Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14219 del 12/07/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 14219 Anno 2016
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: FALABELLA MASSIMO

SENTENZA
sul ricorso 3590-2012 proposto da:

DI

BELLA

PLACIDO

elettivamente domiciliaLo

ALUIDE

DBLPCD43L18E606B,

in ROMA, VIA PRINCIPESSA

CLOTILDE 7, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO
ALTIERI, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato FRANCO BRUNO CAMPAGNI;
– ricorrente 2016
907

nonchè contro

CURATELA FALLIMENTO FARMARM SRL;
– intimato –

avverso la sentenza n. 1576/2011 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 12/07/2016

di FIRENZE, depositata il 06/12/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/04/2016 dal Consigliere Don. MASSIMO
FALABELLA;
l’Avvocato

dell’Avvocato

RAVONE

Vincenzo,

con

delega

CAMPAGNI Franco Bruno, difensore del

ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udito

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 4 febbraio
1993 Di Bella Placido Alcide conveniva in giudizio

la risoluzione del contratto di compravendita di una
partita di marmo statuario di prima scelta, con
condanna della convenuta al ritiro del materiale
viziato ed al risarcimento dei danni subiti. L’attore
sosteneva che gli era stato consegnata una qualità di
marmo inidonea alla posa in opera e diversa da quanto
pattuito.
La società convenuta si costituiva eccependo in
primo luogo la decadenza della controparte dalla
garanzia per i vizi ex art. 1497 c.c., dato che la
relativa denuncia era intervenuta solo a distanza di
circa un mese dalla consegna del marmo. In via
riconvenzionale chiedeva la condanna dell’attore al
pagamento del prezzo di vendita pari a E 36.320.108,
oltre interessi e rivalutazione. In corso di causa la
società FAR.MARM. veniva dichiarata fallita e la causa
era quindi proseguita nei confronti della curatela
fallimentare.
Il Tribunale di Prato rigettava la domanda attrice
ritenendo fondata l’eccezione di decadenza della
denuncia dei vizi; in accoglimento della domanda
3

avanti al Tribunale di Prato FAR.MARM. s.r.l. chiedendo

riconvenzionale della società convenuta condannava,
poi, Di Bella al pagamento della somma di 18.757,77,
oltre interessi dalla domanda.
L’attore soccombente proponeva appello, deducendo

in primo luogo che il termine decadenziale dovesse
decorrere dalla posa in opera del marmo, e cioè dal
momento in cui si erano concretamente manifestati i
vizi; asseriva inoltre che nella specie si ricadeva
nell’ipotesi di vendita di allud pro allo.
Si costituiva la curatela appellata, chiedendo il
rigetto del gravame e la conferma della sentenza
impugnata.
La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 6
dicembre 2011, rigettava l’impugnazione confermando
integralmente la sentenza di primo grado.
A fondamento della decisione la Corte territoriale
poneva

il

principio

in base

al

quale

grava

sull’acquirente un onere di diligenza consistente nel
dovere di esaminare subito, ossia al momento della
consegna, la cosa comprata per rilevare eventuali vizi
e difetti. Di conseguenza, secondo il giudice
delll’impugnazione, la decorrenza del termine per la
denuncia andava individuato al momento della consegna,
e non successivamente, a nulla rilevando che il bene
(”
venduto fosse imballato. Quanto
4

all’allud pro allo,

rilevava che la questione era stata sollevata solo in
appello e osservava, comunque, che la fattispecie
prospettata non si configurava: la tutela invocata si

