Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14217 del 05/06/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 14217 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA

sul ricorso 17360-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e
difesa dall’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega
2013

in atti;
– ricorrente –

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contro

MAZZEI EMILIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
PARAGUAY 5, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO

Data pubblicazione: 05/06/2013

SICILIANO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato BILOTTA MARIA, giusta delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 1154/2007 della CORTE D’APPELLO
di CATANZARO, depositata il 21/06/2007 r.g.n. 560/06 ;

udienza del 18/04/2013 dal Consigliere Dott.
GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega GRANOZZI
GAETANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

confermò la pronuncia di prime cure, dichiarativa della nullità del
termine apposto al contratto intercorso fra la Poste Italiane spa e
Mazzei Emilio, relativo al periodo 5 settembre – 30 settembre 2000,
“per necessità di espletamento del servizio di recapito in
concomitanza di assenza per ferie”, ai sensi dell’art. 8 CCNL

26.11.1994.
Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, la Poste
Italiane spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su dodici
motivi e illustrato con memoria.
L’intimato Mazzei Emilio ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 112
cpc, per non essersi la Corte territoriale pronunciata sulla svolta
eccezione di sopravvenuta carenza di interesse alla domanda di
riammissione in servizio, in conseguenza della definitività del
licenziamento inflitto al lavoratore in epoca successiva alla sentenza
di primo grado.
1.1 La doglianza è infondata, atteso che, pronunciandosi nel merito,
la Corte territoriale ha implicitamente, ma inequivocabilmente,
escluso l’accoglibilità dell’eccezione, onde non può ravvisarsi la
violazione di legge denunciata.

Con sentenza del 5 – 21.6.2007 la Corte d’Appello di Catanzaro

2. Con il secondo e il terzo motivo, formulati rispettivamente per

si duole dell’intervenuta reiezione, da parte della Corte territoriale,
dell’eccezione di intervenuta risoluzione del rapporto per mutuo
consenso, in relazione all’inerzia mantenuta dal lavoratore dopo la
scadenza del contratto a termine e fino alla manifestazione della
volontà di ripristinare la funzionalità di fatto del rapporto.
2.1 Secondo il condiviso orientamento di questa Corte (cfr, ex
plurimis, Cass., n. 23554/2004), nel giudizio instaurato ai fini del

riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a
tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al
relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per la
configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è
necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo
trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché
alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento
tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara
e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del
significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto
compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili
in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.

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violazione di norme di diritto e per vizio di motivazione, la ricorrente

Nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto di disattendere la

lavoratore alla estromissione configurerebbe un suo consenso alla
risoluzione del rapporto alla scadenza del termine apposto,
osservando, in conformità ai principi sulla ripartizione degli oneri
probatori, che nessuna prova era stata fornita dalla parte eccipiente
(ossia la Poste Italiane spa) in ordine alla sussistenza di circostanze
dalle quali avrebbe potuto effettivamente ricavarsi la comune volontà
delle parti di voler porre definitivamente fine al rapporto lavorativo e
tali conclusioni, in quanto prive di vizi logici o errori di diritto,
resistono alle censure mosse con il secondo motivo di ricorso.
2.2 Neppure risulta fondato il terzo, poiché le istanze istruttorie
attraverso le quali, secondo l’assunto della ricorrente, avrebbe potuto
accertarsi l’eventuale reperimento di altra attività lavorativa dopo la
scadenza del termine, rivestivano carattere meramente esplorativo,
non risultando essere stata dedotta se e quale ulteriore attività
lavorativa sarebbe stata intrapresa; di talché non può evidentemente
ritenersi la decisività di una circostanza soltanto genericamente
ipotizzata e, come tale, non precisata nei suoi contenuti in tesi
sintomatologici di una volontà risolutiva del rapporto dedotto in
giudizio.
3. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza
per violazione dell’art. 112 cpc, deducendo che erroneamente la
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tesi secondo cui la mancanza di una più tempestiva reazione del

stato stipulato anche “in funzione di punte di più intensa attività
stagionale”.
Correlato al suddetto motivo è anche il sesto, con il quale, sempre in
relazione alla individuazione, nel senso anzidetto, della causale
giustificativa del termine, è stata dedotta la violazione di plurime
norme di diritto.
3.1 Entrambi i motivi sono infondati, perché la Corte ha pronunciato
sulle domande svolte (onde non è ravvisabile la violazione del
principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato) e perché la
(parziale) erronea percezione del contenuto della clausola
contrattuale non configura, di per sé, violazione delle norme (legali e
pattizie) disciplinanti la fattispecie.
4. Con il quinto motivo la ricorrente, denunciando violazione di
plurime norme processuali, deduce che la Corte territoriale avrebbe
giudicato sulla base di ragioni non dedotte nel ricorso introduttivo del
giudizio di primo grado.
4.1 Premesso che, come allegato dalla ricorrente, fra le ragioni
addotte dal lavoratore nel ricorso introduttivo vi era anche l’asserita
insussistenza delle esigenze poste a fondamento dell’assunzione,
deve convenirsi che la Corte territoriale, ritenendo che la parte
datoriale non aveva fornito la prova della sussistenza delle
condizioni che legittimavano per il contratto de quo l’apposizione del
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Corte territoriale aveva giudicato reputando che il contratto fosse

