motivo deduce l’illegittimità della pronuncia di restituzione della somma restituita dalla Ecotrade in quanto ciò poteva svolgersi solo nella procedura di verifica riservata all’ambito concorsuale.

I primi tre motivi tra loro strettamente collegati possono essere esaminati congiuntamente.

Va in primo luogo rammentato che questa Corte con la sentenza n. 9681/99 ha affermato che spettava al giudice di rinvio stabilire se il “decreto” fosse o no illegittimo e quindi da disapplicare alla luce dei principi stabiliti dalla Corte di giustizia secondo cui la individuazione, nel regime introdotto dalla L. n. 95 del 1979, e quindi nel “decreto” della concessione di un aiuto – vietato – di Stato, postula: 1) l’accertamento delle “condizioni” che hanno determinato l’assoggettamento dell’impresa ad amministrazione straordinaria nonchè l’esame non solo del “decreto” ma anche degli “atti” conseguenti che hanno previsto vantaggi per l’impresa; 2) la successiva comparazione degli effetti dell’amministrazione straordinaria con gli effetti che sarebbero derivati dal fallimento al quale la impresa fosse stata invece assoggettata. Sulla base di detti principi il giudice di rinvio ha ritenuto che il decreto di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria comportasse l’illegittima concessione di aiuti di Stato sotto un duplice profilo.

Anzitutto il decreto stesso consentiva alla AFS di continuare la sua attività economica in circostanze che non sarebbero rientrate nell’ambito di applicazione delle regole previste dalla procedura concorsuale. Inoltre anche negli atti conseguenti al decreto ministeriale di ammissione alla procedura erano identificabili vantaggi e benefici non previsti nella ordinaria procedura fallimentare e che sono identificabili come aiuti di stato.

Chiarito quanto sopra, deve ritenersi priva di fondamento, in relazione ai primi tre motivi di ricorso, la deduzione della controricorrente di inammissibilità del ricorso sotto il profilo che i motivi in questione deborderebbero dall’alveo del giudizio di rinvio circoscritto a dare applicazione dei principi stabiliti da questa Suprema Corte. Nel caso di specie, infatti,.a sentenza n. 9681/99 ha chiaramente affermato che spettava al giudice di rinvio accertare in concreto se il decreto di ammissione alla amministrazione straordinaria o provvedimenti conseguenti potessero costituire aiuti di stato. La sentenza impugnata ha certamente assolto a quanto disposto dalla sentenza di rinvio; resta però da valutare in questa sede di ricorso se le valutazioni effettuate dal giudice di rinvio abbiano dato corretta attuazione a quanto ad esso demandato da questa Corte con la sentenza 9681/99 oppure no. In tal senso rientrano certamente nell’alveo del presente giudizio le censure,sufficientemente precise e circostanziate,che la procedura ricorrente muove alla valutazione concreta effettuata dalla Corte d’appello di violazione da parte del decreto ministeriale e dei provvedimenti conseguenti in esame della normativa comunitaria in tema di aiuti di stato.

Fatta questa premessa, va, in via preliminare, valutato se la sentenza della Corte di Giustizia del 1.12.1998 C-200/97 (pronunciata proprio nel caso di specie), che riveste carattere vincolante e che è stata espressamente richiamata dalla sentenza di questa Corte n. 9681/99, ha ritenuto che la legge sull’amministrazione straordinaria n. 95/79 sia nel suo complesso interamente incompatibile con la normativa comunitaria, in quanto in violazione delle norme che impediscono gli aiuti di stato, ovvero che la legge in esame sia incompatibile solo relativamente a quelle disposizioni che comportano violazione del regime degli aiuti di stato.

L’esame della sentenza della Corte di giustizia citata non lascia dubbi circa il fatto che i giudici lussemburghesi abbiano ritenuto che la L. n. 95 del 1979 sia incompatibile con la legislazione comunitaria solo nella parte in cui preveda degli aiuti non consentiti e che, a tal fine,occorre accertare in concreto che nelle singole procedure si sia dato luogo agli aiuti predetti (v. in senso conforme Cass. 13165/04 e Cass. 18915/04). In particolare, la sentenza 1.12.98 C-200/97 ha affermato che ricorre l’ipotesi di concessione di un aiuto di Stato quando è dimostrato che una impresa “è stata autorizzata a continuare la sua attività economica in circostanze in cui tale eventualità sarebbe esclusa nell’ambito delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento; o ha beneficiato di uno o più vantaggi, quali: una garanzia di Stato, un aliquota d’imposta ridotta, un esenzione all’obbligo di pagamento di ammende e altre sanzioni pecuniarie o una rinuncia effettiva, totale o parziale, ai crediti pubblici, dei quali non avrebbe potuto usufruire un altra impresa insolvente nell’ambito dell’applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento”.

