Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14219 del 19/07/2016

Cassazione civile sez. II, 12/07/2016, (ud. 26/04/2016, dep. 12/07/2016), n.14219

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3590/2012 proposto da:

D.B.P.A., (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA PRINCIPESSA CLOTILDE 7, presso lo studio

dell’avvocato GIORGIO ALTIERI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FRANCO BRUNO CAMPAGNI;

– ricorrente –

e contro

CURATELA FALLIMENTO FARMARM SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1576/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 06/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/04/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

udito l’Avvocato RAVONE Vincenzo, con delega dell’Avvocato

CAMPAGNI Franco Bruno, difensore del ricorrente che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 4 febbraio 1993 D.B.P. A. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Prato FAR.MARM. s.r.l. chiedendo la risoluzione del contratto di compravendita di una partita di marmo statuario di prima scelta, con condanna della convenuta al ritiro del materiale viziato ed al risarcimento dei danni subiti. L’attore sosteneva che gli era stato consegnata una qualità di marmo inidonea alla posa in opera e diversa da quanto pattuito.

La società convenuta si costituiva eccependo in primo luogo la decadenza della controparte dalla garanzia per i vizi ex art. 1497 c.c., dato che la relativa denuncia era intervenuta solo a distanza di circa un mese dalla consegna del marmo. In via riconvenzionale chiedeva la condanna dell’attore al pagamento del prezzo di vendita pari a Lire 36.320.108, oltre interessi e rivalutazione. In corso di causa la società FAR.MARM. veniva dichiarata fallita e la causa era quindi proseguita nei confronti della curatela fallimentare.

Il Tribunale di Prato rigettava la domanda attrice ritenendo fondata l’eccezione di decadenza della denuncia dei vizi; in accoglimento della domanda riconvenzionale della società convenuta condannava, poi, D.B. al pagamento della somma di Euro 18.757,77, oltre interessi dalla domanda.

L’attore soccombente proponeva appello, deducendo in primo luogo che il termine decadenziale dovesse decorrere dalla posa in opera del marmo, e cioè dal momento in cui si erano concretamente manifestati i vizi; asseriva inoltre che nella specie si ricadeva nell’ipotesi di vendita di aliud pro alio.

Si costituiva la curatela appellata, chiedendo il rigetto del gravame e la conferma della sentenza impugnata.

La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 6 dicembre 2011, rigettava l’impugnazione confermando integralmente la sentenza di primo grado.

A fondamento della decisione la Corte territoriale poneva il principio in base al quale grava sull’acquirente un onere di diligenza consistente nel dovere di esaminare subito, ossia al momento della consegna, la cosa comprata per rilevare eventuali vizi e difetti. Di conseguenza, secondo il giudice dell’impugnazione, la decorrenza del termine per la denuncia andava individuato al momento della consegna, e non successivamente, a nulla rilevando che il bene venduto fosse imballato. Quanto all’aliud pro alio, rilevava che la questione era stata sollevata solo in appello e osservava, comunque, che la fattispecie prospettata non si configurava: la tutela invocata si configurava, infatti, ove il bene venduto, appartenendo ad un genere diverso, si rivelasse funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico-sociale della res promessa.

Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione D. B.P.A. formulando due motivi di impugnazione, illustrati da memoria. La curatela, intimata, non ha svolto attività processuale in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente eccepisce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1490, 1495, 1497 e 1511 c.c., in quanto la Corte territoriale avrebbe imposto all’acquirente un onere di diligenza superiore a quello del buon padre di famiglia, avuto riguardo all’oggetto del contratto dedotto in giudizio: ciò, tenuto conto che solo al momento dell’assemblaggio o della posa in opera delle singole lastre di marmo si sarebbe potuta rilevare la non corrispondenza del bene a quello oggetto del negozio di compravendita. Infatti, un semplice controllo a campione non avrebbe evidenziato l’inidoneità della merce consegnata.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1497 e 1495 c.c., ritenendo che nel caso di specie ricorra un’ipotesi di aliud pro alio e che quindi la domanda di risoluzione contrattuale fosse svincolata dai termini e dalle condizioni di cui all’art. 1495 c.c.. La Corte di merito aveva impropriamente qualificato come nuova la domanda reiterata avanti al giudice dell’impugnazione: espone l’istante che anche in prime cure aveva domandato di accertare che la fornitura di marmo fosse diversa, per qualità e quantità, da quella ordinata. In conseguenza, risultavano inapplicabili i termini di decadenza di cui agli artt. 1495 e 1497 c.c..

I due motivi non hanno fondamento.

Quanto al primo, la Corte di merito muove dal presupposto che nella circostanza debba trovare applicazione l’art. 1511 c.c.: norma che –

come è noto si riferisce all’ipotesi di vendita di cose da trasportare da un luogo ad un altro.

Tale era la fattispecie, essendo pacifico che la partita di marmo non fu ritirata dall’acquirente ma a questi consegnata dall’odierna intimata.

