Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14213 del 12/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 12/07/2016, (ud. 12/05/2016, dep. 12/07/2016), n.14213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28564/2014 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), società con socio unico, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato

ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 334/2013 della CORTE D’APPELLO di LECCE

SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 25/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 12 maggio 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con sentenza del 25 novembre 2013, la Corte di appello di Lecce –

sezione distaccata di Taranto, confermava la decisione di primo grado che aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra Poste Italiane e B.G. per il periodo dal 14 giugno al 30 settembre 1997 ed accertato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti a decorrere dal 14 giugno 1997, rigettando ogni altra domanda.

Il termine al contratto era stato apposto “ai sensi della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dell’art. 8 CCNL 26 novembre 1994 ed in particolare per necessità di espletamento del servizio di recapito in concomitanza si assenze per ferie nel periodo giugno –

settembre 97 del personale di ruolo di questo ente, cha ha diritto alla conservazione del posto”.

La Corte territoriale – esclusa la ricorrenza di una ipotesi di scioglimento del rapporto per mutuo consenso – rilevava che dalla istruttoria espletata era emerso che il lavoratore era stato utilizzato non per sostituire personale in ferie, bensì per sopperire a carenze strutturali di organico.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso Poste Italiane s.p.a. affidato a tre motivi.

Il B. è rimasto intimato.

Col primo motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2 e nullità del procedimento (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4) avendo il giudice del gravame rigettato l’eccezione di definitivo scioglimento del rapporto per tacito mutuo consenso dei contraenti senza tener conto che il comportamento inerte delle parti protrattosi per un lungo lasso temporale unitamente alla circostanza che il B. in data 4 luglio 1997 aveva rassegnato le dimissioni “per motivi di lavoro” evidenziava il suo disinteresse al ripristino del rapporto di lavoro.

Il motivo è infondato.

Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v., Cass. 1011-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonchè più di recente, Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-32011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, “è di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso” (v. Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v.

Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre, Cass. 1-2-2010 n. 2279).

Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli artt. 1372 e 1321 c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto.

Orbene nella fattispecie la Corte d’Appello ha rilevato che non erano emersi altri elementi significativi rispetto al mero decorso del tempo e che alle dimissioni rese dal lavoratore non si poteva in alcun modo attribuire il significato di una mancanza di interesse alla prosecuzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Tale accertamento di fatto, compiuto dalla Corte di merito, risulta aderente al principio sopra richiamato e resiste alle censure della società ricorrente che, in sostanza, si incentrano genericamente sulla proposizione di una diversa lettura della inerzia, pur prolungata, del lavoratore, della accettazione senza riserve da parte sua del TFR e delle menzionate dimissioni.

Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e art. 8 del CCNL 1994 anche in relazione all’art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 115, 116, 421 e 437 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) in quanto la Corte di Appello non aveva tenuto conto che la causale ” necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie per il periodo giugno – settembre” era già stata prevista come legittima all’art. 8 CCNL citato e le parti sociali aveva eliminato ogni riferimento alla sostituzione di dipendenti assenti.

Il motivo è fondato.

Con orientamento costante questa Corte, decidendo in tema di contratti a termine stipulati ex art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre), oltre a ritenere non necessaria la indicazione del nominativo del lavoratore sostituito (v. fra le altre, Cass. 2 marzo 2007 n. 933), in base al principio della “delega in bianco” conferita dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, ha anche più volte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, Cass. 7-3-2008 n. 6204) confermato le sentenze di merito che avevano ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Peraltro è stato anche affermato (v. fra le altre Cass. 28-3-2008 n. 8122) che “l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame (art. 8 c.c.n.l. 26-11-1994) è quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti in ferie, l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo non prevede come presupposto per la sua operatività l’onere, per il datore di lavoro di provare le esigenze di servizio in concreto connesse all’assenza per ferie di altri dipendenti nonchè la relazione causale fra dette esigenze e l’assunzione del lavoratore con specifico riferimento all’unità organizzativa alla quale lo stesso è stato destinato”.

Infine vale ricordare che è stato anche precisato che l’estensione al mese di maggio 1998 del periodo di ferie previsto dall’art. 8 del c.c.n.l. del 1994 (inizialmente fissato al periodo giugno-settembre) dimostra l’implicito riconoscimento dell’operatività dell’ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie anche per i successivi mesi estivi del 1998 (e per i successivi periodi feriali), a prescindere da ulteriori accordi autorizzatoti” (v. Cass. 1-3-2011 n. 4990, Cass. 24-22011 n. 4514, Cass. 24-2-2011 n. 4513, Cass. 10-12-2009 n. 25934).

Il sopra citato orientamento, ormai consolidato, di questa Corte (v.

anche fra le altre Cass. 30-11-2009 n. 25225, Cass. 7-4-2011 n. 7945;

Cass. 31.1.2013 n. 2286), va qui confermato.

L’accoglimento del secondo motivo di ricorso assorbe il terzo motivo con il quale viene dedotta violazione e falsa applicazione del D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 9, convertito con modificazioni nella L. 28 novembre 1996, n. 608 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) norma secondo la quale le assunzioni a termine effettuate dall’Ente Poste Italiane a decorrere dalla sua costituzione e, comunque, non oltre il 30 giugno 1997, non potevano dar luogo a rapporto di lavoro a tempo indeterminato e decadevano allo scadere del termine finale di ciascun contratto.

Alla luce di quanto esposto, si propone, ex art. 375 c.p.c., n. 5, l’accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettato il primo ed assorbito il terzo, e la cassazione dell’impugnata sentenza;

valuterà il Collegio se rinviare la causa ad altro giudice o deciderla nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384 c.p.c., comma 2, rigettando l’originaria domanda”.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Poste Italiane ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., in cui si ribadiscono i motivi del ricorso.

Il collegio condivide pienamente il contenuto della relazione e, quindi, accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbito il terzo, cassa l’impugnata sentenza e decide nel merito – ex art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto – rigettando la originaria domanda.

Quanto alle spese dell’intero processo, per il principio della soccombenza, sono poste a carico del B. e vengono liquidate per ciascun grado nella misura di cui al dispositivo in favore di Poste Italiane s.p.a..

Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent. n. 3774 del 18 febbraio 2014).

Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per i ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbito il terzo, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda e condanna B.G. alle spese del giudizio di primo grado liquidate in Euro 900,00 per diritti ed Euro 1.300,00 per onorari; del giudizio di appello, liquidate in Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%; del presente giudizio liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2016

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