Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14211 del 07/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 07/06/2017, (ud. 12/04/2017, dep.07/06/2017),  n. 14211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4221/2015 proposto da:

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L. – C.F. (OMISSIS), in persona del

Curatore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FONTANELLA BORGHESE

72, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO VOLTAGGIO, rappresentato

e difeso dall’avvocato ANTONIO LORI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ANCONA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, V. COLLAZIA 2-F, presso lo studio dell’avvocato

FEDERICO CANALINI, che lo rappresenta e difende unitamente e

disgiuntamente all’avvocato GIANNI FRATICELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 534/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 25/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/04/2017 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C.

SAMBITO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Ancona ha rigettato la domanda con la quale il Fallimento (OMISSIS) S.r.l. aveva chiesto il pagamento dell’indennità di occupazione ed espropriazione di un’area, rilevando che: a) detta area era stata oggetto di cessione gratuita da parte dei lottizzanti danti causa della Società fallita; b) in seno alla compravendita era stato pattuito che le indennità spettavano agli alienanti e non alla parte acquirente. Per la cassazione della sentenza il Fallimento ha proposto ricorso, successivamente illustrato da memoria. Il Comune ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma sintetica.

2. Col quattro motivi di ricorso, si censura: 1) per violazione dell’art. 133 CPA, art. 37 c.p.c., L. n. 865 del 1971, art. 19; art. 54 TU espropriazioni; D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29, art. 38 c.p.c., per difetto di giurisdizione ed incompetenza della Corte d’appello ad interpretare e giudicare sul PEEP, sul relativo procedimento espropriativo, e sulla convenzione di lottizzazione; 2) per violazione dell’art. 167 c.p.c.; 3) per violazione degli artt. 1418, 1346 e 1325 c.c., art. 28 LU; 4) per omesso esame dei fatti decisivi per il giudizio, travisamento dei fatti e omesso esame di circostanze istruttorie, la statuizione sub a) di parte narrativa, mentre nessuna doglianza è stata rivolta a censurare l’affermazione secondo cui, in base al titolo d’acquisto vantato dalla Società, poi fallita, il credito per le indennità di occupazione ed espropriazione era stato riservato ai venditori cedenti, talchè “il Fallimento non potrebbe comunque richiedere nei confronti del Comune le somme per cui è processo”.

3. Contrariamente a quanto illustrato dal ricorrente in sede di memoria, nessuno dei motivi addotti attinge tale seconda ratto, essendo tutti riferiti alla convenzione di lottizzazione, sotto il profilo dell’individuazione del giudice cui appartiene la giurisdizione a conoscerla (si invoca al riguardo la giurisdizione esclusiva del GA) e dei limiti del giudizio di determinazione dell’indennità; sotto il profilo, inoltre, delle preclusioni per il Comune, costituitosi tardivamente, ad eccepire l’intervenuto acquisto delle aree per la cessione gratuita delle stesse (in esecuzione della convenzione); sotto il profilo, ancora, della pretesa nullità, testualmente rapportata ai principi che governano l’individuazione delle aree oggetto della cessione gratuita nell’ambito di una lottizzazione (in riferimento alla dedotta obbligazione ex lege vantata dal Comune); sotto il profilo, infine, del fatto relativo all’esatta delimitazione di dette aree.

4. La statuizione di rigetto della domanda, è, dunque, passata in giudicato in relazione alla ratio non impugnata, il che esime dall’esame delle censure, il cui accoglimento non potrebbe comportarealcun vantaggio per il ricorrente.

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 5.200,00, di cui Euro 100,00 per spese, oltre spese generali ed accessori. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017

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