Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14214 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 25/05/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 25/05/2021), n.14214

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14152-2014 proposto da:

QUICKWOOD SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO 38,

presso lo studio dell’avvocato VINCENZO SINOPOLI, rappresentata e

difesa dall’avvocato MARIO NUSSI giusta procura a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 120/2013 della COMM.TRIB.REG. FRIULI VENEZIA

GIULIA, depositata il 04/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI, che ha concluso per l’accoglimento del I motivo

e assorbiti gli altri;

udito per il controricorrente l’Avvocato TIDONE BARBARA che ha

chiesto il rigetto.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La CTP di Udine accoglieva parzialmente -relativamente ai ricavi non contabilizzati e non dichiarati per Euro 433.350,60- il ricorso proposto da Quickwood srl avverso avviso di accertamento emesso ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis con il quale era stata rettificata la dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2006.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate, la quale faceva rilevare che all’interno dei ricavi così quantificati occorreva tenere distinto l’importo di Euro 74.141,00, atteso che era risultato che la società avesse contabilizzato finanziamenti da parte dei soci per Euro 55.050,00 per contanti e per Euro 19.050,00 per bonifico bancario dall’estero; tali finanziamenti – assumeva l’ufficio – non risultavano essere stati effettuati in misura proporzionale alle rispettive quote di partecipazione dei soci e la società non aveva fornito documentazione circa la natura e le caratteristiche degli stessi; in conclusione, vi erano stati incassi trattati contabilmente alla stregua di finanziamenti soci per un importo complessivo, appunto, di Euro 74.141,00 e quindi non contabilizzati.

Per resistere all’appello si costituiva la società la quale svolgeva anche appello incidentale avente ad oggetto la indebita deduzione di note di credito da emettere per Euro 29.901,00 in ordine alla quale la CTP non aveva accolto il ricorso e aveva quindi confermato l’avviso di accertamento.

La CTR del Friuli Venezia Giulia accoglieva parzialmente il ricorso principale e dichiarava inammissibile il ricorso incidentale perchè tardivo.

Per la cassazione della predetta sentenza la società contribuente propone ricorso affidato a cinque motivi, illustrato da memoria.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Della causa, chiamata all’udienza camerale del 25 febbraio 2020, è stato disposto il rinvio a nuovo ruolo perchè la stessa potesse essere discussa in pubblica udienza, a ragione del fatto che la questione posta dal primo motivo di ricorso è, allo stato, oggetto di due interpretazioni diverse da parte di questa Corte di Cassazione.

La ricorrente ha depositato altra memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I motivi di cui consta il ricorso recano: 1) “Nullità della sentenza per violazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 54, comma 2 e agli artt. 333 e 334 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4)”; 2) “Nullità della sentenza per un non liquet (art. 360 c.p.c., n. 4)”; 3) “Violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), agli artt. 2697, 2709 e 2727 c.c. e all’art. 46 TUIR (art. 360 c.p.c., n. 3)”; 4) “Violazione e/o falsa applicazione della norma di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 (art. 360 c.p.c., n. 3)”; 5) “Violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46 e art. 92 c.p.c., comma 2 (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

Con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere dichiarato inammissibile l’appello incidentale proposto da essa contribuente, la quale “ha inteso far valere un interesse non nascente dalla impugnazione principale proposta dall’ufficio ma un interesse autonomo relativo ad un capo diverso della sentenza impugnata”; detto appello incidentale è stato proposto – conclude sul punto la CTR – “oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c. (18.6.2013), essendo la sentenza di primo grado (non notificata) stata depositata in data 18.12.2012 (impugnazione incidentale proposta con comparsa depositata in data 18.9.2013) e non si verte nella ipotesi di impugnazione incidentale tardiva”. Deduce la ricorrente – corredando il proprio assunto con la citazione di sentenze della Corte di Cassazione – che l’impugnazione incidentale tardiva può essere, legittimamente, diretta contro qualsiasi capo della sentenza (anche autonomo e indipendente rispetto ai capi oggetto della impugnazione principale) e non, necessariamente, contro il medesimo capo attinto dalla impugnazione principale ovvero contro un capo dipendente o connesso.

Come sopra evidenziato, la questione giuridica i cui termini sono stati appena riassunti, è, allo stato, oggetto di due interpretazioni diverse da parte di questa Corte di Cassazione.

– La prima – espressa nella ordinanza di questa sezione del 12.7.2018 n. 18415 – afferma che “L’impugnazione incidentale tardiva è ammissibile anche se riguarda un capo della decisione diverso da quello oggetto del gravame principale, o se investe lo stesso capo per motivi diversi da quelli già fatti valere, dovendosi consentire alla parte che avrebbe di per sè accettato la decisione di contrastare l’iniziativa della controparte, volta a rimettere in discussione l’assetto di interessi derivante dalla pronuncia impugnata, in coerenza con i principi della c.d. parità delle armi tra le parti e della ragionevole durata del processo, atteso che una diversa, e più restrittiva, interpretazione indurrebbe ciascuna parte a cautelarsi proponendo un’autonoma impugnazione tempestiva sulla statuizione rispetto alla quale è rimasta soccombente, con inevitabile proliferazione dei processi di impugnazione” (così la massima).