ad un genere diverso, si rivelasse funzionalmente del
tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economicosociale della res promessa.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso
per cassazione Di Bella Placido Alcide formulando due
motivi di impugnazione, illustrati da memoria. La
curatela, intimata, non ha svolto attività processuale
in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente eccepisce la
violazione o falsa applicazione degli artt. 1490, 1495,
1497 e 1511 c.c., in quanto la Corte territoriale
avrebbe imposto all’acquirente un onere di diligenza
superiore a quello del buon padre di famiglia, avuto
riguardo all’oggetto del contratto dedotto in giudizio:
ciò, tenuto conto che solo al momento dell’assemblaggio
o della posa in opera delle singole lastre di marmo si
sarebbe potuta rilevare la non corrispondenza del bene
a quello oggetto del negozio di compravendita. Infatti,
un semplice controllo a campione non avrebbe
evidenziato l’inidoneità della merce consegnata.
5

configurava, infatti, ove il bene venduto, appartenendo

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la
violazione o falsa applicazione degli artt. 1497 e 1495
C.C., ritenendo che nel caso di specie ricorra

risoluzione contrattuale fosse svincolata dai termini e
dalle condizioni di cui all’art. 1495 c.c.. La Corte di
merito aveva impropriamente qualificato come nuova la
domanda reiterata avanti al giudice dell’impugnazione:
espone l’istante che anche in prime cure aveva
domandato di accertare che la fornitura di marmo fosse
diversa, per qualità e quantità, da quella ordinata. In
conseguenza, risultavano inapplicabili i termini di
decadenza di cui agli artt. 1495 e 1497 c.c..

I due motivi non hanno fondamento.
Quanto al primo, la Corte di merito muove

dal

presupposto che nella circostanza debba trovare
applicazione l’art. 1511 c.c.: norma che – come è noto
si riferisce all’ipotesi di vendita di cose da
trasportare da un luogo ad un altro.
Tale era la fattispecie, essendo pacifico che la
partita di marmo non fu ritirata dall’acquirente ma a
questi consegnata dall’odierna intimata.
Ora, l’art. 1511 c.c. pone a carico del compratore
un onere di diligenza consistente nel dovere di
esaminare la cosa comprata per rilevarne vizi o difetti
6

un’ipotesi di aliud pro allo e che quindi la domanda di

apparenti; cosicché il termine per la denuncia dei vizi
e dei difetti di qualità apparenti decorre dal giorno
in cui il compratore è stato in grado di esaminare la

nella sua disponibilità mediante la consegna (Cass. 5
gennaio 1996, n. 49; Cass. 10 aprile 2000, n. 4496. La
ratio della norma in esame consiste

infatti

nel non

lasciare incerta la sorte del contratto e non già nel
dare anche la dimostrazione dei vizi, necessaria
soltanto in un secondo momento, allorché la
contestazione sia insorta (Cass. 5 gennaio 1996, n. 49,
in motivazione, la quale ha annullato la pronuncia del
giudice di merito che aveva escluso l’apparenza del
vizio della cosa venduta sul presupposto che la merce
si trovava confezionata per la spedizione in una
scatola non trasparente).
Discende da ciò che il ricorrente era tenuto a
verificare prontamente la merce consegnata, non potendo
procrastinare detta

operazione al momento in cui,

dovendo procedere alla posa in opera del marmo, avesse
aperto gli imballaggi.
Sostiene il ricorrente che il vizio non avrebbe
potuto essere rilevato attraverso una indagine a
campione; sostiene, altresì, che poiché

l’oggetto del

contratto era il risultato dell’assemblaggio di più
7

merce, ossia del giorno in cui questa è stata posta

componenti, il termine doveva decorrere dalla completa
posa in opera delle lastre di marmo.
In tal modo viene contestato che il vizio

tanto si può postulare che il termine di decadenza
debba decorrere dalla scoperta del vizio (ex art. 1495,
l ° co. c.c.), in quanto si sia in presenza di un vizio
non palese

