Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14217 del 14/06/2010

Cassazione civile sez. I, 14/06/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 14/06/2010), n.14217

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22324-2008 proposto da:

B.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.

ANTONELLI 50, presso l’avvocato GICCA PALLI STELIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FREGNI GIORGIO, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositato il

17/12/2007, n. 294/07 Ruolo V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato S. GICCA PALLI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla Corte dei Conti di Roma in data 6.2.1976 B. E. impugnò il decreto n. 3109 del 7.11.1975, con cui il Ministero della Difesa gli aveva negato il riconoscimento del diritto alla pensione privilegiata per una infermità contratta durante il servizio militare di leva.

Con l’entrata in vigore della L. n. 19 del 1994, istitutiva delle sezioni regionali della Corte dei Conti, il ricorso fu inviato da Roma alla Sezione Regionale della Corte dei Conti per l’Emilia Romagna, con sede in Bologna.

Subito dopo avere ricevuto la comunicazione della Corte dei Conti di Bologna L. n. 19 del 1994, ex art. 6 (di conversione in legge del D.L. n. 453 del 1993), il ricorrente depositò tempestiva istanza per la prosecuzione del ricorso.

Dopo oltre 27 armi la Corte dei Conti di Bologna ha respinto, con sentenza del 10.3.2003, il ricorso del B..

Il B., successivamente, con ricorso alla Corte d’Appello di Bologna chiedeva la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento di un’equa riparazione, nella misura di Euro 25.000,00, per violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per l’eccessiva durata del summenzionato processo dinanzi alla Corte dei Conti.

La Corte d’Appello di Bologna con decreto del 2004 rigettava il ricorso, sul rilievo che la durata del procedimento fosse addebitabile alla omessa attivazione del B., non avendo questo presentato istanza di prelievo, e che non aveva offerto elementi di valutazione della posta in gioco.

Detto decreto è stato impugnato dal B. dinanzi alla Corte di Cassazione, che con sentenza n. 2533 del 2007 ha accolto il ricorso, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’Appello di Bologna.

Il B. ha provveduto alla rituale riassunzione della causa, reiterando la domanda di equa riparazione proposta.

Con decreto del 21.9-17.12.2007, detta Corte, ritenuta ingiustificata per il periodo di ventuno anni la durata del processo presupposto, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento di Euro 2.100,00 (Euro 100,00 per ogni anno di ritardo), oltre interessi legali dalla pubblicazione del decreto al saldo.

Avverso detto decreto B.E. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi. La intimata Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha spiegato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 6 e 53 della CEDU e dell’art. 111 Cost. per avere liquidato Euro 100,00 per ogni anno di ritardo, in violazione dei parametri stabiliti dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo in una somma variabile tra i 1.000, ed i 1.500,00 Euro annui; con il secondo motivo denuncia omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia e precisamente per non avere motivato in ordine alla richiesta istruttoria del ricorrente di acquisizione di tutti gli atti e documenti relativi al processo dinanzi alla Corte dei Conti, atteso che tale documentazione avrebbe consentito al giudice a quo di valutare e trarre le logiche conseguenze dall’ammontare della posta in gioco, dal valore della domanda, dalle condizioni socio-economiche del ricorrente; con il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, per aver lasciato cadere nel vuoto la richiesta della parte ricorrente di acquisire, ai sensi di detta norma, tutti gli atti e documenti relativi al processo avanti alla Corte dei Conti, avendo l’omessa acquisizione di detta documentazione inciso in modo decisivo sulla valutazione della eccessiva durata del processo e sulla quantificazione del danno, avendo la Corte di merito tratto conseguenze dal fatto di non aver potuto valutare l’entità della posta in gioco, le condizioni socio-economiche del ricorrente ed il valore della domanda; con il quarto motivo denuncia omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia per avere affermato che il ricorrente non avrebbe fornito elementi di valutazione della posta in gioco nel processo pensionistico, nè provato le sue condizioni socio-economiche, quando l’elemento della posta in gioco era desumibile sia dalla sentenza della Corte Suprema, con la quale è stato disposto il rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, sia dalla sentenza della Corte dei Conti in atti; con il quinto motivo denuncia violazione o falsa applicazione del R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, art. 17, della L. 28 luglio 1971, n. 585, art. 20 e del D.L. 15 novembre 1993, n. 453, art. 6, violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 6 e 53 della CEDU e dell’art. 111 Cost., avendo la Corte d’Appello di Bologna erroneamente ritenuto la sussistenza nel processo pensionistico di una norma che preveda un onere del ricorrente di presentazione di istanze di trattazione anticipata, tenendone conto, con violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 ai fini della valutazione del “comportamento delle parti”.