– La seconda – rinvenibile nella ordinanza della sezione terza del 29.10.2019 n. 27616 – afferma che “L’impugnazione incidentale tardiva, da qualunque parte provenga, va dichiarata inammissibile laddove l’interesse alla sua proposizione non possa ritenersi insorto per effetto della impugnazione principale (Nella specie, la S.C., a fronte del ricorso principale proposto dall’assicuratore di uno dei veicoli coinvolti in un sinistro stradale con esclusivo riferimento alla misura di corresponsabilità attribuita dal giudice di appello al Comune tenuto alla manutenzione della strada, ha ritenuto inammissibili tanto il ricorso incidentale tardivo con il quale l’assicuratore di un altro dei mezzi coinvolti aveva censurato l’accertamento del concorso di colpa del proprio assicurato, quanto il ricorso incidentale tardivo proposto dall’ente pubblico avverso la statuizione sulle spese del giudizio di primo grado, così come ulteriormente regolate nella sentenza d’appello)” (Così la massima).

Il motivo è fondato. Va premesso che la scansione temporale è quella sopra riportata: la sentenza della CTP è stata depositata il 18.12.2012; essa non è stata notificata; l’appello incidentale della società è stato proposto con la comparsa depositata il 18.9.2013, oltre dunque il termine di mesi sei.

Ciò premesso, il collegio intende dare continuità alla interpretazione adottata con la sentenza 18415/2018 – ripresa da altre successive pronunce, tra cui si segnalano le sentenze n. 14596/2020 e 25285/2020 – la quale ha chiarito che l’impugnazione incidentale tardiva è ammissibile anche se riguarda un capo della decisione diverso da quello oggetto del gravame principale, poichè la ratio della relativa disciplina è quella di consentire alla parte, che avrebbe di per sè accettato la decisione, di contrastare l’iniziativa della controparte, ove la stessa rimetta in discussione l’assetto degli interessi derivante dalla pronuncia impugnata, con la conseguenza che sussiste l’interesse ad impugnare tutte le volte in cui l’eventuale accoglimento del gravame principale darebbe luogo ad una soccombenza totale o più grave, secondo una interpretazione conforme al principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., atteso che una diversa, e più restrittiva, interpretazione, imporrebbe a ciascuna parte di cautelarsi, interponendo un’autonoma impugnazione tempestiva della statuizione rispetto alla quale è rimasta soccombente.

Tale interpretazione è stata sancita dalle SS. UU. con sentenza n. 4640/1989 (opportunamente richiamata, in particolare, dalla citata sentenza n. 14596/2020), la quale, nel dirimere un contrasto giurisprudenziale, ha, tra l’altro, affermato che “poichè l’art. 334 c.p.c. ha lo scopo di rendere possibile alla parte parzialmente soccombente di accettare la sentenza soltanto se la medesima venga accettata anche dalla controparte, senza dover subire gli effetti dello spirare del termine o della propria acquiescenza, le parti contro le quali è stata proposta impugnazione (…) possono proporre impugnazione incidentale tardiva nei confronti di qualsiasi capo della sentenza, non esistendo alcun limite oggettivo all’ammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva medesima”.

Nella fattispecie in esame, l’appello principale dell’Ufficio ha rimesso in discussione le parti della sentenza della CTP che avevano visto vittoriosa la società contribuente, determinando, di conseguenza, l’interesse di questa ad impugnare, seppure tardivamente, le parti comportanti soccombenza in capo ad essa.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta l’omessa pronuncia da parte della CTR in relazione alla eccezione – sollevata dinanzi alla CTP e riproposta in appello – diretta ad ottenere la declaratoria di nullità dell’atto impositivo per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d): l’ufficio non avrebbe potuto avvalersi dell’accertamento analitico-presuntivo, disattendendo la contabilità della contribuente, per mancanza dei necessari presupposti, così producendo l’effetto della mancata inversione dell’onere della prova a carico della medesima.

Il motivo non è fondato.

Osserva il collegio che l’omesso esame e la conseguente omessa pronuncia denunciati dalla ricorrente non sussistono sol che si ponga attenzione alla decisione presa dalla CTR e, soprattutto, dal percorso motivazionale adottato, al cui interno è dato rinvenire la decisione – sfavorevole alla contribuente – in ordine alla eccezione formulata.

La fattispecie in esame, infatti, rientra nel novero di quei casi nei quali per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità al quale la presente decisione intende dare continuità – ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. 9262 del 3.4.2019). Nel caso di specie, la decisione adottata dal giudice di appello mostra consapevolezza delle eccezioni sollevate ma decide sulla controversia con argomentazioni implicanti una statuizione implicita di rigetto delle medesime.

Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta l’errata valutazione, da parte della CTR, degli elementi presuntivi posti dall’Amministrazione a fondamento della pretesa impositiva e, di converso, degli elementi offerti dalla contribuente per contrastare detta pretesa.

Il motivo non è ammissibile, in quanto oggetto della censura è la valutazione delle risultanze di causa operata dal giudice del merito, rispetto alla quale la ricorrente delinea una propria, diversa -e, preferibile, a suo dire- motivazione da adottare per la decisione della controversia: il motivo si risolve in una critica dell’apprezzamento di merito che non può trovare ingresso nel giudizio per cassazione.

Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione della norma portata nel titolo: essa ha sostenuto, con riguardo ai finanziamenti dei soci, la proporzionalità delle quote associative. La contribuente, nell’insistere in ordine alla proporzionalità suddetta, trascura di considerare che la sentenza impugnata sul punto ha dichiarato la inammissibilità del gravame a ragione della novità della eccezione sollevata in sede di controdeduzioni all’atto di appello proposto dall’ufficio. Con l’ultimo motivo, la ricorrente censura la sentenza della CTR sul punto relativo al regolamento delle spese; il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo, che determina la prosecuzione del giudizio in sede di rinvio.

Conclusivamente, il primo motivo va accolto; il secondo, terzo e quarto vanno rigettati; il quinto è assorbito; la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo; rigetta il secondo, il terzo e il quarto; assorbito il quinto; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

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