La sentenza in esame, dunque,non individua in via astratta disposizioni della L. n. 95 del 1979, costituenti aiuti di stato,e dunque non afferma in alcun modo la incompatibilità di questa con l’ordinamento comunitario, ma si limita ad affermare che occorre di volta in volta esaminare in giudizio se ad una impresa ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria siano stati concessi o meno benefici costituenti aiuti di stato quali la autorizzazione alla continuazione dell’attività economica in circostanze in cui ciò non sarebbe consentito dalle regole normalmente vigenti in materia di fallimento ovvero concessione di aiuti non consentiti (garanzie di stato, di aliquote fiscali ridotte etc.). A tali principi si è rifatta la sentenza di questa Corte n.9681/99 laddove – come già rammentato – ha stabilito che “sulla base della decisione della Corte di giustizia la individuazione, nel regime introdotto dalla L. n. 95 del 1979, e quindi nel “decreto” della concessione di un aiuto – vietato – di Stato, postula: 1) l’accertamento delle “condizioni” che hanno determinato l’assoggettamento dell’impresa ad amministrazione straordinaria nonchè l’esame non solo del “decreto” ma anche degli “atti” conseguenti che hanno previsto vantaggi per l’impresa; 2) la successiva comparazione degli effetti dell’amministrazione straordinaria con gli effetti che sarebbero derivati dal fallimento al quale la impresa fosse stata invece assoggettata. Non v’è dubbio che detti accertamenti e comparazione – in quanto correlati ad atti e circostanze di causa – non possano che essere svolti dal giudice del merito, posto che a questi compete, istituzionalmente, l’accertamento e la valutazione dei fatti. E’ il giudice di rinvio, pertanto, che dovrà stabilire se il “decreto ” sia o no illegittimo e quindi da disapplicare “. L’impugnata sentenza della Corte di rinvio ha fatto espresso riferimento ai detti criteri, ma l’applicazione fatta degli stessi non appare corretta. In primo luogo, la sentenza impugnata ha ritenuto, come già rilevato, che la continuazione dell’attività economica ad essa concessa esorbitava da quella normalmente concessa per la procedura concorsuale fallimentare.

A sostegno di tale assunto ha osservato che la procedura di amministrazione straordinaria in sè è prevalentemente volta alla continuazione dell’attività produttiva a fini di risanamento con una serie di deroghe e vantaggi economici di cui non avrebbe potuto usufruire una normale impresa sottoposta a fallimento.

Tale assunto, del tutto generico ed immotivato in relazione a quali sarebbero le deroghe ed i benefici di cui usufruirebbe la procedura di amministrazione straordinaria rispetto al fallimento, risulta incentrato non tanto sulla specifica procedura di amministrazione straordinaria della AFS per cui è causa quanto, piuttosto, sulla L. n. 95 del 1979, nel suo complesso nei confronti della quale esprime un giudizio globale di conflitto con la normativa comunitaria sotto il profilo in esame della continuazione dell’impresa. Tale giudizio è in contrasto non solo con i principi enunciati dalla Corte di Giustizia dianzi citati, ma non corrisponde a quanto disposto dalla sentenza di rinvio di questa Corte che, come dianzi riportato, aveva disposto l’accertamento in concreto nel caso di specie della natura di aiuto di stato del decreto di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria che prevedeva la continuazione dell’attività d’impresa.

Nè la Corte di giustizia nè la sentenza di rinvio hanno infatti affermato che, in astratto, la disposizione della L. n. 95 del 1979, che prevede la possibilità di continuazione dell’impresa, costituisce un aiuto di stato in quanto tale perchè prevista in circostanze che non sarebbero rientrate nell’ambito di applicazione delle regole dettate per tale istituto nel fallimento.

Occorre,del resto, a tal proposito osservare che la possibilità di continuazione dell’attività dell’impresa in stato d’insolvenza è un istituto di generale applicazione nel nostro ordinamento.

Basta ricordare che nel fallimento è ammesso l’esercizio provvisorio dell’impresa ai sensi della L. Fall., art. 90, applicabile ratione temporis (vedi Cass. 10208/07; Cass. 21283/05), mentre la continuazione dell’esercizio dell’impresa costituisce la regola nel procedimento di concordato preventivo di una impresa in stato d’insolvenza.

