Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1421 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/01/2021, (ud. 20/11/2020, dep. 22/01/2021), n.1421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Anna Maria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3268-2019 proposto da:

S.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TUSCOLANA n.

1312, presso lo studio dell’avvocato CATIA TAMAGNINI, rappresentato

e difeso dall’avvocato GIOVANNI DONATI;

– ricorrente –

contro

F.S. e M.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA COLA DI RIENZO n. 149, presso lo studio dell’avvocato

GIULIO GONNELLA, rappresentati e difesi dall’avvocato VITTORIO

VECCHI;

– controricorrenti –

e contro

G.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MALCESINE n. 30,

nello studio dell’avv. GIOVANNI PORCELLI che la rappresenta e

difende in unione di delega con l’avv. BARBARA LODI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2312/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 17/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/11/2020 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 23.2.2005 S.R. evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Bologna F.S., M.G. e G.L., per sentirli condannare al pagamento della somma di Euro 19.209,92 a titolo di corrispettivo per le prestazioni professionali, giudiziali e stragiudiziali, prestate dall’attore in favore dei convenuti. Si costituivano questi ultimi resistendo alla domanda ed invocando la condanna dell’attore ex art. 96 c.p.c.

Con sentenza del 12.9.2011 il Tribunale di Bologna rigettava la domanda, condannando l’attore alle spese del grado.

Interponeva appello il S. e si costituivano in seconde cure gli appellati, resistendo al gravame e spiegando appello incidentale relativamente alla domanda di condanna del S. per lite temeraria. Con la sentenza impugnata, n. 2312 del 2018, la Corte di Appello di Bologna accoglieva parzialmente l’impugnazione, condannando gli appellati al pagamento della somma di Euro 2.726,89 oltre accessori, rigettando l’appello incidentale e ponendo i tre quarti delle spese processuali del doppio grado a carico del S., compensando il restante quarto.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione S.R. affidandosi a tre motivi.

Resistono con separati controricorsi G.L., da un lato, e F.S. e M.G., dall’altro lato.

Il ricorrente ed i controricorrenti F. e M. hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale. La controricorrente G. ha depositato memoria fuori termine.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 392 del 1990, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso il diritto dell’avv. S. al compenso per l’intero giudizio svoltosi dinanzi il T.A.R. dell’Emilia Romagna, conclusosi con pronuncia di cessazione della materia del contendere in data 4.8.2003. Ad avviso del ricorrente, poichè i controricorrenti avevano conferito mandato congiunto a rappresentarli e difenderli in quel giudizio sia all’avv. S. che all’avv. Albini, entrambi avevano maturato il diritto al compenso per l’intero giudizio. La Corte di Appello avrebbe pertanto errato nel limitare il riconoscimento del detto diritto alla sola predisposizione del ricorso introduttivo, escludendolo per le rimanenti fasi del giudizio.

La censura è infondata.

La Corte di Appello ha infatti ritenuto che il ricorrente non avesse “… fornito alcuna prova di aver svolto l’attività professionale della quale ha chiesto il pagamento, ad eccezione della predisposizione del ricorso introduttivo del giudizio amministrativo, che risulta invece sottoscritto anche dall’appellante e per la quale, correttamente, lamenta il mancato pagamento. Infatti, tutti gli atti del giudizio amministrativo successivi alla predisposizione del ricorso (doc. 9 e 11 fasc. 1 grado appellante), risultano sottoscritti dal solo avv. Albini, il solo patrocinatore presente alla camera di consiglio del 16.1.1996, al termine della quale il Tar Emilia ha accolto l’istanza di sospensione dell’efficacia della concessione impugnata. E, del resto, risulta altresì provato che il giudizio amministrativo si è svolto temporalmente nel periodo successivo alla separazione professionale dell’avv. S. dal collega Albini, con il quale condivideva lo studio, mentre la difesa in giudizio degli appellati è stata sempre svolta unicamente dall’avv. Albini, sino al termine del giudizio. Prova di ciò si rinviene dall’esame del fax inviato dall’appellante al collega Albini in data 11/11/2003, nel quale l’avv. S., del tutto all’oscuro dell’esito del giudizio amministrativo che, evidentemente, non seguiva da tempo, si duole con il collega dell’omessa comunicazione dell’esito della vertenza, lamentando altresì l’incongruità ed eccessività del compenso richiesto dall’avv. Albini” (cfr. pag. 8 della sentenza). L’articolata motivazione evidenzia che la Corte felsinea ha tenuto conto degli elementi di prova acquisiti agli atti del giudizio di merito ed ha ritenuto, all’esito di apprezzamento di fatto non utilmente censurabile in questa sede, che il S. non avesse fornito idonea prova di aver effettivamente svolto la prestazione professionale relativa alla difesa degli odierni controricorrenti nell’intero giudizio svoltosi innanzi il T.A.R. per l’Emilia Romagna. La stessa Corte territoriale ha, per altro verso, ritenuto invece provata la partecipazione del S. alla redazione del ricorso introduttivo, da lui sottoscritto, ed ha quindi correttamente limitato il diritto al compenso alla sola fase processuale corrispondente.