Non costituendo la presentazione della istanza di anticipazione della trattazione della causa pensionistica onere del ricorrente, la mancata presentazione della stessa, non potendo essere imputata a comportamento negligente del ricorrente, non potrebbe portare ad escludere che la durata irragionevole del processo venga imputata esclusivamente allo Stato; con il sesto motivo denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 6 e 53 della CEDU e dell’art. 111 Cost., avendo la Corte di merito determinato la ragionevole durata del processo presupposto in anni sei, anzichè in tre, in considerazione della riorganizzazione degli uffici della Corte dei Conti a seguito del decentramento delle funzioni istituzionali disposto con D.L. n. 453 del 1993, evenienza che di per sè non potrebbe rilevare ai fini della valutazione della complessità delle controversie e della quale, quindi, non potrebbe tenersi conto per la determinazione dei tempi medi di definizione dei giudizi nell’ottica della ragionevole durata degli stessi.

Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.

La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha indicato quale durata ragionevole del giudizio di primo grado anni tre. Nel caso di specie il giudice a quo si è discostato da tale parametro indicato dalla CEDU, aggiungendovi ulteriori anni tre in conseguenza della riorganizzazione degli uffici della Corte dei Conti avvenuta nel 1994, vale a dire 19 anni dopo l’inizio del processo presupposto.

Tale decisione è del tutto illegittima, atteso che i tre anni di durata ragionevole del processo presupposto erano già decorsi da anni quando è intervenuta detta riorganizzazione degli uffici della Corte dei Conti; tale evenienza, pertanto, non può avere alcuna rilevanza al fine della determinazione della durata ragionevole del processo. Conseguentemente al periodo di anni ventuno di durata dal giudice a quo ritenuta non ragionevole devono essere aggiunti ulteriori tre anni, sicchè la durata non ragionevole va determinata in anni ventiquattro.

Ugualmente illegittima è la decisione impugnata per aver determinato l’equa riparazione nella misura di Euro 100,00 per ogni anno di durata eccessiva. Tale liquidazione è di gran lunga inferiore ai parametri CEDU, cui il giudice nazionale è tenuto ad attenersi.

Pertanto, tenuto conto di quanto liquidato dalla CEDU in fattispecie analoghe, ritiene il collegio adeguato l’indennizzo complessivo di Euro 13.500,00 (tredicimilacinquecento), con gli interessi legali dal dì della domanda.

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere accolto nei limiti su indicati, il decreto impugnato conseguentemente deve essere cassato e, non essendo necessari ulteriori accertamenti istruttori, la causa può essere decisa nel merito, condannando l’Amministrazione convenuta al pagamento a favore del ricorrente, a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale, della somma di Euro 13.500,00, con gli interessi legali a partire dalla domanda.

L’Amministrazione convenuta, perchè soccombente, va condannata, altresì, al pagamento a favore del ricorrente delle spese processuali sia del giudizio di merito che di quello di legittimità, che appare giusto liquidare come da dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione al pagamento a favore del ricorrente, a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale, della somma di Euro 13.500,00 (tredicimilacinquecento) con gli interessi legali a partire dalla domanda; condanna, altresì, l’Amministrazione al pagamento delle spese giudiziali, che si liquidano: per il primo giudizio di merito nella misura complessiva di Euro 1.850,00 (milleottocentocinquanta), di cui Euro 50,00 per esborsi, 600,00 per diritti e 1.200,00 per onorari; per il secondo giudizio di merito in eguale misura; per il primo giudizio di legittimità nella misura complessiva di Euro 1.600,00 (milleseicento), di cui Euro 100,00 per spese; in eguale misura per il secondo giudizio, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2010

 

 

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