Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14205 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/06/2011, (ud. 10/03/2011, dep. 27/06/2011), n.14205

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

F.LLI ZUCCHETTO DI ZUCCHETTO ORLANDO, ENNIO E ROBERTO snc, Z.

R., Z.O. E Z.E., rappresentati e

difesi dall’avv. GRAZIANI Alessandro ed elettivamente domiciliati in

Roma presso l’avv. Francesco Capecci in via Cavour n. 211;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma in via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 14/37/07, depositata il 15 marzo 2007.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10 marzo 2011 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco.

La Corte:

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“La Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n. 14/37/07, depositata il 15 marzo 2007, rigettando gli appelli, riuniti, della snc F.lli Zucchetto di Zucchetto Orlando, Ennio e Roberto, e dei soci Z.R., Z.O. e Z.E., nonchè l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Viterbo, ha confermato la decisione di primo grado nel giudizio promosso nei confronti dell’avviso di accertamento ai fini dell’IRPEF dell’ILOR e dell’IVA per l’anno 1996, emesso a seguito della determinazione di un maggior reddito, secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, ai sensi della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi 181 e 183, mediante l’applicazione dei parametri approvati con il D.P.C.M. 29 gennaio 1996, come modificato dal D.P.C.M. 27 marzo 1997, ed all’esito dell’invito all’instaurazione del contraddittorio.

Nei confronti della decisione i contribuenti propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

I motivi rispondono ai requisiti prescritti dall’art. 366 bis cod. proc. civ..

Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza per vizio di motivazione; con il primo motivo denuncia l’illegittimità del D.P.C.M. 27 gennaio 1996, in quanto adottato senza la previa acquisizione del parere del Consiglio di Stato.

Questa Corte ha chiarito che “il D.P.C.M. 29 gennaio 1996 (sulla “Elaborazione dei parametri per la determinazione di ricavi, compensi e volume d’affari sulla base delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio sull’attività svolta”, determinati ai sensi della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 181) non viola la L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, per essere stato emanato senza il parere preventivo del Consiglio di Stato, in quanto non è un atto di natura regolamentare – nè attuativo di legge, ai sensi del comma 1, nè delegificante, ai sensi del comma 2, non essendo espressione di una potestà normativa, secondaria rispetto a quella legislativa, attribuita all’amministrazione, e non disciplina in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma è solo un provvedimento amministrativo a carattere generale, in quanto espressione di una semplice potestà amministrativa, essendo rivolto alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili” (Cass. n. 16055 del 2010, n. 27656 del 2008).

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello standard, nè costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata”. Tale procedura di accertamento “costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (Cass., sezioni unite, 18 dicembre 2009, n. 26635).

Quanto al secondo motivo del ricorso, alla luce di tali principi la motivazione della sentenza sembra immune da vizi logici, per il rilievo assegnato al valore dei beni strumentali, alla consistenza delle quote di ammortamento, all’intensità dell’attività produttiva ed alla motivata conferma della correzione dell’applicazione “assoluta” dei parametri, compiuta dal giudice di primo grado, in ragione dello svolgimento, da parte della società contribuente, di altra attività oltre a quella di cui al codice sulla cui base l’accertamento standardizzato era stato effettuato.

In conclusione, si ritiene, che, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1 e art. 380 bis cod. proc. civ., il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio in quanto manifestamente infondato”;

che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite;

che non sono state depositate conclusioni scritte nè memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribaditi i principi di diritto sopra enunciati, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese seguono la soccombenza e sì liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, liquidate in Euro 1.000,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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