Ora, l’art. 1511 c.c., pone a carico del compratore un onere di diligenza consistente nel dovere di esaminare la cosa comprata per rilevarne vizi o difetti apparenti; cosicchè il termine per la denuncia dei vizi e dei difetti di qualità apparenti decorre dal giorno in cui il compratore è stato in grado di esaminare la merce, ossia del giorno in cui questa è stata posta nella sua disponibilità mediante la consegna (Cass. 5 gennaio 1996, n. 49;

Cass. 10 aprile 2000, n. 4496). La ratio della norma in esame consiste infatti nel non lasciare incerta la sorte del contratto e non già nel dare anche la dimostrazione dei vizi, necessaria soltanto in un secondo momento, allorchè la contestazione sia insorta (Cass. 5 gennaio 1996, n. 49, in motivazione, la quale ha annullato la pronuncia del giudice di merito che aveva escluso l’apparenza del vizio della cosa venduta sul presupposto che la merce si trovava confezionata per la spedizione in una scatola non trasparente).

Discende da ciò che il ricorrente era tenuto a verificare prontamente la merce consegnata, non potendo procrastinare detta operazione al momento in cui, dovendo procedere alla posa in opera del marmo, avesse aperto gli imballaggi.

Sostiene il ricorrente che il vizio non avrebbe potuto essere rilevato attraverso una indagine a campione; sostiene, altresì, che poichè l’oggetto del contratto era il risultato dell’assemblaggio di più componenti, il termine doveva decorrere dalla completa posa in opera delle lastre di marmo.

In tal modo viene contestato che il vizio lamentato fosse occulto, e non apparente: infatti, in tanto si può postulare che il termine di decadenza debba decorrere dalla scoperta del vizio (ex art. 1495 c.c., comma 1), in quanto si sia in presenza di un vizio non palese (tale da sfuggire, quindi, alla disciplina speciale che l’art. 1511 c.c., dedica ai vizi apparenti delle cose trasportate).

La natura occulta o palese del vizio costituisce però materia di un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito; nè il ricorrente ha sollevato, col primo motivo, censure motivazionali ex art. 360 c.p.c., n. 5.

D’altro canto, non può nemmeno sostenersi che nella fattispecie venga in questione una ipotesi di mancanza di qualità promesse, potendosi al più configurare, nella partita di marmo fornita, la mancanza delle qualità essenziali per l’uso cui il bene doveva essere destinato. Infatti, nulla di specifico è stato accertato giudizialmente con riguardo a specifiche pattuizioni aventi ad oggetto il lotto di merce da consegnare. Potrebbe invece ricorrere, nella fornitura che qui interessa, una ipotesi di difetto di qualità essenziali: evenienza, questa, che si configura allorquando la cosa venduta debba considerarsi, per la sua natura, per gli elementi che la compongono o per le sue caratteristiche strutturali (come, ad esempio, differenze di sostanza, di materia, di colore, e via dicendo) come appartenente ad un tipo diverso da quello dedotto in contratto secondo le finalità del negozio (cfr. Cass. 9 maggio 1977, n. 1796, che ha infatti ritenuto il difetto di qualità essenziali in una fornitura di marmi per pavimentazione, perchè la notevole diversità di colore delle lastre del pavimento dava un risultato inaccettabile per il contrasto di colorazione).

Il fatto, però, che si verta in tema di mancanza delle qualità essenziali per l’uso cui è destinato il bene compravenduto non sposta i termini della questione, visto che il riferimento dell’art. 1511 c.c., ai “difetti di qualità apparenti” concerne sicuramente tale carenza (cfr. da ultimo Cass. 16 giugno 2016, n. 12465).

Passando al secondo motivo, la Corte distrettuale ha rilevato come la prospettazione basata sull’aliud pro alio avesse carattere di novità, con ciò rappresentando, seppur implicitamente, l’inammissibilità della censura: censura che peraltro ha poi esaminato nel merito, ritenendola infondata.

Il contrario assunto dell’odierno ricorrente, secondo cui la deduzione dell’aliud pro alio era contenuta nell’atto introduttivo del giudizio avanti al Tribunale non è condivisibile. Esso si fonda sul dato letterale delle conclusioni rassegnate in primo grado, nelle quali si è chiesto di accertare che la fornitura era, tra l’altro, “diversa, per qualità e quantità” da quella ordinata e “inutilizzabile”. Tali espressioni appaiono del tutto generiche, oltre che atecniche, e inidonee a dar ragione dell’introduzione di un tema di lite distinto da quello esplicitato nelle nominate conclusioni e incentrato sulla mancanza, nella partita consegnata, “delle qualità promesse e garantite ovvero essenziali” (ipotesi, questa, chiaramente riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 1497 c.c.).

L’ulteriore censura basata sulla fondatezza del motivo di appello (e quindi sulla circostanza per cui ricorreva in concreto una ipotesi di aliud pro alio) è infine inammissibile. Infatti, qualora il giudice, dopo aver rilevato una inammissibilità ed essersi spogliato della potestas iudicandi sul merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare tale statuizione, sicchè è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale, mentre è inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (Cass. 20 agosto 2015, n. 17004;

Cass. 5 luglio 2007, n. 15234).

Il ricorso è dunque respinto.

Nulla deve statuirsi in punto di spese, stante la mancata costituzione dell’intimato Fallimento.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 26 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2016

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