Nell’amministrazione straordinaria disciplinata dalla L. n. 95 del 1979, del resto, la continuazione dell’attività era pur ammissibile, “tenendo anche conto dell’interesse dei creditori”, dunque in una prospettiva non estranea alle esigenze liquidatorie, in quanto non volta ad esclusivo vantaggio dell’impresa ma prevalentemente alla tutela delle esigenze del ceto creditorio. (Cass. 10208/07; Cass. n. 21823 del 2005; v. anche Corte Cost. n. 172 del 2006).

Va a tale proposito rammentato quanto già osservato da questa Corte secondo cui la finalità del risanamento e quella satisfattiva non corrispondono a due distinti periodi della procedura di amministrazione straordinaria, potendo le attività liquidatoria e di ripartizione dell’attivo essere svolte anche durante la prosecuzione dell’esercizio dell’impresa, come dimostra la duplice circostanza che l’attività diretta alla formazione dello stato passivo la L. n. 95 del 1979, stabiliva che fosse avviata subito dopo l’apertura della procedura, conformemente ai tempi previsti per le altre procedure concorsuali di natura liquidatoria, e che, a norma dell’art. 2 della citata legge, il programma predisposto dal commissario dovesse prevedere, tenendo conto dell’interesse dei creditori”, un piano di risanamento coerente con gli indirizzi della politica industriale, con indicazione specifica degli impianti da riattivare e di quelli da completare, nonchè n degli impianti o complessi aziendali da trasferire”; attività liquidatoria quest’ultima, il cui realizzo il citato art. 2 stabiliva che fosse impiegato per la distribuzione di acconti ai creditori o ad alcune categorie di essi.(Cass. 12307/07).

Nè rileva la probabilità che il programma di risanamento consegua risultati positivi, senza far luogo alla liquidazione, perchè quel programma è pur sempre mirato, al pari della continuazione dell’esercizio dell’impresa (L. n. 95 del 1979, art. 2, commi 1 e 5), alla tutela dell’interesse dei creditori e dunque con funzione anche satisfattiva (Cass. 12307/07).

Dunque alla luce di queste considerazioni l’affermazione astratta contenuta nella sentenza impugnata secondo cui la previsione di continuazione dell’impresa prevista della L. n. 95 del 1979, costituisce di per sè un aiuto di Stato oltre che contrastare con il disposto della sentenza di rinvio di questa Corte che richiedeva un accertamento in concreto di tale aspetto,appare astrattamente erroneo in punto di diritto.

La seconda argomentazione posta alla base della decisione consiste nel dire che la prosecuzione dell’impresa sarebbe stata disposta anche per finalità politiche di tutela e sostegno dell’economia sostanzialmente tendenti ad eludere il carattere provvisorio ed eccezionale dell’esercizio provvisorio dell’impresa in ambito fallimentare.

Tale argomentazione appare del tutto irrilevante poichè,quali che possano essere state le ragioni della disposizione di continuazione dell’impresa, è di tutta evidenza che ciò che rileva è se le concrete disposizioni relative alla continuazione dell’impresa previste dal decreto che ha disposto l’amministrazione straordinaria della AFS spa siano di natura tale da costituire aiuti di Stato; ma di tale indagine non si rinviene traccia nella sentenza impugnata.

La sentenza impugnata ha poi ritenuto, nel disapplicare il decreto ministeriale di ammissione alla procedura concorsuale,che anche dai provvedimenti conseguenti derivavano o potevano derivare vantaggi alla impresa costituenti aiuti di Stato ( garanzie dello Stato, finanziamenti, sospensione dal pagamento di debiti pregressi, non applicabilità di penalità per il mancato versamento di contributi, riduzione dell’imposta di registro etc.).

La motivazione non appare però anche in questo caso adeguata.

La Corte d’appello non ha,infatti, in alcun modo chiarito, in concreto, quali benefici siano stati effettivamente erogati alla AFS sembrando desumersi dalla motivazione fornita che, anche in tal caso, abbia in realtà fatto riferimento agli aiuti di stato in astratto previsti dalla L. n. 95 del 1979, quindi, valutando la compatibilità astratta di tale legge con la normativa comunitaria ostativa alla concessione di aiuti di Stato, senza invece esaminare in concreto se tali aiuti erano stati effettivamente concessi, con quali modalità e con quali conseguenze.

La motivazione sul punto appare quindi del tutto carente.

In conclusione dunque i primi tre motivi di ricorso vanno accolti, restando assorbito il quarto.

Il ricorso va, pertanto, accolto nei termini di cui in motivazione. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata con rinvio alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione che si atterrà nel decidere ai principio di diritto dianzi enunciati e che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie i primi tre motivi di ricorso,assorbito il quarto,cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2010

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