(tale da sfuggire, quindi, alla disciplina

speciale che l’art. 1511 c.c. dedica ai vizi apparenti
delle cose trasportate).
La natura occulta o palese del vizio costituisce
però materia di un accertamento di fatto, riservato al
giudice di merito; né il ricorrente ha sollevato, col
primo motivo, censure motivazionali ex art. 360, n. 5
c.p.c..
D’altro canto, non

può nemmeno sostenersi che

nella fattispecie venga in questione una ipotesi di
mancanza di qualità promesse, potendosi al più
configurare, nella partita di marmo fornita, la
mancanza delle qualità essenziali per l’uso cui il bene
doveva essere destinato. Infatti, nulla di specifico è
stato accertato giudizialmente con riguardo a
specifiche pattuizioni aventi ad oggetto il lotto di
merce da consegnare. Potrebbe invece

ricorrere, nella

fornitura che qui interessa, una ipotesi di difetto di
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lamentato fosse occulto, e non apparente: infatti, in

qualità essenziali: evenienza, questa, che si configura
allorquando la cosa venduta debba considerarsi, per la
sua natura, per gli elementi che la compongono o per le

differenze di sostanza, di materia, di colore, e via
dicendo) come appartenente ad un tipo diverso da quello
dedotto in contratto secondo le finalità del negozio
(cfr. Cass. 9 maggio 1977, n. 1796, che ha infatti
ritenuto il difetto di qualità essenziali in una
fornitura di marmi per pavimentazione, perché la
notevole diversità di colore delle lastre del pavimento
dava un risultato inaccettabile per il contrasto di
colorazione).
Il fatto, però, che si verta in tema di mancanza
delle qualità essenziali per l’uso cui è destinato il
bene compravenduto non sposta i termini della
questione, visto che il riferimento dell’art. 1511 c.c.
ai “difetti di qualità apparenti” concerne sicuramente
tale carenza (cfr. da ultimo Cass. 16 giugno 2016, n.
12465).
Passando al secondo motivo, la Corte distrettuale
ha rilevato come la prospettazione basata sull’ailud
pro alio

avesse carattere di novità, con ciò

rappresentando,

seppur

implicitamente,

l’inammissibilità della censura: censura che peraltro
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sue caratteristiche strutturali (come, ad esempio,

ha poi esaminato nel merito, ritenendola infondata.
Il contrario assunto dell’odierno ricorrente,
secondo cui la deduzione dell’allud

pro alio

era

Tribunale non è condivisibile. Esso si fonda sul dato
letterale delle conclusioni rassegnate in primo grado,
nelle quali si è chiesto di accertare che la fornitura
era, tra l’altro, “diversa, per qualità e quantità” da
quella ordinata e “inutilizzabile”. Tali espressioni
appaiono del tutto generiche, oltre che atecniche, e
inidonee a dar ragione dell’introduzione di un tema di
lite distinto da quello esplicitato nelle nominate
conclusioni e incentrato sulla mancanza, nella partita
consegnata, “delle qualità promesse e garantite ovvero
essenziali” (ipotesi, questa, chiaramente riconducibile
alla fattispecie di cui all’art. 1497 c.c.).
L’ulteriore censura basata sulla fondatezza del
motivo di appello (e quindi sulla circostanza per cui
ricorreva in concreto una ipotesi di aliud pro allo) è
infine inammissibile. Infatti, qualora il giudice, dopo
aver rilevato una inammissibilità ed essersi spogliato
della potestas ludicandi sul merito della controversia,
abbia impropriamente inserito nella sentenza
argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha
l’onere né l’interesse ad impugnare tale statuizione,

lo

contenuta nell’atto introduttivo del giudizio avanti al

sicché è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla
sola statuizione pregiudiziale, mentre è inammissibile,
per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in

motivazione sul merito, svolta

ad abundantiam

nella

sentenza gravata (Cass. 20 agosto 2015, n. 17004; Cass.
5 luglio 2007, n. 15234).
Il ricorso è dunque respinto.
Nulla deve statuirsi in punto di spese, stante la
mancata costituzione dell’intimato Fallimento.
P.Q.M.

La Corte
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio
della 2″ Sezione Civile, in data 26 aprile 2016.

cui pretenda un sindacato anche in ordine alla

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