Il ricorrente ritiene che, in presenza di un mandato defensionale conferito ad un difensore, si possa configurare una presunzione di riferibilità a quel professionista dell’intera attività difensiva espletata nel giudizio al quale quel mandato si riferisce. Tuttavia non v’è traccia di simile presunzione nell’ordinamento, essendo invece sempre onerato il professionista, in presenza di contestazione della parte assistita, di offrire la duplice prova del conferimento dell’incarico e dell’effettivo svolgimento dell’attività per la quale egli pretende di essere pagato (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2701 del 12/02/2004, Rv. 570067). In difetto di tale prova, la richiesta dell’avvocato è legittimamente esclusa, pur in presenza di un mandato difensivo riferito ad un determinato giudizio, perchè il professionista matura il diritto al compenso non già in astratto, ma con riferimento all’opera da egli effettivamente svolta in esecuzione del mandato ricevuto dal cliente (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 360 del 06/02/1958, Rv. 880647; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5415 del 05/03/2009, Rv. 607235; e, da ultimo, Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 29822 del 18/11/2019, Rv. 656248 – 01, secondo la quale “Nel caso in cui più avvocati siano incaricati della difesa in un procedimento civile, ciascuno di essi ha diritto all’onorario nei confronti del cliente solo in base all’opera effettivamente prestata, in virtù del principio di cui alla L. n. 794 del 1942, art. 6”).

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 2, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente omesso di liquidare le spese forfetarie sulla somma riconosciuta a titolo di compensi.

La censura è inammissibile per carenza di interesse concreto del ricorrente.

La norma invocata dal S. prevede testualmente che “Oltre al compenso e al rimborso delle spese documentate in relazione alle singole prestazioni, all’avvocato è dovuta – in ogni caso ed anche in caso di determinazione contrattuale – una somma per rimborso spese forfettarie di regola nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, fermo restando quanto previsto dai successivi artt. 5, 11 e 27 in materia di rimborso spese per trasferta”. Il rimborso delle spese forfetarie, quindi, costituisce una voce accessoria che va necessariamente riconosciuta, al pari del rimborso dell’imposta sul valore aggiunto e della quota di contribuzione previdenziale che per legge è a carico del cliente del professionista.

Questa Corte ha affermato, nella vigenza del D.M. n. 140 del 2012, il principio dell’automatica debenza del rimborso forfetario, anche in assenza di specifica istanza del difensore, trattandosi di componente delle spese giudiziali determinata in misura fissa dalla norma (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13693 del 30/05/2018, Rv. 648785).

Con successiva pronuncia, questa Corte ha precisato, nella vigenza del D.M. n. 55 del 2014, che in difetto di specificazione della debenza, o anche solo della percentuale, delle spese forfetarie, queste debbano ritenersi riconosciute nella misura del quindici per cento del compenso totale, quale massimo di regola spettante, potendo tale misura essere soltanto motivatamente diminuita dal giudice (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9385 del 04/04/2019, Rv. 653487-02).

All’espressione “di regola” questa Corte ha attribuito un duplice significato; da un lato, confermativo del potere-dovere del giudice di determinare le spese processuali, all’interno degli ordinari limiti minimo e massimo di aumento o diminuzione previsti dal D.M. n. 55 del 2014, art. 4, facendo riferimento ai parametri generali indicati in apertura della disposizione; dall’altro lato, precettivo dell’obbligo di specifica motivazione, nel solo caso in cui il giudice ritenga di superare i predetti limiti ordinari di aumento e diminuzione (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 17667 del 05/07/2018, non massimata).

