Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1422 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/01/2021, (ud. 20/11/2020, dep. 22/01/2021), n.1422

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Anna Maria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3815-2019 proposto da:

D.G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ITALO CARLO

FALBO n. 22, presso lo studio dell’avvocato ANGELO COLUCCI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO DE GIORGIO;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S. N. DE

CESARINI n. 3, presso lo studio dell’avvocato ANGELA BUCCICO,

rappresentato e difeso dagli avvocati ROBERTO FUSCO e TOMMASO

FISCHETTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 542/2018 della CORTE D’APPELLO DI LECCE,

SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 17/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/11/2020 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 16.3.2007 D.G.F. evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Taranto P.G., invocandone la condanna al pagamento dei compensi dovuti a fronte dell’assistenza giudiziale prestata dall’attore in favore della convenuta in relazione ad un giudizio civile svoltosi in primo grado innanzi il Tribunale di Brindisi ed in secondo grado innanzi la Corte di Appello di Lecce. Si costituiva in giudizio la convenuta resistendo alla domanda.

Con sentenza n. 2240/2015 il Tribunale accoglieva la domanda compensando le spese del grado.

Interponeva appello D.G.M., erede di D.G.F., lamentando in particolare l’erronea individuazione, da parte del giudice di prime cure, del valore delle controversie oggetto di causa. Si costituiva in seconda istanza la P., resistendo al gravame. Con la sentenza impugnata, n. 542 del 2018, la Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, accoglieva l’impugnazione, determinando il compenso sulla base di un diverso e superiore scaglione di tariffa, rispetto a quello applicato dal Tribunale, e condannava l’appellata al pagamento di un terzo delle spese del doppio grado, compensando i restanti due terzi.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione D.G.M. affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso M.P..

In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 329c.p.c., comma 2, e degli artt. 343 e 346 c.p.c., nonchè del divieto di reformatio in peius, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente determinato il compenso professionale in misura inferiore al valore massimo dello scaglione di riferimento della tariffa forense. Ad avviso del ricorrente, poichè l’appello riguardava soltanto l’individuazione del corretto scaglione di valore, e considerato che la P. non aveva spiegato appello incidentale in relazione alla determinazione dei compensi nella misura massima prevista dalla tariffa forense, quest’ultimo criterio di calcolo non poteva essere posto in discussione dal giudice di seconda istanza.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, nonchè la violazione dell’art. 112 c.p.c., del D.M. n. 127 del 2004, art. 5, del D.M. n. 585 del 1994, art. 5, delle tabelle A allegate a detto decreto e dell’art. 2233 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, perchè la Corte pugliese avrebbe liquidato il compenso dovuto al ricorrente senza alcuna considerazione per il pregio dell’attività professionale svolta.

Le due censure, che per la loro connessione meritano un esame congiunto, sono inammissibili.

Va invero ribadito che non è possibile configurare il giudicato su un segmento della sequenza logica articolata in fatto, norma ed effetto finale. Infatti “La locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, con la conseguenza che la censura motivata anche in ordine ad uno solo di tali elementi riapre la cognizione sull’intera statuizione, perchè, impedendo la formazione del giudicato interno, impone al giudice di verificare la norma applicabile e la sua corretta interpretazione” (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 16853 del 26/06/2018, Rv. 649361; conf. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 12202 del 16/05/2017, Rv. 644289 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 2217 del 04/02/2016, Rv. 638957).

Nel caso di specie, il gravame proposto dal professionista concerneva la determinazione del compenso, sotto il profilo dell’erronea individuazione dello scaglione di tariffa applicabile. L’accoglimento del motivo di appello ha imposto al giudice di secondo grado la complessiva rideterminazione del compenso, operazione – questa – che ha necessariamente coinvolto anche l’aspetto relativo al riconoscimento dello stesso in misura minima, media o massima. L’individuazione dello scaglione della tariffa forense applicabile alla fattispecie, infatti, costituisce soltanto il primo passaggio della sequenza logica che conduce, attraverso la valutazione dell’attività svolta dal professionista, alla determinazione, nell’ambito dei valori indicati dalla tariffa, del compenso finale.

Nessun giudicato, dunque, si è formato sul riconoscimento, in favore del professionista, dei valori massimi previsti dalla tariffa, poichè la proposizione dell’impugnazione ha comportato la devoluzione al giudice di seconda istanza dell’intera questione controversa, costituita appunto dalla determinazione del compenso, previa individuazione dello scaglione della tariffa applicabile e valutazione del pregio e dell’importanza dell’attività professionale svolta dall’avvocato.

Va quindi ribadito il principio secondo cui “Costituisce capo autonomo della sentenza -come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato interno- solo quello che risolva una questione controversa tra le parti, caratterizzata da una propria individualità e una propria autonomia, sì da integrare, in astratto, gli estremi di un decisum affatto indipendente, ma non anche quello relativo ad affermazioni che costituiscano mera premessa logica della statuizione in concreto adottata” (Cass. Sez.3, Ordinanza n. 2379 del 31/01/2018, Rv. 647932; conf. Cass. Sez.3, Sentenza n. 22863 del 30/10/2007, Rv. 599955).

Le considerazioni sin qui esposte conducono anche all’inammissibilità del secondo motivo di ricorso, poichè la Corte territoriale non ha affatto omesso di valutare l’importanza dell’attività svolta dal professionista ma, al contrario, la ha apprezzata nel nuovo contesto derivante dalla riconosciuta applicabilità alla fattispecie di un superiore scaglione della tariffa forense.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.700 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 20 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

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