Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1422 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. III, 20/01/2017, (ud. 11/11/2016, dep.20/01/2017),  n. 1422

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13651-2014 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAMPELLO SUL

CLITUNNO 20, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO GALDIERI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SABRINA GALDIERI

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MEDIA PIU’ SRL (GIA’ NDP ADEVERTISING SRL) in liquidazione in persona

dei coliquidatori pro-tempore SA.MA. e SA.CA.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA B. BUOZZI 82, presso lo

studio dell’avvocato LUCA VINCENZO ORSINI, che la rappresenta e

difende giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5984/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/11/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato SABRINA GALDIERI;

udito l’Avvocato MAURIZIO MARCHISIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IACOVIELLO FRANCESCO MAURO che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza n. 12084/2009 il Tribunale di Roma accoglieva la domanda, proposta da S.A., di condanna di Media Più Srl – cui l’attore aveva locato il 1 ottobre 2003 un immobile sito in Roma, contratto poi consensualmente risolto dalle parti con riconsegna del bene in data 3 ottobre 2005 – al risarcimento di danni subiti dall’immobile per Euro 30.000 oltre accessori e spese di causa. Avendo presentato appello principale Media Più S.r.l. e incidentale S.A., la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 7 novembre-30 dicembre 2013, ha accolto l’appello principale, ritenendo non provata la pretesa risarcitoria e condannando lo S. – per domanda riconvenzionale che il giudice di prime cure aveva riconosciuto fondata in motivazione senza però trarne conseguenze nel dispositivo – a restituire a Media Più Srl il deposito cauzionale di Euro 6.600, oltre agli interessi legali; ha altresì accolto l’appello incidentale limitatamente alla condanna di Media Più Srl al pagamento degli ultimi due cannoni, per Euro 4465,28 oltre interessi.

2. Ha presentato ricorso lo S., sulla base di tre motivi. Si difende con controricorso Media Più Srl.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è inammissibile.

3.1 Il ricorrente adduce di proporre tre motivi, così rubricati: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c.; 2) insufficiente e contraddittoria motivazione; 3) eccesso di potere. In realtà il contenuto dei tre motivi è illustrato congiuntamente.

Anzitutto adduce il ricorrente che la motivazione della sentenza “si basa essenzialmente” sulla premessa che il verbale di riconsegna non proverebbe l’esistenza dei danni; in tal modo però la sentenza non attribuirebbe rilievo alla sottoscrizione del verbale da parte di Media Più Srl, nè al fatto che nel verbale Media Più S.r.l. dichiara “prendo atto” quanto alla dichiarazione dello S. di avere intenzione di incaricare un perito. In questo modo, infatti, Media Più Srl avrebbe accettato il criterio scelto dal locatore per la ricognizione precisa dei danni. Da ciò deriverebbero la illogicità e la erroneità giuridica dell’avere la corte territoriale ritenuto che la perizia di parte del geometra Romani non abbia valore probatorio perchè Media Più Srl ne ha contestato le conclusioni in quanto espletata senza contraddittorio: dal momento che aveva dichiarato di prendere atto, sarebbe stato suo onere precisare che voleva che la perizia si svolgesse in contraddittorio quando sottoscrisse il verbale, e pure sarebbe stato suo onere prendere iniziative in tal senso.

Se è vero, poi – osserva ancora il ricorrente -, che la perizia stragiudiziale non è prova, essa vale però come indizio, il cui apprezzamento rientra nel libero convincimento del giudice di merito. Pertanto la corte territoriale non avrebbe potuto censurare il primo giudice per avere considerato la perizia di parte, perchè quest’ultimo poteva farlo se ne dava adeguata motivazione, che nel caso in esame sussisterebbe.

Logicamente incensurabile sarebbe inoltre il fatto che il giudice d’appello abbia dato rilievo, per ritenere prive di significato la perizia del geometra R. e le deposizioni dei testi addotti dalla difesa dell’attuale ricorrente, al tempo intercorso tra la riconsegna e la successiva visione dell’immobile da parte del perito e dei testi, dato che in quel periodo l’immobile non era stato locato ad altri. La corte territoriale avrebbe quindi violato l’art. 116 c.p.c. per avere ingiustamente negato il potere del Tribunale di valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, “con ciò incorrendo anche in eccesso di potere”.

3.2 Come dimostra chiaramente la sintesi appena tracciata, l’effettivo contenuto di quello che in realtà è un unico motivo non adduce un vizio motivazionale (a prescindere dal fatto che nella rubrica lo descrive in conformità al previgente dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come insufficienza e contraddittorietà), nè tanto meno focalizza nella sentenza impugnata una reale violazione dell’art. 116 c.p.c., invocato, a ben guardare, come schermo della vera natura del motivo. Questo, infatti, inammissibilmente persegue dal giudice di legittimità una revisione dell’accertamento in punto di merito effettuato dalla corte territoriale, adducendo una serie di elementi che, secondo la prospettazione del ricorrente, condurrebbero appunto ad un esito fattuale diverso da quello tratto dal compendio probatorio dal giudice d’appello. E ciò, d’altronde, senza neppure confrontarsi adeguatamente con l’accurata analisi delle deposizioni testimoniali compiuta dal giudice d’appello, ma, per di più, imputando a quest’ultimo di avere svolto il suo compito riformando, come se ciò costituisse un eccesso di potere rispetto ad un accertamento di primo grado che, in tale ottica, non sarebbe più stato scalfibile.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art..

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 6200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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