Il quadro normativo non è mutato a seguito dell’entrata in vigore del D.M. n. 37 del 1998, che ha modificato il D.M. n. 55 del 2014 introducendo l’inderogabilità delle riduzioni massime, ma non anche degli aumenti massimi, che continuano ad essere previsti come applicabili “di regola”.

Da quanto precede discende che va confermata l’interpretazione dell’espressione in esame già resa da questa Corte e va dunque ritenuto che con le parole “di regola” la norma abbia inteso individuare un criterio determinativo – del massimo aumento applicabile, ovvero dell’importo “normale” delle spese forfetarie da riconoscere all’avvocato – che, non necessitando di specifica motivazione, sia prestabilito ed automaticamente applicabile.

Da ciò deriva la conferma, anche con riferimento al quadro normativo successivo all’entrata in vigore del D.M. n. 37 del 2018, del principio affermato da questa Corte con il precedente del 2009 in precedenza richiamato (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9385 del 04/04/2019, Rv. 653487-02).

Nel caso di specie, quindi, sono dovute all’avv. S. le spese forfetarie, nella misura del 1 5 % prevista come “di regola” dal D.M. n. 55 del 2014, anche a prescindere dalla specifica indicazione, tanto della loro debenza, che della loro percentuale, nel provvedimento impugnato.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente posto a suo carico i tre quarti delle spese del doppio grado di giudizio, compensando il restante quarto, nonostante l’esito complessivo della lite fosse stato almeno in parte favorevole al S..

La censura è fondata.

All’esito del doppio grado di merito, infatti, è stato riconosciuto il diritto del professionista di percepire un compenso, sia pure inferiore rispetto alla richiesta formulata nell’atto introduttivo del primo grado. La Corte felsinea ha regolato le spese tenendo conto della “… parziale soccombenza degli appellati accertata al termine del presente giudizio”, senza quindi considerare -come avrebbe dovuto fare- il complessivo esito del giudizio di merito. L’accollo alla parte risultata parzialmente vittoriosa della percentuale dei tre quarti delle spese del doppio grado collide con il principio generale della soccombenza affermato dall’art. 91 c.p.c., comma 1, e non trova giustificazione nè nella specifica previsione della seconda parte dell’art. 91, comma 1 – che ammette la condanna della parte che abbia senza giustificato motivo rifiutato la proposta conciliativa al pagamento delle spese maturate dopo la formulazione della proposta non accolta- nè con le disposizioni del successivo art. 92 c.p.c., che – al comma 1 – prevede la possibilità di escludere le spese eccessive o superflue ovvero di condannare una delle parti, anche a prescindere dalla soccombenza, al pagamento delle spese che essa abbia causato all’altra parte per trasgressione al dovere generale di lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c., e – al comma 2 – ammette la compensazione delle spese nelle ipotesi di reciproca soccombenza o di mutamento della giurisprudenza sulle questioni dirimenti che costituiscano l’oggetto della controversia.

La circostanza che il S. si sia visto riconoscere, all’esito del doppio grado di giudizio, una somma pari a circa un nono di quella invocata ab origine, giustifica la compensazione delle spese, ma non l’accollo della parte preponderante di esse a carico della parte comunque risultata vittoriosa.

In definitiva, va respinto il primo motivo di ricorso, va dichiarato inammissibile il secondo e va accolto il terzo.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi di quanto previsto dall’art. 384 c.p.c., comma 2, con compensazione integrale delle spese del doppio grado del giudizio di merito, in ragione del fatto che la domanda originariamente proposta dal S. è stata accolta solo in minima parte.

Le spese del presente giudizio di legittimità, invece, vanno compensate tra le parti in ragione della parziale soccombenza del ricorrente, visto il rigetto del primo motivo di doglianza.

PQM

la Corte rigetta il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo ed accoglie il terzo motivo.

Cassa la decisione impugnata in relazione alla censura accolta e, decidendo la causa nel merito ai sensi di quanto previsto dall’art. 384 c.p.c., comma 2, compensa per intero tra le parti le spese del doppio grado del giudizio di merito. Compensa altresì le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 20 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

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