Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14214 del 05/06/2013
Civile Sent. Sez. L Num. 14214 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: NAPOLETANO GIUSEPPE
SENTENZA
sul ricorso 5609-2011 proposto da:
ROSICHETTI
PAOLO
RSCPLA45H28H501S,
elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio
dell’avvocato AIELLO FILIPPO, che lo rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2013
1268
ACEA S.P.A.
05394801004,
in persona del
legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
I.
in ROMA,
VIA MERCADANTE 9,
presso lo studio
dell’avvocato MOLAIOLI CARLO, che la rappresenta e
Data pubblicazione: 05/06/2013
difende giusta delega in atti;
– controricorrente
–
avverso la sentenza n. 6478/2009 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 08/03/2010 r.g.n. 7224/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
NAPOLETANO;
udito l’Avvocato AIELLO FILIPPO;
udito l’Avvocato MOLAIOLI CARLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
udienza del 10/04/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
RG 5609-11
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado,
respingeva la domanda di Rosichetti Paolo, proposta nei confronti dell’Acea
conseguente a preteso demansionamento.
La Corte del merito, per quello che interessa in questa sede, poneva a base
del decisum il rilievo fondante secondo il quale pur ridimensionato, alla
luce della comprovata riorganizzazione aziendale ed all’atteggiamento poco
collaborativo del Rosichetti,i1 prospettato demansionamento non poteva
riconoscersi alcun danno stante il difetto di qualsiasi allegazione al
riguardo da parte del lavoratore nell’atto introduttivo del giudizio.
Del resto, aggiungeva la Corte territoriale non risultando accertata la
totale inattività del Rosichetti emergendo dalla istruttoria,
contrariamente a quanto prospettato nel ricorso, una adibizione a diversi
compiti – era onere del ricorrente precisare come le diverse mansioni
erano idonee a depauperare il suo bagaglio professionale.
Avverso questa sentenza il Rosichetti ricorre in cassazione sulla base di
un’unica censura, illustrata da memoria.
Resiste con controricorso la società intimata.
‘ MOTIVI DELLA DECISIONE
di cui era dipendente, avente ad oggetto il risarcimento del danno
Con l’unico motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 2103 e 2697
cc nonché vizio di motivazione.
Assume al riguardo che, in ordine alle allegazioni fornite da esso
ricorrente, relativamente al danno conseguente il demansianomento, ci si
overrulling con conseguente rimessione in
termini avendo esso ricorrente fatto affidamento sul precedente orientamento
della Cassazione che non riteneva necessaria l’allegazione del danno ai fini
di cui trattasi.
Richiama poi, il ricorrente la giurisprudenza di questa Corte secondo la
quale la prova del danno non patrimoniale può essere fornita in via
presuntiva ed asserisce che, nella specie, essendo stati forniti tutti gli
elementi – le mansioni sottratte e la durata della dequalificazione – ben
poteva la Corte del merito procedere ad un accertamento di tal genere.
La censura è infondata.
Mette conto, innanzitutto, rilevare che, nella specie, non può trovare
applicazione la
regula della rimessione in termini ai sensi dell’art. 153
cpc o dell’abrogato art. 184-bis cpc, conseguente al mutamento di
giurisprudenza da parte del giudice della nomofilachia – c.d.
overruling –
in quanto sul tema della prova del danno da demansionamento esisteva, già
all’epoca della proposizione del ricorso di primo grado ( 21 maggio 2002) / un
contrasto di orientamenti di legittimità ( per tutte V. Cass. del 16
• dicembre 1992 n. 13299 e
contra
Cass. dell’il agosto 1998 n. 7905) poi
risolto dall’intervento regolatore delle Sezioni Unite di cui alla sentenza
del 24 marzo del 2006 n. 6572, sicché non può ritenersi, pur a prescindere
2
trova di fonte ad un caso di
da ogni valutazione circa l’inerenza di tale intervento alle norme proprie
del processo, la configurabilità di un errore scusabile ai fini
dell’esercizio del diritto alla rimessione in termini di cui trattasi (Cfr.
Cass. 15 dicembre 2011 n.27086 con specifico riferimento al contrasto di
Nel merito la Corte di Appello si
è attenuta a giurisprudenza oramai
consolidata di questa Corte secondo la quale in tema di risarcimento del
danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il
riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno
professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in
tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una
specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio
dall’esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed
interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del
soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri,
inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione
della sua personalità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale
conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella
suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera
potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non
solo di allegare il demansionamento, ma anche di fornire la prova ex art.
2697 cc del danno e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale(
• per tutte Cfr. Cass. 17 settembre 2010 n. 19785 e Cass. 19 dicembre 2008 n.
29832 nonché Cass. S.U. 11 novembre 2008 n. 26972).
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orientamenti risolto dalle Sezioni Unite).
Infatti la Corte del merito ha rilevato che quanto al danno nessuna
allegazione era stata dedotta dal lavoratore nel ricorso di primo grado
avendo egli assunto che il danno da demansionamento era in
re :l’osa.
Del resto, e conviene sottolinearlo, la Corte territoriale precisa che
inattività, ma l’assegnazione a diverse mansioni era onere del ricorrente
provare come tale differente adibizione aveva comportato un depauperamento
del proprio bagaglio professionale. Il che rende non idonea, ai fini dì cui
trattasi ( art. 2729 cc) la mera allegazione della sottrazione delle
mansioni
rectius
della inattività- e del tempo della denunciata
sottrazione.
In conclusione il ricorso va respinto.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio
di legittimità, liquidate in C 50,00 per esborsi, oltre C 2.500,00 per
compensi ed oltre accesstUdi legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10 aprile 2013
Il Presidente
essendo risultato dalle emergenze istruttorie, non la denunciata totale