dalla parte istante; onde anche il motivo all’esame non può trovare
accoglimento.
5. La Corte territoriale ha ritenuto la nullità della clausola appositiva
del termine sul rilievo che la parte datoriale non aveva fornito la
prova della sussistenza delle condizioni che la legittimavano nel caso
concreto e, in particolare, per non avere indicato e provato la
consistenza del personale svolgente le stesse mansioni nella sede di
lavoro, quanti fossero coloro che nel periodo 1° luglio – 30 settembre
sarebbero stati assenti per ferie e la durata del periodo di ferie di
ciascun dipendente, il carico di lavoro gravante sul personale che
sarebbe rimasto in servizio e il tipo di attività che avrebbe avuto un
incremento nel periodo considerato.
5.1 Tale impostazione è stata diffusamente censurata con il settimo e
l’ottavo motivo di ricorso, svolti per violazione di plurime norme di
diritto e da esaminarsi congiuntamente siccome tra loro connessi.
In particolare la ricorrente deduce che, in assenza di specifica
previsione legislativa e pattizia e stante il carattere ampio e
incondizionato della delega rilasciata dall’art. 23 legge n. 56/87 alle
parti collettive, non è necessaria la specificazione di una causale che
consenta di ricollegare eziologicamente l’assunzione a termine con
le esigenze la cui sussistenza era già stata individuata a monte dalle
parti sociali e che, pertanto, doveva ritenersi sufficiente la prova della
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termine, è rimasta nell’ambito del thema decidendum quale delineato

settembre) per il quale l’autorizzazione era stata concessa.
5.2 Osserva la Corte, anche in sede di interpretazione diretta delle
disposizioni del contratto collettivo, come la giurisprudenza di
legittimità (cfr, per tutte, Cass., n. 4933/2007), decidendo su
fattispecie inerente l’ipotesi di assunzione a tempo determinato
prevista dall’art. 8 del CCNL 26.11.94 dei lavoratori postali “per
necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze
per ferie nel periodo giugno – settembre”, ha cassato la sentenza di

merito che aveva affermato l’obbligo di indicare nel contratto a
termine il nome del lavoratore sostituito ravvisando l’esistenza di una
violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della
normativa collettiva.
Infatti, l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione
collettiva è autonoma rispetto alla previsione legale del termine
apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie prevista dalla
legge n. 230/62, in considerazione del principio (cfr, Cass., SU, n.
4588/2006) che l’art. 23 n. 56/87, che demanda alla contrattazione
collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie
tassativamente previste dall’art. 1 legge n. 230/62 – nuove ipotesi di
apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro,
configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati.

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avvenuta stipulazione del contratto nell’arco temporale (giugno –

Questi ultimi, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di

per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a
termine per causali di carattere “oggettivo” ed anche – alla stregua di
esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo
meramente “soggettivo”, consentendo (per la promozione
dell’occupazione e per la tutela delle fasce deboli) l’assunzione di
speciali categorie di lavoratori, costituendo anche in questo caso
l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del
lavoro idonea garanzia per i suddetti lavoratori e per una efficace
salvaguardia dei loro diritti.
L’art. 8, comma 2, CCNL 26.11.1994, per il quale “l’Ente potrà valersi
delle prestazioni di personale con contratto a termine (..) anche nei
seguenti casi: necessità di espletamento del servizio in
concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre

(…)”, usando una formula diversa da quella della legge n. 230/62,
testimonia che le parti stipulanti considerano questa ipotesi di
assunzione a termine, in ragione dell’uso dell’espressione in
concomitanza, sempre sussistente nel periodo stabilito (giugno settembre).
Altre decisioni (cfr, ex plurimis, Cass., n. 26678/2005; 22417/2012),
decidendo su controversie inerenti alla stessa previsione pattizia,
hanno ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla
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figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste

contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione

e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel
senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita
dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono
delle ferie.
Il Collegio, non ravvisando ragioni per discostarsene, ritiene di
dovere dare continuità ai principi sopra ricordati.
Poiché la Corte territoriale se ne è invece discostata, ritenendo la
necessità, nei termini già indicati, della prova di circostanze fattuali
ulteriori rispetto alla concomitanza dell’assunzione con il periodo
indicato dalla contrattazione collettiva, i motivi all’esame vanno
accolti.
6. La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione alle
censure accolte, con assorbimento delle restanti doglianze, afferenti
alle conseguenze risarcitorie della ritenuta nullità dell’apposizione del
termine.
Non essendo in contestazione il periodo di assunzione nel caso
all’esame (rientrante in quello considerato dalla ricordata disciplina
pattizia collettiva), la controversia può esser decisa nel merito, ai
sensi dell’art. 384, comma 2, cpc, con il rigetto delle domande.
Il difforme esito delle decisioni di merito e la mancanza, al momento
della proposizione del ricorso introduttivo, di un già consolidatosi
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legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie

orientamento nella giurisprudenza di legittimità, consiglia la

P. Q. M.
La Corte accoglie il settimo e l’ottavo motivo di ricorso, rigetta i primi
sei e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in
relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, rigetta le
domande; spese dell’intero processo compensate.
Così deciso in Roma il 18 aprile 2013.

compensazione delle spese afferenti all’intero processo.

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